G. Colombo, Sulle regole, Milano, Feltrinelli, 2008, pp. 158, € 14,00
“Mi sono dimesso perché indagine dopo indagine, processo dopo processo, sentenza dopo sentenza mi sono convinto che mi sarebbe stato impossibile – da quel momento – contribuire a rendere l’amministrazione della giustizia meno peggio di quel che è. Progressivamente mi sono convinto che, perché la giustizia cambi, sarebbe stato utile piuttosto intensificare quel che già cercavo di fare nei momenti lasciati liberi dalla professione: girare per scuole, università, parrocchie, circoli e in qualunque altro posto mi invitassero a dialogare sul tema delle regole. La giustizia non può funzionare se il rapporto tra i cittadini e le regole è malato, sofferto, segnato dall’incomunicabilità” (p. 7)
Queste parole spiegano le ragioni di questo saggio di Gherardo Colombo. Così come l’esigenza di dialogare con tutti coloro che esprimono disponibilità si sostanzia in un argomentare piano, che, trattando di argomenti complessi, si caratterizza per chiarezza. Un testo divulgativo, quindi, ma questo non lo sminuisce, anzi lo rende più significativo.
In apertura si susseguono esempi di ordinario non rispetto delle regole, che evidenziano come coloro che si attengono alle leggi “sono scavalcati ogni giorno da chi non le osserva”. (p. 15)
Legge, regola, legalità sono termini neutri, per esprimere una valutazione sui loro contenuti si fa riferimento al concetto di giustizia, che, però, è, a sua volta, ambiguo.
Ambiguità che Gherardo Colombo riconduce a due modi profondamente diversi d’intendere le relazioni umane. Vi è la società verticale, prevalente nel passato ma ancora presente oggi, gerarchica, basata sulla separazione e discriminazione; e quella orizzontale, fondata “sull’idea che l’umanità si promuova attraverso un percorso armonico in cui la collaborazione di ciascuno, contribuisce all’emancipazione dei singoli e al progredire della società nel suo insieme” (p. 48)
Il giusto e l’ingiusto, sulla base di queste due concezioni, divergono profondamente.
La relazione tra regole e cittadini appare segnata “dall’incomunicabilità” perché in una società pur organizzata orizzontalmente, esiste, “allo stesso tempo, un ordinamento sommerso con regole proprie, che contrastano con quelle ‹‹ufficiali›› e i cui effetti coinvolgono tutta la cittadinanza, trasformando nella sostanza l’organizzazione sociale da orizzontale in verticale.” (p. 127)
La strada da percorrere è, allora, quella di un mutamento culturale.
Sono convinta che questo libro andrebbe letto a scuola, ma non solo letto, dovrebbe generare discussioni, ragionamenti tra insegnanti e studenti, diventare, in qualche modo la base per la costruzione di un sentire comune, non solo da professare, ma da vivere quotidianamente a cominciare proprio da quella comunità che è la classe .
Si tratterebbe di aggiungere altri “granellini” a quello che l’autore ha deciso di portare, con le sue dimissioni dalla magistratura, sulla strada del cambiamento.
Consapevoli che si “tratta di un percorso infinito, nel quale, prima e più della meta, conta il modo di essere sulla strada, la coerenza di ogni gesto e di ogni parola rispetto al risultato finale. È il percorso, non il traguardo, a riempire la persona del proprio valore e della propria dignità.” ( p. 156)