C. Bonini, ACAB All cops are bastards, Torino, Einaudi, 2009, pp. 195, € 16,50
Il titolo: Acab è un acronimo per “All cops are bastards”, che si può tradurre “tutti i poliziotti sono bastardi”, diventato grido di guerra degli ultras in Europa.
L’indicazione fornita dall’autore: “Questa è una storia vera. Non una verità definitiva.” (p.2), è stato per me il necessario puntello per sforzarmi di leggerlo e superare il disagio dello scompaginarsi degli schemi, ormai connaturati, dell’adesione o della condanna.
Protagonisti gli sbirri, i celerini o, nell’ipocrisia del linguaggio politicamente corretto, gli uomini della squadra mobile, sempre, però, gli odiati “bastardi”.
Gli scontri del G8 di Genova e la “macelleria messicana” alla Diaz. Gli scontri a Catania dove morì l’ispettore Raciti. Gli scontri a Roma per l’uccisione del tifoso Gabriele Sandri e quelli dopo l’omicidio della signora Reggiani. Gli scontri di Pianura per la riapertura della discarica.
Bonini racconta della violenza che invade la nostra vita quotidiana, e ci chiede di guardarla attraverso gli occhi dei poliziotti che di quella realtà partecipano e in quella sono immersi. Persone innocenti? No, perché in questo libro nessuno è innocente. Persone che, per una sorta “di educazione sentimentale”, sono piene di rabbia e di odio: “ … un collega stravolto dall’eccitazione lo aveva afferrato per il braccio gridandogli parole che spiegavano cosa ce li avessero mandati fare in quell’inferno.
– Bravi ragazzi li avete nebulizzati.
Nebulizzati come insetti.” (p. 28)
Uomini che si aggrappano allo spirito di corpo, a miti di cui, però, non possono non cogliere l’inconsistenza, che sono consapevoli di essere lasciati soli: “ – A noi il culo chi ce lo parerà se le cose andranno storte” (p.32)
Quello che pervade l’intera storia è un odore, sì è questa la sensazione più acuta che ho provato, un odore sempre più nauseabondo che, infine, si materializza a Pianura: “Una zaffata dolciastra di vomito e plastica bruciata gli aveva chiuso la gola nello stesso istante in cui Napoli gli si era aperta allo sguardo.” (p. 171)
Credo che l’autore ci voglia dire che con questo tanfo dobbiamo fare i conti, perché nessuno di noi può vantare una superiore estraneità.
Esiste la possibilità di riemergere da un mondo che ha perso il rispetto per le regole? Non lo so. Credo che le pagine finali di questo libro, però, ci aprano a domande che è essenziale che tutti ci poniamo.
“Fatti qualche domanda Michelangelo. Oggi sei qui a dare qualche calcio in culo a chi non vuole aprire la discarica. La domenica sei allo stadio a non farti linciare da qualche ragazzino gonfio di veleno. Durante la settimana ripulisci alla bisogna i marciapiedi da puttane e clandestini, giusto?
Poi, magari, ci scappa qualche centro sociale, qualche scuola occupata. Assorbi ogni giorno una dose omeopatica di rabbia. Magari in attesa che qualcuno, di tanto in tanto, ti liberi della museruola. Quanto può durare, Michelangelo, eh? Quanto può durare?
– Non molto, credo.
– E allora difenditi.
– Come ?
– Magari cominciando a chiamare le cose con il loro nome ..
– A Genova, al processo per il G8, l’ho fatto. E per questo mi hanno annientato.
– Continua a farlo.
– Non so se ne ho ancora la forza e soprattutto non so se abbia un senso.” (pp.186 –187)