M. Benasayag, A. Del Rey, Elogio del conflitto, trad. di F. Leoni, Milano Feltrinelli, 2008, pp. 207, € 16
Un libro provocatorio, ma questo è il suo maggior pregio, per la tesi che sostiene: la necessità di superare la logica di eliminazione dei conflitti. Un invito a mettere in discussione le convinzioni odierne che in forme diverse lo vogliono bandire dall’ambito politico sociale e individuale.
“Si tratta di capire in che modo l’essere umano, l’essere umano così com’è, l’essere umano con il suo fondo di costitutiva oscurità, possa costruire le condizioni di un vivere comune malgrado il conflitto e anzi attraverso il conflitto, mettendo fine al sogno o all’incubo di chi vorrebbe eliminare tutto ciò che vi è, in lui, di ingovernabile. L’ingovernabile è parte essenziale della realtà dell’uomo: ogni tentativo di negarlo o di assoggettarlo violentemente a una forma – di formattarlo, come potremmo dire d’ora in poi – è destinato a produrre un ritorno del rimosso o nel peggiore dei casi un’esplosione di barbarie.” (p.9)
La disamina comincia con il concetto di democrazia come forma esemplare di buon governo, in cui le tensioni hanno diritto di cittadinanza solo a condizione di essere normalizzate ed integrate, annullando, così, ogni possibilità di confronto e aprendo la via ad un uso politico della minaccia del conflitto.
Prosegue con la forma che assume la rimozione dei conflitti a livello interiore, trasformandoci in uomini senza qualità, tenuti “a non agire, a non pensare, a non desiderare sulla base delle proprie radici, ma sulla base dell’ideale dell’uomo serializzato e intercambiabile con ogni altro, dell’uomo paritario ed egualitario, capace di cancellare ogni riferimento alla molteplicità che lo compone per appiattirsi sull’immagine con cui gli si dice di identificarsi.” ( p.22)
Si sofferma, a lungo, sul fenomeno della guerra, ripensata come “invariante che periodicamente si ripresenta nella vita della società”, per non condannarci “a guerre sempre più barbare, perché combattute nel deserto dell’indiscusso e dell’impensato.” (p.55)
Il conflitto, secondo gli autori rappresenta una dimensione fisiologica. “Ogni situazione presenta agli organismi che ne fanno parte un insieme di asimmetrie che assumono la forma di problemi che quegli organismi si trovano a dover risolvere. Sta agli organismi farsi carico o meno di quelle situazioni, nella misura che è a loro possibile. Sta a loro agire attraverso le asimmetrie e in funzione delle asimmetrie che strutturano le situazioni in cui vivono.” ( p. 110)
Ed è sulle forme di questo agire che si sviluppa la terza parte del saggio.
“Il lamento ricorrente per il destino “effimero“ delle nostre lotte, l’incessante anelito alla realizzazione indelebile e il loro corollario di inevitabile tristezza e disperazione potranno allora lasciare il posto alla gioia dell’agire. L’irreversibile, lungi dal caratterizzare ciò che è “per sempre“, è tutto quanto si dà nell’effimero, al cuore stesso del divenire. Solo nel dispiegarsi delle molteplici dimensioni dell’esistenza la vita può perdurare e può dispiegarsi appieno.Ogni elogio del conflitto è un elogio della vita. Ogni elogio del conflitto parla del conflitto come fondamento della vita.” (p. 206)