Alcune considerazioni di Horst Wiedemann sull’esperienza, in fase di svolgimento, all’Istituto Fioravanti di Bologna. Concretizzatasi nell’ambito del progetto “Sei Più” , Svolta in collaborazione con la Fondazione del Monte ( che eroga il Finanziamento ), Il C.I.O.F.S. ed il CDLei.
Horst Wiedemann, collabora come formatore e consulente interculturale con il CD/LEI (Centro di documentazione per l’intercultura, Comune di Bologna Settore Istruzione), è coordinatore pedagogico dei progetti SeiPiù presso gli istituti Fioravanti e Aldrovandi-Rubbiani di Bologna
Il patto formativo
Il concetto di patto formativo ha assunto nel tempo e in base alle situazioni di riferimento diversi toni e sfaccettature che vanno da un vero e proprio contratto firmato tra il singolo studente o la singola famiglia e l’istituzione scolastica, a forme molto generiche di dichiarazioni di adesione da parte delle diverse componenti della comunità scolastica a determinati valori e finalità. Altre esperienze pongono l’accento sulla condivisione negoziata delle regole e delle pratiche in modo da rafforzare il mandato educativo sia della scuola, sia della famiglia e rendere partecipe e consapevole lo stesso alunno. Si tratta di un approccio di co-costruzione dove ognuno prende coscienza della sua specificità di situazione e di ruolo e contribuisce a rendere più coerente e solido il percorso formativo dei discenti. Talvolta si prospetta anche un patto di solidarietà e di aiuto reciproco, una specie di alleanza, che si rivela particolarmente incisiva nei momenti di difficoltà. La rete comunicativa e relazionale che si crea in questo modo permette inoltre di monitorare l’andamento, rilevare le situazioni critiche, impostare tempestivamente gli interventi di sostegno e accompagnarli. Il patto rappresenta anche un contenitore simbolico che veicola un messaggio di presenza e di assunzione di responsabilità. Gli alunni, le famiglie, i lavoratori della scuola sono visti come interlocutori alla pari che, ciascuno consapevole del proprio ruolo, collaborano insieme alla riuscita dei percorsi formativi di ognuno dei ragazzi e delle ragazze.
Verso la condivisione educativa – una lunga strada da percorrere
In molte realtà scolastiche il rapporto tra genitori e scuola mostra oggi vistosi segnali di crisi. La loro presenza negli organi collegiali, così come attualmente prevista, risulta essere uno strumento poco efficace se non spesso controproducente per una loro reale partecipazione alla vita scolastica.
Il singolo genitore spesso non è visto come soggetto attivo e partner ma piuttosto come semplice destinatario di informazioni su decisioni prese altrove o, al limite, come portatore di interessi particolari e parziali. Anche i ricevimenti dei professori sono, di solito, troppo incentrati sull’andamento dello studente nella singola materia per poter restituire un quadro d’insieme o per poter inquadrare una situazione problematica nel suo insieme. Non c’è quindi da meravigliarsi della disaffezione dei genitori per le cariche dei rappresentanti e la ridotta presenza nei momenti canonici previsti. Soprattutto nelle scuole professionali questa tendenza si traduce in un distacco pressoché totale tra la scuola e la maggioranza dei genitori.
Si potrebbe dire che, il più delle volte, la scuola non riesce a rendersi “leggibile” agli occhi delle famiglie e, nello stesso tempo, non è attrezzata a “leggere” le esigenze, le attese, i timori, ma anche le risorse e disponibilità dei genitori e a “tradurle” in dialogo e confronto. Per i genitori stranieri a tali ostacoli e barriere spesso si aggiungono ulteriori difficoltà come quella di una scarsa conoscenza della lingua italiana, che può indurre incomprensioni o strategie di evitamento di ogni contatto con la scuola, oppure quella di interpretazioni, abitudini e attese che muovono da altre culture di riferimento e da esperienze scolastiche diverse, non permettendo un’adesione convinta e consapevole ai modelli di comportamento proposti e impedendo di fruire pienamente delle opportunità offerte.
D’altro canto la famiglia come agenzia educativa tradizionale e centrale ha subìto anch’essa un processo di erosione e di subordinazione del suo ruolo e dei suoi valori e, sempre più spesso, si sente inadeguata a svolgere una funzione di guida e di orientamento nei confronti dei figli specie a partire dall’adolescenza. Capita che i genitori, non sentendosi in grado di assolvere pienamente al loro compito, demandino alla scuola una responsabilità educativa fuori dalla loro portata. Tale meccanismo di rinuncia con conseguente delega e affidamento alla scuola riguarda anche numerose famiglie straniere. L’indebolimento dell’autorità genitoriale, in questi casi, è inoltre accentuato dalle particolari dinamiche dei processi di identificazione dei giovani siano essi neo-arrivati o di seconda generazione e dai conflitti familiari che ne derivano.
Quello che la scuola forse interpreta come disinteresse o ignoranza spesso si configura invece come segno di rispetto e atto di fiducia. Per “agganciare” questo tipo di genitori non è sufficiente facilitare la comunicazione e creare semplicemente occasioni di incontro, ma bisogna modificare l’ottica e spostare il discorso in una prospettiva di “empowerment” per creare motivazione alla relazione.
Realizzare esperienze che creino fiducia nell’utilità di un contatto più stretto con la scuola e offrano l’occasione di stabilire rapporti personali con insegnanti e altri operatori della stessa, rendendo più agevole, in un secondo momento, la costruzione di forme esplicite di alleanza educativa atte a sostenere la riuscita scolastica dei figli.
Il patto formativo e le attività ad esso collegate sono quindi un tentativo di sperimentare nuove forme e modalità di incontro e di scambio con i genitori.
Il patto formativo nell’ambito dei progetti SeiPiù – l’esperienza del Fioravanti
Il programma dei progetti Sei Più, da un lato, si rivolge a una platea limitata di destinatari (alunni e famiglie stranieri dei bienni), dall’altro si pone in un’ottica piuttosto ampia e trasversale di qualificazione del dialogo educativo e della comunicazione istituzionale, tale da essere di supporto e di stimolo all’istituzione scolastica, non solo nel miglioramento dei risultati degli alunni stranieri, ma anche nell’innovazione dell’insieme dei suoi approcci e pratiche. Il patto formativo come atto simbolico, modello relazionale e esperienza partecipativa dell’interazione scuola – famiglie straniere rappresenta un tassello importante di questo disegno.
Essendo i progetti solo a circa metà di un percorso triennale è sicuramente prematuro fare bilanci, ma può essere utile sottolineare alcuni elementi che sono emersi nell’impatto su realtà scolastiche in forte difficoltà e sofferenza, come lo sono gli Istituti Professionali.
Come è stato implementato e gestito il patto formativo presso l’Istituto Fioravanti nella prima annualità del progetto
All’inizio, nei colloqui con i diversi referenti della scuola e degli enti esterni, che da tempo operavano nell’Istituto, come elemento particolarmente problematico è emerso che il rapporto con le famiglie, italiane come straniere, era pressoché inesistente riducendosi in molti casi ad un’unica apparizione dei genitori nel momento dell’iscrizione del figlio o, nel migliore dei casi, in rare presenze durante i ricevimenti dei genitori e le consegne delle pagelle. Per il resto i contatti erano limitati a quelli formali e indiretti delle comunicazioni da firmare portate a casa dai figli, con l’effetto collaterale piuttosto problematico, soprattutto nel caso delle famiglie straniere, che i figli in questo modo facevano da interpreti e da filtro di tale rapporto, assumendo talvolta un ruolo e un potere che non gli spettava. Docenti e genitori sostanzialmente non si conoscevano.
Il punto di partenza era, quindi, piuttosto arretrato visto l’obiettivo ambizioso di “stipulare” patti formativi con una buona parte delle famiglie straniere.
Era quindi necessario un confronto approfondito tra i referenti del progetto per chiarire e condividere senso e finalità dell’iniziativa.
Il progetto si è poi attivato su più fronti per facilitare la comunicazione e favorire l’incontro tra istituzione scolastica e le famiglie straniere.
Per le attività di facilitazione linguistico-didattica, di rimotivazione e di riorientamento, il coinvolgimento dei ragazzi interessati avveniva principalmente per contatto diretto da parte degli insegnanti e via comunicazione ufficiale da controfirmare dai genitori; solo in alcuni casi si aggiungeva un contatto telefonico con la famiglia per favorire la partecipazione.
Il lavoro mirato di piccolo gruppo o individuale, che partiva da un’attenta analisi delle basi di partenza (prove di ingresso, scambio di informazioni con i coordinatori delle classi e/o i docenti disciplinari interessati), nella maggior parte dei partecipanti ha dato discreti risultati in termini di rimotivazione, di metodo di studio e di miglioramento disciplinare. Purtroppo ancora carente e incoerente è risultata la collaborazione tra Consigli di classe e figure di sostegno in sede di valutazione; i Consigli di classe spesso non hanno ritenuti sufficienti i miglioramenti constatati e non hanno ammesso l’alunno alla classe successiva generando situazioni contraddittorie ed elementi di sfiducia che rischiano di ripercuotersi sulla credibilità delle stesse attività del progetto.
Per i laboratori per le mamme invece era necessario, dopo una prima informativa scritta in più lingue, fare un giro di telefonate, famiglia per famiglia, per spiegare meglio modalità e contenuti della proposta, anche per vincere numerose resistenze e timidezze. Si sono evidenziate difficoltà rispetto al contatto iniziale con le famiglie in quanto le comunicazioni, soprattutto nelle famiglie arabe, di solito sono gestite dagli uomini. Spesso le mogli non parlano l’italiano e non sono abituate ad essere coinvolte in situazioni extrafamiliari. In questo lavoro di “reperimento utenza” i mediatori culturali hanno avuto un ruolo importante. Un elemento significativo è stato il coinvolgimento informale di alcuni figli. Inizialmente forse solo con l’intenzione di accompagnarle, hanno supportato le loro madri nelle attività proposte, in particolare per quanto riguardava l’informatica. Tale “mescolanza” è stata un segno di condivisione dell’impegno formativo a livello familiare che a sua volta favoriva l’interessamento dei genitori per l’attività scolastica dei figli e può essere visto come un ulteriore piccolo passo verso un’appropriazione costruttiva degli spazi e dei tempi della scuola da parte dei suoi “fruitori”. Segno di un alto gradimento dei corsi è stato l’elevato tasso di presenza.
Un ulteriore momento di confronto e di informazione era l’incontro con i genitori stranieri in occasione dell’inaugurazione dello spazio interculturale e della consegna delle pagelle del primo quadrimestre. In quell’occasione i genitori hanno potuto conoscere di persona oltre al preside e ai docenti anche gli altri operatori (mediatori culturali, facilitatori linguistici, tutor, referenti interculturali) che lavorano con o per i loro figli.
Nella prima annualità del progetto sono stati stipulati complessivamente 69 patti formativi sulla base della partecipazione ad almeno una delle attività del progetto. La presenza complessiva di alunni stranieri nel biennio (a. s. 2007/08) era di 142, i patti formativi riguardavano quindi il 49% degli alunni e delle famiglie stranieri. Si può calcolare un altro 10 % circa che ha partecipato in modo discontinuo. E’ stato quindi coinvolto circa un 60% delle famiglie straniere nelle attività del progetto.
I numeri delle adesioni sia degli studenti che dei genitori alle varie attività e iniziative sono stati soddisfacenti rispetto ai bisogni rilevati e agli obiettivi del progetto. Ma valutando qualitativamente i singoli patti formativi diventa evidente che per le attività rivolte agli studenti il coinvolgimento della famiglia generalmente è rimasto molto limitato (pur essendo stato talvolta importante il loro ruolo attivo di pressione e/o controllo nei confronti dei figli per quanto riguardava il rispetto degli impegni presi), mentre la partecipazione ai laboratori per i genitori richiedeva una disponibilità al confronto e al mettersi in gioco molto maggiore. Il fatto che molti genitori hanno colto un’opportunità offerta dalla scuola è un chiaro segnale che il contatto e il confronto con i genitori stranieri (ma il discorso sarebbe da allargare a tutti i genitori) è possibile e può essere in prospettiva portato -individuando forme e modalità adeguate – anche sul terreno di un’alleanza educativa con la scuola visto che le famiglie straniere generalmente considerano la scuola un “luogo buono” per i loro figli e tengono molto alla loro riuscita scolastica. Bisogna vedere se la scuola è all’altezza di questa sfida e se riesce a modificare le sue pratiche educative e valutative in modo da renderle maggiormente condivisibili anche dai genitori e dagli stessi studenti.