Intervento presentato nell’ambito del Direttivo dell’associazione degli italianisti, sezione didattica, tenuto a Bologna nel novembre 2008.
Un interrogarsi sul senso della letteratura e sulla formazione letteraria nelle scuole superiori.
1. Vorrei cominciare da una considerazione banale: per quanto riguarda la formazione letteraria, la scuola e l’università, come in un tiro incrociato, si accusano reciprocamente di insufficienza. Per l’università, al termine di un corso di scuola secondaria superiore, gli studenti che si iscrivono a lettere sono giudicati vergognosamente ignoranti degli autori, delle opere, dei linguaggi della letteratura italiana. Per la scuola, gli insegnanti di italiano raramente dispongono di una preparazione disciplinare adeguata per parlare di letteratura a degli studenti assai poco interessati a quel linguaggio. Di questo secondo aspetto non dirò nulla; ma voglio richiamarlo perché evoca il problema della formazione letteraria nel senso specifico della formazione professionale, che nel disegno Aprea tornerà di piena ed esclusiva competenza dell’università.
2. Mi soffermo invece sulla conclamata ignoranza letteraria che la scuola secondaria produce, per ragionare sui fatti. Sgombriamo subito il campo da una menzogna: non è affatto vero che i classici italiani, nella scuola di oggi, non si insegnano; caso mai di loro i giovani non conservano memoria, il che è anche più grave. Ma sia chiaro: da Dante su su fino a Carducci, Pascoli e D’Annunzio ben pochi nomi mancano; è di lì in poi che i percorsi didattici si moltiplicano e le letture si polverizzano o mancano, al punto che possono essere dismessi anche autori come Svevo, Montale e Ungaretti, fino a cinque-dieci anni fa assolutamente canonici. Nei trienni, oggi, a rischio è soprattutto la letteratura “moderna” del Novecento, anche della prima metà del Novecento e non solo della seconda.
3. La tendenza -o tentazione- di tagliare, a livello di triennio, il passato prossimo anziché quello remoto si avverte in tutti i tipi di scuola ed è direttamente collegata alla persistenza di un modello di letteratura, teorico e didattico, saldamente incentrato sulla tradizione e sulla storia letteraria concepite in termini genealogici, secondo il quale per capire il dopo bisogna conoscere il prima. E deriva, da una parte dalla presunta modernità, anzi atemporalità, dei nostri classici premoderni, certamente grandissimi; dall’altra dalla dilatazione dei tempi del processo di apprendimento-insegnamento e dalla diminuzione del tempo scuola, cioè da ragioni culturali e pragmatico-funzionali interne alla scuola di massa. Né sono più sufficienti gli aggiustamenti che in questi ultimi vent’anni di ricerca didattica si sono apportati al metodo storicistico: vale a dire l’integrazione del percorso cronologico per autori con percorsi per generi e per temi, volti a sfondare i limiti temporali e geografici della letteratura nazionale, a attualizzare autori antichi e moderni, a favorire la motivazione degli studenti insistendo sull’approccio ermeneutico ai testi, piuttosto che su quello storico.
4. Non mi soffermo sulle cause di queste sempre più estese difficoltà, ma constato che siamo davvero giunti a un punto di non ritorno. La scuola non garantisce affatto una conoscenza completa della letteratura italiana dalle origini al Novecento: non la può perseguire né la potrà restaurare in futuro, anche in considerazione del riassetto del curricolo verosimilmente scorciato di un anno, proprio nell’ultimo triennio; anzi rischia, appellandosi ad una volontaristica missione memoriale e ripiegando sulla tradizione (come sta avvenendo sull’onda della restaurazione in atto), non solo di non salvaguardare alcuna memoria, ma anche di spegnere il potenziale interesse dei giovani per la letteratura stessa. La letteratura in sé, classica o premoderna o moderna o contemporanea, nelle nostre scuole non solo è tutta quanta postuma, ma corre seri rischi di essere tutta quanta superflua. Il problema allora non è l’alternativa fra la tradizione o la modernità-contemporaneità, con un sottinteso giudizio di valore a favore dell’una o dell’altra, bensì scommettere su un’educazione letteraria il più possibile rispondente alle finalità formative della scuola di massa, all’educazione alla cittadinanza “planetaria”, ai nuovi bisogni culturali dei giovani e delle società in questa fase storica della nostra civiltà.
5. Sul cosa fare sintetizzo dunque la proposta avanzata a Roma: ripensare, ad usum scolastico, la dialettica tradizione/modernità-contemporaneità a partire dal fondo. Rovesciare cioè il modello teorico-didattico oggi vigente, che sacrifica il presente e il passato prossimo a favore della splendida distanza del passato remoto. Il che significherebbe puntare su alcuni, pochissimi, autori della nostra letteratura dalle origini al Settecento, studiati in quanto non moderni per illuminare, contrastivamente, la modernità, di cui portiamo ancora evidenti i segni, e la contemporaneità in cui viviamo. Perché una cosa è certa: a scuola abbiamo bisogno di uno spazio ben più ampio di quanto non disponiamo per indagare a fondo la modernità fino agli esiti contemporanei, post- o tardo-moderni, attraverso la grande letteratura occidentale, ma già dovremmo dire mondiale, e un’ampia varietà di approcci e di metodologie.
Per una serie di motivi:
- Di fatto la disciplina tradizionalmente denominata Letteratura italiana non può che trasformarsi sempre più rapidamente in quella prossima, benché assai diversa, di Letteratura, aprendosi ad autori stranieri europei e extra-europei, per lo più contemporanei. È inevitabile che ciò avvenga: non solo perché in un mondo sempre più integrato, a sgretolarsi è proprio quel concetto “moderno” di identità nazionale che le storie letterarie delle diverse lingue occidentali hanno da un lato assorbito dall’altro definito; ma anche perché nelle nostre classi sempre più spesso multietniche, il senso della letteratura si misura in rapporto all’urgenza dei temi che il mondo extra scolastico e extra letterario pone a tutti, gli studenti e gli insegnanti, i giovani e gli adulti, di origine italiana ed europea o di altra provenienza. Gli autori e i testi più significanti sono quelli che paiono più coerenti con questi bisogni di leggere il mondo, ancorché inespressi.
- Sulla scia di Todorov, a scuola è assolutamente provato che il pericolo di morte della letteratura s’annida nella sua costrizione all’interno delle strettoie “formalista, o nichilista, o solipsistica “, e – sappiamo noi insegnanti – nella sua separazione dai modelli estetici in cui i giovani si riconoscono. Ebbene, partendo da questa constatazione, bisogna ammettere che la scelta degli autori non è estranea a tale rischio. Lo studio dei classici, anche quando attualizzati, non riduce affatto la distanza fra il loro tempo e il nostro, fra la loro voce e la nostra, tanto che spesso restano muti o inascoltati e vengono subito dimenticati, rimossi.
- Sul versante didattico, è lo studio della modernità e della contemporaneità dal Sette-Ottocento in poi che favorisce l’applicazione di metodologie non così consolidate e diffuse, quali l’approccio tematico e interdisciplinare. Per valorizzare la letteratura come linguaggio dell’immaginario ed espressione della civiltà è inevitabile l’accostamento del testo letterario ad altri testi di natura saggistica o documentaria o iconica. Ma l’interpretazione culturale della letteratura, alla quale, a scuola, quella filologico-linguistica è a fortiori subordinata, è assai più difficile via via che si risale all’indietro la storia, diminuendo progressivamente le conoscenze del contesto extra-letterario che la consentono e di cui gli studenti non sono in grado di disporre.
- Il Novecento permette di affrontare la letteratura non come espressione artistica a sé, ma in relazione a quelle forme di arte popolare o di massa come il cinema e la musica pop, di cui i ragazzi sono portatori: perciò merita di essere indagato in profondità. Perché chiama in causa la cultura implicita dei giovani e li stimola sulla strada, per loro tanto facile, del confronto fra cultura alta e cultura commerciale, portando anche quest’ultima nell’orbita dello studio critico.
- Forse ci sarebbe di qualche utilità studiare attentamente i modelli europei di insegnamento letterario nella scuola superiore, di durata inferiore della nostra: essi sono quasi sempre fortemente incentrati sulla modernità. Personalmente ritengo interessante il modello tedesco, nel quale pochissimi classici, la cui opera è sottoposta a un’ampia lettura, sono poi affiancati dalla trattazione tematica di autori e testi, soprattutto della contemporaneità.
7. Alla luce di quanto fin qui detto, dovrebbe risultare chiaro che non si tratta soltanto di rivisitare il canone: cioè di eliminare alcuni degli autori classici per far spazio ad autori più vicini a noi; bensì di capire in che modo si possa reimpostare la dialettica fra tradizione e modernità/contemporaneità perché la grande letteratura, di cui la scuola deve insegnare l’esistenza e il valore, torni ad essere percepita come disciplina “attuale”, al pari dell’economia, del diritto, della sociologia e della psicologia. Nell’ottica dell’insegnante di scuola (e non dell’università), la posta in gioco non è di salvare qualche libro, ma di rilegittimare la letteratura quale sapere necessario nelle società di massa, globalizzate, super-tecnologiche.
Radicalizzando la proposta, a titolo esemplificativo e non prescrittivo della dialettica premoderno/moderno ad usum scolastico, a Roma dicevo che prima dell’Ottocento basterebbe studiare a fondo Dante, perché è radicalmente “altro” da noi e perché, tuttavia, con la sua potenza espressiva e la nettezza dei giudizi, cattura l’interesse dei giovani e smuove in loro emozioni estetiche predisponendoli allo studio.
So bene che i grandi classici italiani sono premoderni. Ma ciò che voglio dire è questo: oggi non possiamo più presumere che il compito della secondaria sia quello di dare i fondamenti della nostra storia letteraria da cui procedere negli studi superiori. Ammettere che nella scuola si debba insegnare Letteratura e non Letteratura italiana e che non si possa più eludere il problema della motivazione degli studenti e (per citare Baricco) della loro cultura “barbarica”, che riguarda anche noi, significa non tanto stabilire verticisticamente un canone scolastico, quanto piuttosto ripensare la formazione dell’insegnante di letteratura: l’insegnante la letteratura italiana la deve certo conoscere bene; ma quella sola non gli basta più.