Per l’80° anniversario della Festa della Liberazione, 25 aprile 2025, la Fondazione Gramsci Emilia-Romagna presenta una pagina di approfondimento su quattro storie intrecciate nella trama più ampia dell’antifascismo italiano e internazionale attraverso documenti conservati negli archivi della Fondazione.
Questa pagina presenta quattro testimonianze emblematiche, profondamente radicate nel contesto storico dell’antifascismo italiano e internazionale, che contribuiscono a delineare il quadro complesso e coraggioso della Resistenza. Attraverso le vicende personali e collettive dei protagonisti, si offre uno sguardo su un movimento eterogeneo e transnazionale, che ha rappresentato un baluardo contro l’oppressione e un punto di svolta decisivo nella storia democratica dell’Italia.
Fame terrore guerra in 15 anni di fascismo. W il fronte popolare antifascista italiano per il pane pace e libertà
Come copertina è stato scelto un volantino del 1937 dalla raccolta di circa 500 documenti politici clandestini datati tra il 1920 e il 1945, donati alla Biblioteca dal prof. Luciano Casali (Università di Bologna), testimonianza per buona parte dell’attività di propaganda delle organizzazioni politiche e militari operanti nel territorio emiliano-romagnolo, con un nucleo consistente di documentazione sulla Guerra di Spagna. 380 tra volantini, pieghevoli e fogli volanti sono stati digitalizzati, descritti e consultabili nella banca dati Manifestipolitici.it; il restante e materiale, opuscoli e periodici, è stato inserito nel catalogo della Biblioteca. Qui tutti i manifesti della raccolta
Lea Giaccaglia (1897-1936) e Paolo Betti (1894-1972) si conoscono a metà degli anni Dieci a Bologna, legati dalla stessa passione politica: entrambi, infatti, sono iscritti alla Gioventù socialista. Si innamorano, si sposano nel 1919 e nel 1921 nasce Luce, la loro primogenita. Nello stesso anno, dopo la scissione di Livorno entrambi aderiscono al neonato Partito Comunista d’Italia, di cui Paolo diviene dirigente a livello locale. Ciò costerà ai coniugi costanti angherie da parte dei fascisti, specialmente dopo la Marcia su Roma e la presa del potere da parte di Mussolini: Paolo verrà arrestato ripetutamente dal 1923 al 1926, venendo sempre scarcerato per mancanza di prove. I due si occupano soprattutto del trasporto clandestino di direttive politiche e materiali di propaganda dalla Francia all’Italia fino al 1927, anno in cui, sentendosi ormai braccati dalla polizia fascista, affidano la figlia alla coppia di amici Giuseppe Dozza e Santa Dall’Osso, in partenza per Mosca. Nel corso di quell’anno, in effetti, vengono entrambi arrestati e processati dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato: Paolo viene condannato a 12 anni di carcere, Lea a 4 anni e 6 mesi.
Anche se divisi e lontani, intessono in questi anni una costante conversazione composta da lettere che mescolano amore, politica, ricordi. Si rivedono per la prima volta nel dicembre del 1931 quando Lea, uscita dal carcere ma immediatamente assegnata al confino di polizia, si reca a trovare Paolo in prigione prima della partenza per Lipari. Le condanne di entrambi terminano nel 1934: i coniugi si ritrovano, finalmente, per tornare a vivere insieme a Bologna. Una fase che purtroppo ha una durata limitata: Lea muore infatti di setticemia nel 1936; Paolo continua da solo la lotta antifascista, che lo porterà, nel 1943, a essere tra i fondatori del CLN Emilia-Romagna, del Comando Unico Militare Emilia-Romagna (CUMER) e membro della segreteria del Partito comunista.
Di seguito due foto e alcune lettere che fanno parte del Carteggio Betti-Giaccaglia conservato e consultabile presso la Fondazione Gramsci Emilia-Romagna.
Molte vicende della vita di Giuseppe Dozza (1901-1974) sono già note, soprattutto per quanto riguarda la sua attività di sindaco nel dopoguerra. Meno conosciuta è la sua avventurosa biografia durante gli anni del fascismo: iscritto al Partito comunista d’Italia fin dal 1921, viene arrestato tre volte tra il 1923 e il 1926 ma sempre assolto per insufficienza di prove. Da quell’anno in avanti riesce costantemente a rendersi irreperibile, frustrando ripetutamente i tentativi di arresto da parte della polizia: vive tra la Francia e l’Unione Sovietica, divenendo uno dei principali dirigenti del Partito comunista e tornando spesso in Italia, debitamente camuffato per rendersi irriconoscibile, con compiti di coordinamento e direzione. Sposato con Santa Dall’Osso dal 1924, nel 1927 prende in consegna dagli amici fraterni Paolo Betti e Lea Giaccaglia la loro primogenita Luce, portandola a Mosca dove, purtroppo, la bambina non sopravvive a causa di una malattia contratta l’anno successivo: in suo ricordo, lo stesso nome verrà dato alla figlia primogenita di Giuseppe e Santa, nata nel 1929.
Torna stabilmente in Italia solo nel settembre del 1943, prima a Milano e poi, dal febbraio del 1944, a Bologna, entrando a far parte del Triumvirato insurrezionale dell’Emilia-Romagna, l’organo di coordinamento regionale delle brigate partigiane comuniste. Viene nominato Sindaco di Bologna, su mandato del CLN, il 21 aprile, giorno della Liberazione della città.
La Fondazione ha da poco allestito la mostra Giuseppe Dozza. L’archivio in mostra che si è tenuta presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio dal 9 dicembre 2024 al 1° marzo 2025. Qui tutte le informazioni.
Di seguito alcune foto scattate tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 dall’Archivio Luigi Arbizzani.
Condividiamo anche l’intervento del Presidente della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna Paolo Capuzzo dal titolo Dozza, il Sindaco partigiano all’interno del libro “Bologna Libera” in omaggio con Repubblica dedicato alla lunga storia della Liberazione ottant’anni dopo. Il volume raccoglie le puntate delle “Cronache dalla Resistenza” che raccontano i mesi della lotta al nazifascismo fino al 21 aprile del 1945, con tanti interventi di storici e protagonisti.
Bolognese di nascita, prima giovane socialista e poi, dal 1927, comunista, Nino Nannetti (1906-1937) subisce diversi agguati da parte dei fascisti locali per tutta la prima metà degli anni Venti, patendo gravi danni fisici che, però, non ne minano il forte carattere e l’incrollabile antifascismo. Arrestato nel 1928 e condannato al confino nell’isola di Lipari, viene liberato nel 1930 e l’anno dopo fugge in Francia per evitare un nuovo arresto. Da subito molto attivo nel mondo dell’antifascismo francese e tra gli esuli italiani, dal 1933 vive stabilmente a Tolosa dove conosce Szyfra Lipszyc (1915-1943) detta Jaska, una giovanissima comunista polacca di cui si innamora, ricambiato. I due sono protagonisti dell’antifascismo tolosano fino al 1936 quando, in seguito al colpo di Stato di Francisco Franco e l’inizio della Guerra civile spagnola, prima Nino e pochi mesi dopo Szyfra raggiungono le fila delle Brigate internazionali in terra iberica. Protagonista di diverse azioni militari, Nino viene gravemente ferito a Bilbao nel giugno del 1937, morendo all’ospedale militare di Santander il mese successivo. Szyfra rimane in Spagna ancora un anno, compiendo azioni di propaganda e di spionaggio contro l’esercito di Franco; incaricata dal Comintern di recarsi in Polonia nel 1938 per ricostituire il locale Partito comunista, subisce le conseguenze del Patto Molotov-Ribbentrop dell’anno successivo, venendo arrestata e detenuta in carcere a Mosca per tre mesi dai suoi stessi compagni di partito. Liberata e assegnata a compiti di intelligence, viene inviata nel 1940 in Inghilterra e, dal 1942, nella Francia occupata dalla Germania nazista, dove si distingue in azioni di spionaggio e di sabotaggio a Parigi e nel Loiret. Alla fine dello stesso anno viene arrestata dalla polizia nazista, condannata a morte e ghigliottinata in Germania nel febbraio del 1943.
Di seguito alcune foto e alcune delle lettere inviate da Nannetti ai familiari e oggi conservate nell’Archivio Luigi Arbizzani.
La vita di Ilio Barontini (1890-1951) necessiterebbe di pagine e pagine anche solo per essere delineata superficialmente: nato a Cecina, socialista non interventista durante la Prima guerra mondiale, seguace di Gramsci dalla fine degli anni Dieci, tra i fondatori del Partito comunista d’Italia a Livorno nel 1921, Ardito del Popolo, ripetutamente aggredito dai fascisti e arrestato ma mai condannato nel corso degli anni Venti. Protagonista di una rocambolesca fuga da Livorno nel 1931, espatria in Francia e poi in Unione Sovietica, dove lavora come operaio in una fabbrica aeronautica e, in seguito alla frequentazione dell’Accademia militare dell’Armata Rossa, ottiene il grado di Maggiore dell’esercito. Nel 1936 lo troviamo in Spagna, comandante del Battaglione Garibaldi all’interno delle Brigate internazionali; protagonista della storica vittoria della Battaglia di Guadalajara nel 1937, diviene un eroe dell’antifascismo combattente. Alla fine del 1938 viene inviato dal Comintern in Etiopia dove, assieme a Domenico Rolla e Anton Ukmar, ha un ruolo fondamentale nell’organizzazione della resistenza dei guerriglieri etiopi contro l’esercito italiano occupante. Nel 1940 torna in Francia, ora divisa tra una zona occupata dalla Germania nazista e una governata dal suo stato-satellite noto come Repubblica di Vichy, per organizzare militarmente i partigiani francesi comunisti: anche in questa fase si distingue per la partecipazione ad azioni di sabotaggio e attentati spettacolari, soprattutto in Provenza. In seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943 rientra in Italia e, con il nome di battaglia “Dario”, organizza la Resistenza prima a Torino e Milano, per poi arrivare a Bologna all’inizio del 1944 assumendo il comando del CUMER.
Di seguito due foto di Ilio Barontini in Etiopia conservate nell’archivio di Archivio Luigi Arbizzani e alcuni documenti provenienti dall’Archivio del CUMER