“(…) In un periodo come quello che stiamo sopravvivendo, le riviste degne di questo nome debbono fare come le auto in città: trovare degli spazi di parcheggio, pena la emarginazione nei terreni vaghi di periferia. Io ritrovo la mia vocazione pedonale: amo il rumore dei passi. Se, come penso, il ciclostile dovrà ancora contrastare il dominio della stampa, può darsi che ci si rincontri da qualche parte, in qualche interstizio, forse proprio nei terreni vaghi; perché, in fondo, è l’ora delle tracce effimere. (…)”
(da un testo di Pietro Bellasi, del gennaio 1977)