“Se uno studente proveniente da un ambiente “protetto” viene promosso senza avere una reale preparazione, la famiglia lo metterà comunque in grado di accedere ad una decorosa posizione nel mondo del lavoro. Se invece uno studente proveniente da una famiglia svantaggiata esce con una scarsa preparazione troverà sicuramente molti problemi ad inserirsi nel mercato del lavoro, anche a dispetto del diploma posseduto.”
(Giorgio Allulli, Che fine ha fatto il merito?, http://gruppodifirenze.blogspot.com/2009/10/che-fine-ha-fatto-il-merito.html)
Si può trovare sgradevole questa affermazione, ma si deve convenire che è veritiera. Fermo restando che preparazioni inadeguate non si risolvono con la promozione, osservo che, bocciando entrambi gli studenti, il primo subirà, con ogni probabilità, effetti negativi molto inferiori al secondo, perché la “protezione familiare” troverà tutte le possibili vie per offrire supporti o, ancora peggio, scappatoie.
“‹‹ Giusto una avrebbe cinque che in realtà sarebbe quattro, ma se non l’aiuta nessuno, posso farlo io››.
‹‹ Allora fallo subito, se è quella che penso io. È Cerasuoli? Perché se è lei non ha scampo, se a cinque pure con te››.
‹‹ È lei. Ok, correggiamo, scriviamo sei››.
(G. Bandini, Lezione d’amore, Roma, Newton Compton, 2008, p. 249)
Prima di uno scrutinio finale due generosi insegnanti si mettono all’opera per evitare qualche bocciatura, accomodando i voti secondo necessità.
Siamo di fronte ad un episodio che illustra quel lassismo o buonismo così deprecato oggi, in nome di una serietà che deve essere recuperata dalla scuola.
Però, suvvia, confessiamolo! Quanti insegnanti sono esenti da questa colpa?
Tante le ragioni dei voti innalzati: alcune riprovevoli, rare quelle di natura ideologica, altre più giustificabili, almeno all’apparenza.
“Aveva copiato il questionario con tale rigore di gomiti sul banco, dita sudate intorno alla penna, testa incassata nel tronco, che le sue risposte rattrappite, anche se giuste, parvero tradirlo, come i movimenti di un corpo spastico.”
(E. Affinati, La città dei ragazzi, Milano, Mondatori, 2008, p. 24)
Lo studente, che Affinati ci presenta, riesce, tappa dopo tappa, grazie ad un impegno testardo, ad acquistare scioltezza, ma come comportarsi con chi, pur con la stessa tenace applicazione, non riesce, annaspa, rimane al di sotto dell’asticella della sufficienza?
Molti docenti, io credo, non se la sentirebbero di sanzionare con un voto negativo l’insuccesso. E non per generosità o pietosa partecipazione, ma per un senso di colpa che non riescono a tacitare.
Avvertono, forse anche senza una chiara consapevolezza, le carenze loro e della scuola: vi erano altri percorsi che si potevano intraprendere, altre possibilità non previste, non contemplate dalla struttura nel suo complesso.
Dire che, per migliorare dei livelli di preparazione, occorre il rigore dei giudizi e delle sanzioni, e niente altro mettere in campo, è una comoda visione unidirezionale. E, forse, altrettanto comodo è scrollarsi il senso di colpa e mettere un voto positivo anche a chi non ha raggiunto una preparazione adeguata, declinare la responsabilità personale e collettiva nei confronti di un insuccesso che tale rimane, che accentua e inasprisce lo svantaggio per chi già era in una condizione sfavorevole di partenza.
Serietà nei confronti dei risultati raggiunti dagli studenti, ma ancora maggiori serietà, impegno e qualificazione l’istituzione scolastica dovrebbe pretendere da se stessa.