Tre brani di John Dewey. Una proposta che può apparire inutile, data la lontananza che ci separa dall’autore e il contesto storico profondamente mutato. Nella nuvola retorica che avvolge i termini “democrazia” e “educazione” è, invece, bene ritornare a leggere queste pagine, e non solo queste. La democrazia, ci dice Dewey, non è realizzata, la sua possibilità è proiettata in un futuro incerto e senza un investimento teorico e concreto nell’educazione essa è destinata a perdersi.
I tre brani che seguono sono tratti rispettivamente da:
J. Dewey, Scuola e società, (1899), Firenze, La Nuova Italia, 1980, pp. 1-2
J. Dewey, Democrazia e educazione, (1916), Milano, Sansoni, 2004, pp. 95-96
J, Dewey, Democrazia e amministrazione scolastica, (1937), in Il mio credo pedagogico – Antologia di scritti sull’educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1965, p. 265
Noi siamo proclivi a considerare la scuola da un punto di vista individuale, come alcunché che si limita ai rapporti fra maestro e alunno, fra insegnante e genitore. Quel che ci interessa al massimo è naturalmente il progresso fatto da quel determinato fanciullo di nostra conoscenza, il suo sviluppo fisico, il suo profitto nell’abilità di leggere, di scrivere, di ritrarre, l’accrescimento delle sue conoscenze geografiche e storiche, il miglioramento nel suo modo di comportarsi, nelle abitudini di prontezza, di ordine, di diligenza. Queste sono le pietre di paragone secondo le quali giudichiamo il lavoro della scuola. E abbiamo ragione. Tuttavia occorre allargare il nostro orizzonte. Quel che i genitori migliori e più saggi desiderano per il proprio figlio, la comunità lo deve desiderare per tutti i suoi ragazzi. Qualsiasi altro ideale per la nostra scuola è ristretto e privo di attrattiva; a lungo andare distrugge la nostra democrazia. Tutto quel che la società ha compiuto per se stessa è posto, mediante l’istruzione, a disposizione dei suoi membri futuri. Tutte le migliori idee che si fa di sé essa spera di realizzarle attraverso le nuove possibilità così aperte al suo futuro. Qui individualismo e socialismo sono tutt’uno. Soltanto a patto di essere fedele al pieno svolgimento di tutti gli individui che sorgono alla vita, la società in ogni cambiamento può essere fedele a se stessa. E in questa direzione ch’essa imprime a se stessa nulla conta più della scuola, poiché, come ha detto Horace Mann, “dove c’è qualcosa che cresce, uno che forma val più di mille che riformano”.
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La devozione della democrazia all’educazione è un fatto ben noto. La spiegazione superficiale è che un governo che dipende dal suffragio popolare non può prosperare se coloro che eleggono e seguono i loro governanti non sono educati. Poiché una società democratica ripudia il principio dell’autorità esterna, deve trovarle un surrogato nelle disposizioni e nell’interesse volontari; e questi possono essere creati solamente dall’educazione. Ma vi è una spiegazione più profonda. Una democrazia è qualcosa di più di una forma di governo. È prima di tutto un tipo di vita associata, di esperienza continuamente comunicata. L’estensione nello spazio del numero degli individui che partecipano a un interesse in tal guisa che ognuno deve riferire la sua azione a quella degli altri e considerare l’azione degli altri per dare un motivo e una direzione alla sua equivale all’abbattimento di quelle barriere di classe, di razza e di territorio nazionale che impedivano agli uomini di cogliere il pieno significato delle loro attività. Questi punti di contatto più numerosi e più svariati denotano una maggior diversità degli stimoli cui deve rispondere un individuo e per conseguenza stimolano il variare della sua azione. Essi assicurano la liberazione di facoltà che rimangono soffocate fintanto che gli incitamenti all’azione sono parziali, come lo sono necessariamente in un gruppo che, nella sua esclusività, elimina molti interessi.
L’estendersi dell’area degli interessi condivisi, e la liberazione di una maggior varietà di capacità personali che caratterizzano una democrazia, non sono naturalmente il prodotto di uno sforzo deliberato e cosciente. Al contrario, furono determinati dallo svilupparsi di forme di industria e di commercio, di viaggi, di migrazioni e intercomunicazioni che scaturiscono dal dominio della scienza sull’energia naturale. Ma una volta create, da una parte una maggior individualizzazione e dall’altra una più vasta comunità di interessi, uno sforzo deliberato s’impone per sostenerle ed estenderle. È evidente che una società alla quale sarebbe fatale la stratificazione in classi separate deve provvedere a che le opportunità intellettuali siano accessibili a tutti e a condizioni eque e facili. Una società distinta in classi deve prestare attenzione speciale soltanto all’educazione dei suoi elementi dirigenti. Una società mobile, ricca di canali distributori dei cambiamenti dovunque essi si verifichino, deve provvedere a che i suoi membri siano educati all’iniziativa personale e all’adattabilità. Altrimenti essi sarebbero sopraffatti dai cambiamenti nei quali si trovassero coinvolti e di cui non capissero il significato e la connessione. Ne conseguirebbe una confusione nella quale un piccolo numero di persone si impadronirebbero dei risultati delle attività altrui cieche e dirette dall’esterno.
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Oggi come mai in passato si rivolge una sfida ai principi e alla prassi della democrazia. In alcune nazioni essi non sono solamente sfidati, ma sono distrutti spietatamente e sistematicamente. Dappertutto vi sono ondate di critica e di dubbio se la democrazia sia in grado di far fronte ai pressanti problemi dell’ordine e della sicurezza. Sono complesse le cause della distruzione della democrazia politica nei paesi nei quali essa era stata istituita nominalmente. Ma credo che di una cosa si possa essere sicuri. Dovunque è caduta, essa aveva un carattere esclusivamente politico. Non era diventata ossa e sangue del popolo nella sua vita quotidiana. Le forme democratiche erano limitate al parlamento, alle elezioni e alle lotte fra partiti. Credo che ciò che sta accadendo provi in modo conclusivo che la democrazia politica è malsicura se gli abiti democratici del pensiero e dell’agire non dono parte della fibra stessa di un popolo.