Marco Fincardi
C’era una volta il mondo nuovo. La metafora sovietica nello sviluppo emiliano
Carocci, Roma 2007
€ 23.50
Indice
Introduzione
Elenco delle interviste
1. Memorie del paese desiderato
1.1 Alla ricerca dei lavoratori stalinisti
1.2 Uno spazio rintracciato nella memoria
1.3 Memoria composita delle democrazie popolari
2. Un immaginario collettivo: la classe operaia in Emilia
2.1 Altri modi
2.2 Paesi del socialismo, da Trampolini a Chruščëv
2.3 Il diavolo in corpo
3. 1929-1945: un’altra patria
3.1 Falce e martello nascosti
3.2 La giustizia: figli e nipoti percepiscono l’emarginazione di due generazioni adulte
3.3 Il difficile rapporto del socialismo sotterraneo con l’esterno
3.4 La rete delle piccole Russie
3.5 La nazione di Stalingrado
3.6 Scelte dei simboli
4. Repubbliche da edificare
4.1 Scuole del popolo, per la generazione futura
4.2 Solidarietà nazionale: la famiglia collettiva
4.3 La proprietà collettiva, in spazi costruiti
4.4 Un’isba nella pianura, per la sezione
4.5 Le case e il faro: topografia di un socialismo periferico
4.6 Municipi e democrazia locale
4.7 Fabbriche frammentate
5. Piani di ricostruzione
5.1 “Costruttori” della società nuova
5.2 Il lavoro “liberato”, tra i cantieri di due Europe in rifacimento
5.3 Un mestiere per le avanguardie della ricostruzione
5.4 Cantieri di futuro
5.5 A scuola per usare mani e cervello
5.6 Trattori in movimento
5.7 Al Sud: macchine per conquistare la terra
5.8 Uomini e motori tra le bonifiche padane
5.9 Centri macchine agricole
5.10 Stachanov in Emilia: l’efficienza senza cronometro
Indice dei nomi
Scheda
In una ricerca condotta attraverso fonti orali, nei mesi in cui si estingueva l’Unione Sovietica, decine di comunisti e socialisti di una provincia emiliana raccontano le proprie esperienze degli anni che vanno dal primo al secondo dopoguerra e reinterpretano le onnipresenti simbologie sovietiche che contrassegnavano quotidianità e miti della passata militanza. Il paese della Rivoluzione d’Ottobre viene trattato come uno specchio in cui la loro generazione militante e quella dei loro genitori hanno a lungo guardato se stesse, traendone stimoli per realizzare una democratizzazione radicale della società regionale, da prendere a modello di ambiziosi progetti per trasformare quella nazionale.
Dietro una Russia guardata come paese idealizzato del progresso e dell’uguaglianza sociale, emerge il loro pragmatismo nell’organizzare localmente nuovi spazi civili e nel costruire durante gli anni Quaranta culture largamente condivise, per nulla somiglianti all’immutabile “mondo piccolo” dipinto nei romanzi di Guareschi e nei film su Don Camillo.