Mostra nell’ambito di “Dèco in Italia. 1919 – 1939”
Seconda tappa per l’Art Deco dopo la visita a Rovigo: una tappa speciale, nella quale trovano risposta domande sorte durante la visita alla prima parte della mostra.
Fratta ti colpisce subito, certo per la maestosità della villa palladiana, posta oltre lo Scortico come altre dimore signorili della cittadina. Villa Badoer, progettata dal Palladio e costruita nel 1557, si erge monumentale sulle fondamenta di un castello medievale. Un’ampia scalinata, con eleganti balaustre, porta al pronao arricchito da sei colonne ioniche, dal frontone con stemma padronale, abbracciata da due barchesse curvilinee su una serie di colonne regolari: ieri adibite a servizi, oggi una è sede dal nuovo museo archeologico nazionale.
Ai visitatori della villa è consentito l’accesso di servizio, dal piano terra, ove si affacciano i locali delle cucine e dei magazzini con passerella per le imbarcazioni, (dallo Scortico si arrivava all’Adige e al Po): una sorta di passaggio di purificazione prima di accostarsi all’Arte. Si accede alle sale nobili affrescate da Giallo Fiorentino, dipinti a tratti perduti per successive sovrapposizioni.
Nella prima sala ci accolgono vasi ovali e piatti dedicati da Giò Ponti a “Donatella” mollemente adagiata su nuvole giallo blu: teatralità e leggerezza tornano nella coppa raffigurante “il pellegrino” bianco e turchese, che a passi giganteschi, tra linee rosa, raggiunge il Monte Santo; e si confermano nei fregi del circo o delle vele delle tazze decò.
C’è un forte legame emotivo ed estetico fra le ceramiche di Ponti e le ville palladiane, ove egli stesso si rifugiava a riflettere quando ancora erano deserte, nel primo dopoguerra. Si notano nelle decorazioni delle maioliche i temi classici: pendants naturali alle figure parietali di divinità; alle scene di caccia o di ristoro corrispondono piatti e vasi a prevalenza di verde, seguono porcellane ove si celebra il trionfo dell’oro sul fondo blu o ghiaccio, poi l’accurata soluzione di bianchi dalle figure campestri a scattanti levrieri.
Alle grottesche, ai festoni delle pareti si alternano colori caldi di rossi sfumanti nel terra di Siena con nicchie figurate delle pareti: ecco allora il blu verde della ceramiche o la linearità del divano e degli arredi di legno.
Scene campestri, virtù cardinali carità, giustizia ospitalità per le sale da ricevimento sovrastano il rosso viola delle coppe con linee cubiste.
A metà percorso si incrocia l’ingresso trionfale della Villa, è quello che più ha sofferto dei rimaneggiamenti: ma gli intonaci staccati lasciano tracce consistenti dell’opera di Fiorentino (XVI secolo): rimandano a preziose allegorie, a scene di pastorizia o mitologia, a paesaggi nordici, fra panneggi, sirene o tritoni.
Nella sala successiva tra figure di alberi e il riverbero degli specchi , spiccano i bianchi, i blu e l’oro delle porcellane policrome.
I capolavori di Giò Ponti hanno raccolto il messaggio antico trasfigurato nella classicità rinascimentale e lo hanno proiettato verso “ il nuovo”, le nuove classi emergenti. Giò Ponti produce negli anni ‘20 e seguenti, con la Ginori di cui fu direttore, pezzi che la nuova borghesia acquisterà alla Rinascente, affina al gusto del bello la nuova classe dirigente, rende possibile la qualità nella produzione di serie per il ceto medio, valorizzando al contempo il lavoro manuale di operai ed artigiani legati alla produzione ceramica
Se il corpo centrale della Villa ospita Giò Ponti, la barchessa di destra propone un autentico insieme di tesori, quelli presentati nel nuovissimo Museo Archeologico Nazionale.
Migliaia di reperti raccolti nelle campagne di scavo della Frattesina, svelati finalmente al pubblico.
Dove oggi si stendono campi coltivati, sorgeva, tra il dodicesimo e l’ottavo secolo avanti Cristo, un importante villaggio crocevia commerciale di materie prime fatte qui convergere dall’estremo nord d’Europa, dall’Africa e dall’Oriente. Le manifatture locali lavoravano le preziose materie prime, soprattutto i vetri: i manufatti, di altissima qualità, venivano quindi affidati ad un circuito di traffici che coinvolgeva l’intera penisola., la Sicilia, l’Egeo e le coste del Mediterraneo orientale. Accompagnavano poi artigiani e commercianti nell’aldilà. Ed è proprio dalle due Necropoli di Frattesina che provengono significativi corredi funerari : eleganti oggetti di ornamento: le collane, le fibule, i pendenti, i pettini di vari materiali.
Nel parco di Villa Badoer un Cippo funerario sta in memoria della tragedia dei “carbonari della Fratta “ dedicato ai quattordici carbonari, di famiglia nobile e dell’alta borghesia, che nel 1818 furono arrestati e poi sottoposti al carcere duro fino alla morte, nelle prigioni austro-ungariche, (tra loro una nobildonna ed un sacerdote. Ed è degna di nota la presenza in zona di Casa Matteotti, ora nella fase finale del restauro, che si auspica concluso alla fine di maggio 2009 per consentire l’inaugurazione della riapertura con la commemorazione del sacrificio del politico ucciso il 10 giugno 1924 da una squadra fascista.
Fratta crogiolo e incontro tra la cultura d’èlite e quella del popolo, della ricchezza e della miseria quotidiana, della bellezza, dell’eleganza, dell’impegno civile e del dolore: cittadina da segnarsi nelle tappe dei viaggi con gli studenti, proprio perché imprime un messaggio di amore per l’antico, il passato prossimo, il presente: patria di quanti hanno combattuto e sono stati sconfitti nell’immediato per rimandare sentimenti e passioni ai cittadini di oggi, anni e anni dopo.
Nel momento in cui carbonari e antifascisti venivano trucidati, rendevano eterno il loro messaggio: vale la pena di raccoglierlo.