Pubblichiamo una prima puntata di un lavoro complesso sul linguaggio cinematografico che fa parte di un approfondimento portato avanti per la oramai defunta SSIS. Come a dire che di farine buone ne sono state macinate… Del resto l’autore è un caro collaboratore di Voci.
In questa introduzione le premesse teoriche.
Quando si analizza l’uso che degli audiovisivi si fa nella scuola, si è soliti distinguere tra una didattica con il film e una didattica del film, intendendo con la prima espressione tutte quelle pratiche in cui l’audiovisivo costituisce un elemento di supporto o di arricchimento dell’attività proposta, ma non diventa esso stesso oggetto di riflessione metalinguistica. Si intende, invece, con la seconda espressione tutti quei percorsi in cui il linguaggio cinematografico, in quanto testo portatore di molteplici strati di significazione, è analizzato o rielaborato allo scopo di acquisire le competenze specifiche dal punto di vista linguistico, storico, tematico. In questa sede si prenderanno in esame, anche se in maniera incompleta, solo i problemi relativi ad una didattica del film.
1.1. L’immagine-massa e la didattica
Dunque, la prima questione che sorge nel momento in cui ci si pone di fronte all’audiovisivo come all’oggetto del nostro insegnamento è inevitabilmente il problema della lingua. Qual è la lingua del film? È possibile insegnare questa lingua?
In particolare, stando alla distinzione proposta da Simone nel suo La terza fase, (2) la fruizione dell’audiovisivo produce una forma di acculturazione che dipende dal carattere di simultaneità dell’immagine, che lo differenzia invece dalla scrittura legata alla linearità della successione grafica. Secondo Simone, infatti, la lettura simultanea di un’immagine non stabilisce un ordine gerarchico, logico o cronologico tra gli elementi che vi compaiono, ma li lascia sussistere nella loro compresenza, favorendo nello spettatore il ritorno ad una modalità percettiva e conoscitiva che egli definisce come visione non-alfabetica. Una visione, cioè, non dettata da spirito analitico e non legata alla capacità di correzione e di approfondimento tipiche dell’esperienza della lettura, che produrrebbe un tipo di intelligenza nuova e nello stesso tempo pre-moderna, molto meno strutturata e meno incline alle fatiche della analisi del discorso.
L’epoca dell’audiovisivo sarebbe, dunque, un’epoca della barbarie e la scuola sembrerebbe dover essere travolta da questa nuova invasione.
Possiamo, quindi, accettare l’idea di trovarci di fronte ad una terza fase dell’acculturazione umana, quella in cui l’uomo è in grado di riprodurre, e quindi di scrivere, l’esperienza della propria percezione. Il problema che questa constatazione pone alla scuola sarà, dunque, non tanto quella di levare scudi contro la marea montante, ma di attrezzare ambienti didattici nei quali svolgere il processo di alfabetizzazione necessario ad una lettura consapevole, se non ad una produzione strutturata, di questo nuovo ordine della scrittura.
Ciò che è necessario contrastare, quindi, non è tanto (o non solo) l’uso dell’audiovisivo a scapito della grafia, ma la particolare condizione dello spettatore che l’audiovisivo, come prodotto di massa, sembra richiedere. È una condizione che Metz definisce dello spettatore spossessato:
“Spettatori-pesci che assorbono tutto dagli occhi e niente dal corpo: l’istituzione cinematografica prescrive uno spettatore immobile e silenzioso, uno spettatore spossessato, costantemente in stato di sotto-motricità e di sovra-percezione, uno spettatore alienato e felice, acrobaticamente appeso a se stesso lungo il filo invisibile della vista.” (3)
La grande conquista, invece, che l’audiovisivo offre alla nostra comprensione razionale è proprio la possibilità di smontare e manipolare un processo che fino al secolo scorso è avvenuto sotto il livello della coscienza e che oggi, grazie alla tecnica del montaggio cinematografico, si trova disponibile ai nostri occhi, ovvero i meccanismi attraverso i quali diamo significato al mondo. D’altra parte non deve sfuggirci l’aspetto di manipolazione delle coscienze che questa possibilità ha assunto attraverso l’uso genericamente propagandistico che si è fatto dei media su popolazioni, che risultano indifese in quanto culturalmente impreparate alla corretta decifrazione e analisi del messaggio visivo.
Nelle nostre società si è creata, infatti, una particolare condizione di analfabetismo: l’analfabetismo visivo. Se l’analfabetismo della grafia si caratterizza per una impossibilità di accesso alle informazioni contenute nel media scritto, l’analfabetismo visivo, invece, potrebbe essere definito come la condizione per cui la produzione di queste informazioni, e in particolare del loro livello di connotazione, non sono considerate dal fruitore come emanazione dell’istanza che ha prodotto il testo-immagine, ma come autoprodotte dal ricevente stesso. Fraintendimento allucinatorio che indica l’incapacità di distinguere tra una esperienza faccia a faccia della percezione ed una esperienza mediata, cioè scritta.
Da quando esiste la scrittura, insegnare a leggere e scrivere è sempre stato il compito principale di qualunque scuola, va da sé, quindi, che, per quanto riguarda il linguaggio dell’audiovisivo, il compito della scuola sarà di colmare quella specifica ignoranza di cui sopra, tanto più se si pensa che proprio in questo vuoto culturale si radica l’alienazione tipica di una società iper-mediatizzata.
La finalità, dunque, di ogni didattica del film sembra essere quella di ri-intellettualizzare le immagini filmiche, ridotarle della loro arbitrarietà, che se pure è diversa da quella linguistica non è, però, meno strutturata e strutturante.
Abbiamo detto che si tratta di una lingua scritta che ha come livello di denotazione la riproduzione della percezione visiva e come livello di connotazione una serie di significati direttamente prodotti dall’emittente, ma che tendono a inabissarsi nel fruitore al livello della denotazione. Insegnare questo linguaggio significherà innanzitutto portare alla luce quel processo di mise en abime.
Infatti, come distinguiamo nell’insegnamento dell’Italiano l’educazione linguistica da quella letteraria, è possibile anche per gli audiovisivi distinguere un’educazione linguistica ed una filmica. Di seguito si illustreranno le tappe di un modulo didattico di educazione filmica, compiuto attraverso la modalità del confronto tra linguaggio della letteratura e linguaggio del film.
Prima, però, è necessario chiarire perché sia possibile istituire un rapporto tra letteratura e cinema e come deve essere organizzato questo confronto.
1..2. Letteratura e cinema: una doppia descrizione
Il cinema fin dalle sue origini, o almeno fin dal momento in cui con Méliés si è proposto in modo articolato e coerente l’obiettivo di raccontare una storia, ha sempre mantenuto un rapporto privilegiato con la letteratura. La letteratura, infatti, ha rappresentato e rappresenta per il cinema un archivio inesauribile di storie e di soluzioni narrative. La stessa struttura del racconto filmico è debitrice della tradizione letteraria e in particolare del romanzo moderno. Questo legame, poi, è così stretto che è possibile produrre un’analisi delle strutture della narrazione attraverso un confronto tra romanzo e film.
Il fatto che i due linguaggi al di là delle differenze di codice siano confrontabili nelle loro strutture profonde conferma, inoltre, l’analogia tra scrittura e audiovisivi di cui abbiamo già discusso. Letteratura e cinema sono, da questo punto di vista, due procedimenti analoghi di scrittura della facoltà narrativa attraverso la quale l’uomo produce quotidianamente racconti.
Il confronto tra due strutture narrative che raccontano la stessa storia, ma che lo fanno con modalità e linguaggi completamente differenti, obbliga a risalire a quelle strutture profonde che i due linguaggi hanno in comune e quindi a quei concetti già formalizzati dalla narratologia. In un laboratorio di questo genere, cioè, il ragazzo proprio perché libero di istituire confronti autonomamente acquisisce, prima ancora che le conoscenze teoriche, le competenze necessarie a smontare e rimontare un testo narrativo.
Per ciò, un percorso tra letteratura e cinema, ed in particolare tra romanzo e adattamento cinematografico, istituisce una doppia descrizione che si sviluppa su tre livelli:
1) livello dei nuclei essenziali del racconto;
2) livello della costruzione diegetica;
3) livello della realizzazione del discorso. (4)
Il primo riguarda l’emergere di quelle funzioni essenziali che identificano il racconto e che sono indipendenti dal medium utilizzato. Confrontare le opere a questo livello farà emergere le eventuali scelte di sceneggiatura che non sono condizionate dal linguaggio cinematografico, ma rispondono a precise scelte di regia.
Il secondo livello riguarda il confronto tra lo svolgersi della narrazione nel testo di partenza e nell’adattamento cinematografico. È evidente, infatti, che per i limiti imposti dalla durata materiale di un film questo dovrà trovare delle soluzioni per ridurre il tempo di lettura del libro al tempo della visione cinematografica. Il film, d’altro canto, ha un linguaggio specifico che lo obbliga continuamente a dare una simultaneità di informazioni che il linguaggio scritto non dà, per cui spesso l’immagine è costretta ad aggiungere elementi che il testo lascia impliciti. Indagare il luogo e il senso di queste inevitabili variazioni è l’obiettivo dell’analisi a questo livello; un’analisi che si può articolare in queste coppie di concetti: addizione/sottrazione, condensazione/espansione, variazione/spostamento.
Il principio della sottrazione ci invita a prendere in considerazione cosa c’è nel romanzo che non c’è nel film (luoghi, eventi, personaggi, riflessioni, ecc..), l’addizione invece quegli elementi, soprattutto relativi agli aspetti descrittivi che sono presenti nel film, anche se mancano nel romanzo (ambientazioni, aspetto fisico dei personaggi, abbigliamento, ecc..).
Per condensazione si intende quel processo per cui alcuni elementi del romanzo sono presenti nel film in forma ridotta, come quando alcuni fatti vengono accostati con forti ellissi temporali, o più personaggi vengono condensati in un’unica figura che assume un ruolo più ampio. Per espansione invece si intendono quegli elementi dell’opera che nell’adattamento vengono amplificati e ripetuti perché caricati di valore simbolico.
La variazione si dà invece quando un elemento del romanzo è presente nel film ma con caratteristiche diverse, come l’età di un personaggio o il suo lavoro, ecc.. Lo spostamento è presente, invece, tutte quelle volte in cui alcuni eventi presenti nel romanzo vengono presentati nel film secondo un ordine temporale differente.
Infine, il terzo livello a cui si può portare il confronto tra opera letteraria e adattamento cinematografico, riguarda i codici specifici e le scelte autoriali attraverso le quali si sviluppano le diverse opere. Il lavoro di analisi entra nello specifico dei linguaggi per confrontare come un regista possa aver reso la focalizzazione (cioè la posizione dello spettatore rispetto ai contenuti della storia), o la ocularizzazione (cioè il punto di vista attraverso il quale viene narrata la storia o vengono presentate alcune situazioni o personaggi.
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NOTE
1) A questo proposito cfr W. Ong, Oralità e scrittura, il Mulino, Bologna 1986
2) R. Simone, La terza fase: forme di sapere che siamo perdendo, Laterza, Roma 2000
3) Metz, Cinema e psicanalisi, Marsilio, Venezia 1980
4) Per una trattazione sintetica, ma più approfondita rispetto a quanto sia possibile fare qui, vedi S. Cortellazzo, D. Tomasi, Letteratura e cinema, Laterza, Bari 1998