H. Kang con Philippe Grangereau, La rondine fuggita dal paradiso, trad. di M. T. Crisci, Casale Monferrato (Al), Piemme, 2007, pp. 204, € 12,90
Hyok Kang, oggi ventunenne, vive esule a Seul, dopo essere fuggito dalla Corea del Nord nel 1998 ed essere stato quattro anni clandestino in Cina. Philippe Grangereau, giornalista, ha raccolto la testimonianza della sua vita di bambino e di adolescente nel “Paradiso”, così gli è costantemente ripetuto, creato dal “Grande Leader” Kim Il-Sung e dal figlio “Caro Leader” Kim Jong-Il.
Attraverso gli occhi di Kang, che la registrano e descrivono come normale, la vita nella Corea del Nord ci appare nella sua mostruosa deformità.
La scuola è un luogo claustrofobico. Le due materie fondamentali sono “Epoca dell’infanzia” I e II, sull’infanzia di Kim Il-Sung e di suo figlio, e anche la matematica è utilizzata per glorificare i grandi capi e per inculcare l’odio nei confronti di americani, Giapponesi e Sudcoreani. I bambini sono obbligati a lavorare nei campi: due-tre ore tutti i giorni e l’intera giornata della domenica. Anche l’azione più innocente, come disegnare un ritratto del “Grande Leader”, può essere considerata un crimine e richiedere un’autocritica scritta in “tono magniloquente”. La delazione è un vero e proprio compito obbligatorio da espletare settimanalmente.
La scuola non fa altro che riflettere la vita nell’intera società coreana, che si aggrava ulteriormente quando nel paese scoppia la carestia: “Le foreste erano sparite, anche i pini erano morti: la loro corteccia era stata strappata, tagliata, tritata, bollita e poi divorata da altri bambini famelici. Unsong aveva i colori dell’inferno.” ( p. 129).
Nel marzo del 1998 Hyok e la sua famiglia fuggono in Cina. Esterrefatto osserva un mondo che gli appare pieno di benessere, di libertà, e dove tutti hanno un’aria rilassata.
“ Ero terribilmente sconcertato. Ho cominciato a capire che tutto quello che avevo imparato nella Corea del Nord non mi sarebbe servito granché in quell’altro pianeta, così strano. Mi sentivo come una rana tirata fuori dal pozzo da cui contemplava quel pezzo di cielo rotondo, delimitato dal parapetto, pensando che si trattasse del mondo intero. Ero passato dall’altro lato dello specchio.” (p.163)