Riprendono i diari della sogliola di Rita Chiappini (con una cronaca londinese di Elena Bonesi)
Il rito dell’inizio, le irritazioni e le emozioni, gli incontri: e i racconti di Rita, un appuntamento ormai consueto per il lettori delle Voci (ora arricchito di una nuova cronaca).
10 settembre 2007
Si ricomincia, si ricomincia!!!
Telefono e posta elettronica in fibrillazione: ex sissini che hanno avuto l’incarico e vengono presi dal panico, studenti della classe che perdo che fanno la lagna e mi fanno sentire in colpa, studenti della quinta a cui comincia a chiudersi lo stomaco.
In mezzo io, come solida roccia tra i marosi: rassicuro, normalizzo, chiudo le mail con un “tranqui”.
Poi vado a letto e mi batte il cuore.
15 settembre 2007
A scuola i soliti problemi: siamo cresciuti, non ci sono abbastanza aule, abbiamo dovuto rinunciare anche allo spazio audiovisivi.
Per i laboratori ci costruiranno dei container dove ora ci sono le melanzane e le zucche di Halloween… aspetteranno almeno che l’ortolano infuriato finisca di raccogliere?
Vorrei domandarmi: ma allora l’orto era abusivo? i pomodori illegali? Ma non ne ho la forza.
18 settembre 2007
Scuola iniziata, mail a raffica: giovani colleghi scrivono come in un flusso di coscienza: sono distratti, come faccio ad interessarli, non mi ascoltano, sono rumorosi, non parlano, tre non sanno l’italiano, non ho ancora i libri…
Rebecca mi dice “a me sembrano bellissimi, sbaglio io?”
19 settembre 2007
Seduta terapeutica nel corridoio con quelli di terza che ho perso (il senso di colpa cola come melassa); la mia “lisca” guarda i corridoi intasati dai nuovi e dai vecchi “ma ha visto quanti sono prof? e quanto sono grossi!”
Come farò senza di lui??
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CRONACHE DALLA SCUOLA DEGLI SCOIATTOLI
“Care Voci, vi giro una mail di una giovane che fa la lettrice in Inghilterra. Non pensate che si potrebbe inserire in mezzo alla prossima sogliola?” Sì, proviamoci: per giocare su quanto sia vicina a noi una scuola lontana, e scoprire che le sogliole, talvolta, possono anche incontrare gli scoiattoli…
Ispirata dai nostrani diari soglioleschi e dai racconti americani di Frank McCourt, inauguro qui le mie cronache.
Haydon School assomiglia a tutto tranne che ad una scuola londinese, e rispecchia e nello stesso tempo ribalta tutti i cliché sugli inglesi. Posta in estrema periferia, sembra capitata per caso sopra una collinetta verde piena di scoiattoli e di corvi neri, rumorosi, abnormi e deformi (sto parlando dei corvi, o delle cornacchie: io non so distinguerli). I pavimenti rigorosamente ricoperti da moquette, gli studenti dalla divisa blu che giocano a calcio o a rugby, incuranti della pioggia incessante.
Sono così incredibilmente simili ai ragazzi italiani, nella loro vivacità e nella loro onesta lotta contro le regole; al termine di un’ora di supplenza, durante la quale ha ricevuto una nota di demerito e molti rimproveri da parte della megera di turno (che, per inciso, non sono io), James sgrana i suoi grandi occhi azzurri e mi chiede, fiducioso: “Però sono stato bravo, vero Miss?”. Certo, gli rispondo, sorridendo. E sono sincera, la classe è stata abbastanza composta e silenziosa, e quel simpatico e vivace ragazzo l’ha movimentata con qualche battuta, ma ha svolto come gli altri il compito assegnatogli.
I professori sono tutti giovani, alcuni di essi quasi si confondono con i ragazzi più grandi, cosa impensabile da noi. Nelle aule, residui di Italia: alle pareti cartine della penisola, foto o quadri di città celebri, e manifesti della Esselunga: John Lemon, Antonno e Cleopasta, Aglioween… Sul banco, un cartoncino azzurro fornisce le traduzioni delle frasi più frequentemente pronunciate, o pensate, dagli studenti: da “Can I have a pencil?” (=posso avere una matita?), a “Do I look like I have a clue?” (=ho l’aria di uno che ha capito?), a un inaspettato “Drat” (=mannaggia). E gli inglesi parlano l’italiano proprio come ho sempre immaginato, come nei film di Stanlio e Oglio: tutte le o diventano ou, la erre non esiste, e gli accenti rigorosamente sbagliati; è impossibile trattenere un sorriso quando sento la professoressa annunciare orgogliosa che, dopo essersi lavata, lei si “pettìna” i capelli, e tutti che ripetono allegri imitando il gesto.
Correggere i compiti scritti risulta ancora più esilarante; il dubbio su che cosa intenda Katye quando definisce i telegiornali “turbattura” (forse perchè la turbano molto?) rischierebbe di togliermi il sonno, ma poi mi risollevo davanti ad un “film mozzafiato” e davanti al commovente tentativo di Ben di spiegare in italiano il motivo per cui ammira Jimi Hendrix, e cioè per come gioca la chitarra, convincendomi che non si tratti di una traduzione letterale del verbo “to play”, bensì di un primo tentativo di metafora in una lingua straniera.
To be continued…