Eschilo che, come “inviato” da un passato lontano, ci pone domande sul presente. Un’altra proposta di Maria Rosa Pantè che ci fa vivere questa possibilità.
(Le altre due tappe del viaggio nel mondo classico inserite in Contributi sono: Dal nostro inviato sul fronte asiatico, aprile 2009. Sull’attuale stato della democrazia: dal nostro inviato Aristofane -uno scherzo?, marzo 2009)
Sbarco anomalo sulla spiaggia vicina alla città: sono arrivate cinquanta giovani donne africane con la sola compagnia del loro padre. Sembrano in buone condizioni fisiche, ma sono molto provate dal viaggio per mare. Ai primi soccorritori hanno subito chiesto asilo politico, un rifugio: “… esuli siamo (…) / Vi è terra più benigna / di questa in cui siamo giunte, / reggendo i rami cinti di lana / delle supplici?”
Implorano accoglienza: “… accogliete questa schiera / di donne che pregano, / e mite sia il respiro di questa terra!”, frattanto piangono per la paura del viaggio, dello straniero, di quelli cui sperano di essere sfuggite. “Come fiori cogliamo lacrime / per terrore che nessun amico vegli / la nostra fuga dalla terra buia”
A stento qualcuna delle ragazze inizia a parlare: il linguaggio è chiaro sia pur con un accento straniero, ma in mezzo alle lacrime e ai sospiri, in mezzo alle parole rotte dall’emozione, frenate dal pudore è difficile capire perché, da dove siano fuggite, perché siano giunte alle nostre coste.
Prima che alcune narrino le loro storie, il padre le raccoglie, discorre nella loro lingua, pare un maestro che stia impartendo una lezione ad allieve molto attente.
“… rispondete agli stranieri come si conviene a profughi (…). Nella voce non sia innanzi tutto fierezza, e nessuna vanità nelle fronti limpide e savie, negli sguardi sereni. (…) Ricordatevi di cedere; siete l’esule, la straniera che domanda. La fierezza non è adatta al più debole”-
Finalmente riunendo i diversi spezzoni dei discorsi si comincia a capire una trama , una storia. Le ragazze sono fuggite dalle violenze della loro terra, da matrimoni indesiderati coi 50 cugini e imposti come una violenza intollerabile, uno stupro.
Le fanciulle, col padre, si sono ribellate e sono fuggite. Ora chiedono, profughe ed esuli, che questa terra le accolga, le difenda dalla furia dei cugini, che certamente le stanno inseguendo per braccarle e per punire chiunque le accolga.
Povere ragazze, inermi e coraggiose, protette solo dal vecchio padre.
Ma ora giunge l’autorità politica, ascolta la loro supplica, capisce che la situazione è grave, una scelta difficile si impone: aiutare l’esule o proteggere il proprio concittadino? – “Oscuro è il giudizio,/ non volermi per giudice. / Ti ho detto, senza il popolo / non agirei, neppure da padrone. / Non dica mai per simile sventura: / – Facendo onore agli ospiti / Perdette la città -“
Le fanciulle comprendono quanto sia difficile la scelta: loro sono così diverse, così scure e portano dietro di sé le violenze cui sono appena sfuggite. Eppure tale è il terrore d’essere scacciate che, compatte, minacciano il suicidio: meglio la morte dello stupro.
Il politico si allontana per consultare il popolo, sarà la città a decidere della loro sorte.
L’attesa é lunga, estenuante, le profughe guardano il mare nel timore che giungano i cugini, guardano verso la città nel timore che arrivino soldati pronti a rimandarle indietro, nella paura.
Ma ecco dalla città si avvicinano molte persone, davanti è il padre esultante che parla per tutti e racconta l’esito dell’assemblea.
“Non esitò il decreto degli Argivi, / che il vecchio cuore mi ha rifatto giovane…/ Avrete qui la vostra casa, liberi. / sicuri da rapina e da saccheggio: / nessuno né straniero né del luogo / vi scaccerà”.
Per un momento le fanciulle esultano: che terra ospitale, che popolo coraggioso, accogliente.
Quando, però, restano sole, ancora sulla spiaggia, lo sconforto le prende: “ O monti o terra giusta e venerata, / che patiremo? Dove / in questa terra di Apis fuggiremo?”
Hanno ragione ecco all’orizzonte le navi dei nemici, sbarcano, cercano di ghermirle: “Via / Via alla nave, / svelte! per i capelli! / per i capelli! Il marchio / morte, sangue, sangue! / Via, via perdute, / maledette alla nave!”
Il terrore si impadronisce di loro già quasi vinte, ma infine giungono gli abitanti della città coi loro governanti. Si affrontano i due schieramenti, finché gli stupratori vengono ricacciati in mare e le esuli, non più esuli, le profughe, non più profughe benedicono la terra che le ha accolte.
Ma il padre ancora una volta le ammonisce, saranno ospitate, pure restano ancora, e forse per sempre, straniere: “Ognuno ha la lingua svelta e ingenerosa / allo straniero. La parola vola / E offusca, inquina.”
Si conclude così, tra la gioia e la saggezza, una bella pagina di cronaca che onora la giornata mondiale del rifugiato che si celebra il 20 giugno.
Certamente il nostro inviato non la conosceva, ma l’ha anticipata di almeno 2500 anni, il suo nome è Eschilo e l’opera che parla delle giovani profughe é la tragedia “Le supplici”
Resta una domanda sospesa e rivolta a ciascuno di noi: nella stessa situazione, noi popolo, chiamato a decidere tra il nostro interesse e la difesa di un perseguitato, cosa avremmo scelto?