Questo è un intervento di Mariagrazia Contini, docente di Pedagogia generale e sociale nella facoltà di Scienze della formazione di Bologna, che si può leggere su la Repubblica – Bologna del 12/11/2008.
Primo episodio. Nelle settimane scorse, il Consiglio di facoltà di Scienze della formazione (docenti, ricercatori, studenti insieme) ha deciso di esprimere la propria preoccupazione e il proprio dissenso nei confronti dei tagli rilevanti e indiscriminati della scuola e dell’università. In che modo? Svolgendo regolarmente l’attività didattica e la discussione delle tesi di laurea – per non nuocere agli studenti – e invitando i presidenti delle commissioni di laurea a leggere un documento di una pagina, deliberato dal Consiglio, e a togliersi, insieme a tutti i commissari, la toga. Così ho fatto, da presidente di commissione, lasciando ai presenti, che gremivano l’aula, la possibilità di intervenire per integrare o dissentire e accogliendo le diverse posizioni. Quelle dissenzienti ripetevano che lì in quel momento “non si doveva fare politica”.
Secondo episodio. Nei giorni scorsi la Digos ha richiesto ai presidi delle scuole bolognesi, in cui si è manifestato contro il decreto 137, i nomi dei presidenti dei consigli d’istituto, l’elenco delle riunioni svolte, l’indicazione dei partecipanti, il contenuto degli striscioni esposti.
Dunque se nel primo caso la “politica” è stata considerata fuori luogo, nel secondo si prefigura addirittura come possibile “reato”. Ma come mai? Qualcosa – e di molto grave – è successo in questi anni all’interno della cultura più diffusa, quella che sconfina nel senso comune di noi tutti, se la parola “politica” è diventata non solo “logora” e cioè priva di un significato, ma addirittura “negativa” espressione di faziosità e intolleranza.
Perché produce “scandalo” la scelta di una facoltà, che tra l’altro si occupa di educazione e formazione, di pronunciarsi su questi temi anche durante una sessione di laurea? E perché certo mondo adulto guarda “con pena” (Giampaolo Pansa) e non soddisfazione le migliaia di giovani che discutono civilmente e con passione, anziché recitare il copione di “bamboccioni” teledipendenti, individualisti e adoranti il dio-denaro.
E’ anche prendendo spunto dalle loro riflessioni più profonde e dagli slogan spiritosi e poetici dei loro striscioni che possiamo cercare di riappropriarci di certe parole e ricordare che “politica” da Aristotele ad Hannah Arendt, significa ciò che hanno scritto mirabilmente i ragazzi di don Milani: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Uscirne da soli è avarizia. Uscirne tutti insieme è politica”.