Un allievo disilluso che è anche un mentore singolare, che ad un certo punto rifiuta il proprio ruolo, forse perché in crisi con se stesso; un silenzio che spaventa e infine esplode e si perde nelle strade dritte di una città inumana e senza senso… Sono gli ingredienti inconsueti di questo brano, che ben rappresenta il libro dal quale è tratto: un libro di riferimento degli anni settanta, che con la sua commovente “ingenuità” continua a suscitare interesse e attenzione – forse è la strada per potersi chiamare, un giorno, un classico.
Robert M. Pirsig, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, Milano, Adelphi, 2006 [1974, 1981], traduzione di Delfina Vezzoli, pp. 373-375.
“Alla lezione successiva Fedro tenta per l’ultima volta di comportarsi bene, ma il direttore non ne vuol sapere. Fedro gli chiede di spiegargli un particolare, dicendo che non è riuscito a capirlo. Non è vero, ma Fedro pensa che un po’ di deferenza non guasta.
La risposta è: “Forse lei è stanco!’, detta col tono più mordace possibile – ma non morde. Il direttore sta semplicemente condannando in Fedro ciò che più teme in se stesso. La lezione prosegue e Fedro guarda fuori dalla finestra; gli dispiace per questo vecchio pastore e per le pecore e i cani del suo corso, e gli dispiace per se stesso: non sarà mai uno di loro. Quando suona la campanella esce per l’ultima volta.
Per contrasto, le lezioni al Navy Pier vanno a gonfie vele. Gli studenti ascoltano attenti questa strana figura barbuta scesa dalle montagne che racconta che una volta nell’universo c’era una cosa che si chiamava Qualità, e loro sanno cos’è. Sono tutti un po’ sconcertati, qualcuno ha persino paura di lui. Capiscono che in qualche modo Fedro rappresenta un pericolo, ma ne sono tutti affascinati e vogliono saperne di più.
Fedro però non è un pastore e lo sforzo di comportarsi come se lo fosse lo sta schiantando. Come sempre, gli studenti indisciplinati delle ultime file si sentono in sintonia con lui e sono i suoi prediletti, mentre quelli timidi e obbedienti dei primi banchi sono terrorizzati, e suscitano così il suo disprezzo. Anche se alla fine saranno le pecore, e non i suoi sregolati amici, a passare gli esami. E Fedro intuisce che anche le sue giornate di pastore stanno per finire, e non fa che domandarsi che cosa lo attende.
Ha sempre avuto il terrore del silenzio in classe, quello che ha distrutto il direttore. Parlare per ore e ore non è nella sua natura; ne esce esausto. Ora, dato che non gli rimane nulla a cui dedicarsi, si dedica a questo terrore.
La campanella suona e Fedro se ne sta seduto in cattedra senza dire una parola. Tace per tutta l’ora. Alcuni studenti lo provocano, cercano di scuoterlo, poi tacciono anche loro. Altri sono pervasi da un panico interiore che li fa diventar matti. Alla fine dell’ora è come se la classe esplodesse; tutti gli studenti si precipitano verso la porta. Nell’ora successiva, in un’altra classe, succede la stessa cosa, e così in quella dopo e in quella dopo ancora. Poi Fedro torna a casa e non fa che domandarsi che cosa lo attende. Le sue quattro ore di sonno si sono ridotte a due, poi a nulla. È finita. Non riprenderà lo studio della retorica aristotelica. Basta. Comincia a andare in giro per le strade con la mente che turbina.
La città gli si chiude intorno e con la sua strana prospettiva lui la vede come l’antitesi di ciò in cui crede. Non è la rocca della Qualità, ma la rocca della forma e della sostanza. Sostanza sotto forma di lamiere e di travi d’acciaio, sostanza sotto forma di banchine e di strade di cemento, di mattoni e asfalto e pezzi di ricambio, di binari e carcasse di animali che un tempo pascolavano nelle praterie. Forma e sostanza senza Qualità, questa è l’anima di questo posto. Cieco, enorme, sinistro e inumano: visto di notte, alla luce fiammeggiante dei fuochi che si levano dagli altiforni della zona sud, e attraverso gli spessi fumi di carbone che si fanno ancora più densi e profondi contro il neon delle scritte di BIRRA e PIZZA e LAVAMATIC e di altre insegne sconosciute e senza senso, lungo dritte strade senza senso che vanno a perdersi per sempre in altre strade dritte.”