Ho aderito, nel corso del mese di settembre, ad una sperimentazione didattica, formulata e proposta dal Giscel Emilia Romagna: si tratta di una ricerca azione sull’insegnamento / apprendimento delle preposizioni.
Quanto alla scuola media, tale percorso è stato pensato specificatamente per le classi prima e seconda, con la precipua finalità di condurre i ragazzi alla scoperta – attraverso l’osservazione ed il confronto diretto di testi diversi – delle categorie grammaticali, sotto lo specifico profilo dei ruoli che queste rivestono nelle frasi.
I ragazzi, generalmente, arrivano alla scuola media che già sanno identificare le parti del discorso e, una volta verificata la sussistenza di tale prerequisito, ho ritenuto utile, anche sulla scorta delle indicazioni del Giscel, rafforzare quei concetti – piuttosto che ripetere cose che già in gran parte conoscevano – focalizzando talune variabili quali la funzione, la valenza ed il ruolo che le parti del discorso possono avere nella struttura della frase, muovendo, per l’appunto, dalla semplice constatazione che il ruolo – per una medesima parola – può cambiare a seconda dei contesti diversi in cui viene adoperata.
Quando, come d’abitudine, ho presentato ai ragazzi il percorso, un’alunna ha eccepito: “Prof., ma noi le abbiamo già studiate alle elementari le preposizioni…”, ho subito spiegato che la mia proposta didattica – lungi dal voler essere un’inutile ridondanza – avrebbe aggiunto qualcosa in più alle conoscenze pregresse….
Perché, in effetti, il Giscel ha proposto di farci lavorare proprio con le preposizioni? Qualcuno potrebbe dire: “Ma chi non riconosce le preposizioni ? Ci sono quelle semplici e articolate, quelle proprie e quelle improprie, e via di seguito”….risposta oziosa.
Le preposizioni sono, in realtà, centrali nella grammatica della frase, per la loro funzione di ganci, di collegamento, di braccia tese (è un’espressione di una mia alunna!) verso i verbi, verso i nomi, verso gli aggettivi… se si comprende, quindi, la funzione della preposizione si è già a buon punto per comprendere la struttura della frase.
E’ chiaro che ad un approccio di tipo funzionale, come questo, servono ben poco le categorie tradizionali del tipo “di-a-da-in…”, perché parole come sotto, prima di, di fronte alla vengono – in quest’ottica diversa – primariamente riconosciute nella loro funzione di preposizioni.
I testi sui quali abbiamo lavorato sono stati stimolanti e avvincenti (per esempio: Il pesciolino d’oro, La principessa sul pisello,…); è, infatti, molto importante scegliere bene i testi sui quali operare.
Questi sono stati sistematicamente distribuiti in copia a ciascun alunno e, contestualmente, una grande immagine dei testi stessi veniva proiettata sulla lavagna multimediale (sì, sono uno dei pochi fortunati a disporre della L.I.M. – lavagna interattiva multimediale – fissa in classe!).
Il percorso si è articolato su cinque fasi e le difficoltà sono state via via crescenti: si richiedevano ai ragazzi operazioni cognitive sempre più complesse e, più precisamente, questi venivano indotti ad operare nella zona di sviluppo prossimale: è stato, quindi, un processo di apprendimento che ha consentito loro di conseguire nuove capacità senza esporsi alla frustrazione del fallimento.
Alla fine del percorso, ci siamo resi conto di non aver studiato solo le preposizioni (pur essendo partiti da queste), per avere sperimentato anche che una stessa parola può arrivare ad avere fino a quattro usi diversi!
Vicino al negozio c’è il cinema (preposizione)
Il vicino di casa si chiama Andrea (nome)
Il negozio vicino è anche il più grande (aggettivo)
Sei troppo lontano dalla lavagna, mettiti più vicino! (avverbio)
Nello svolgimento di questa ricerca azione, mi sono attenuto pressoché fedelmente ai dettami proposti dal Giscel (dei quali ho appena riportato un esempio), apportando solo piccole variazioni dovute alla necessità di tarare la strategia didattica su quella che è la fisionomia unica della mia classe.
Al fine di aumentare il livello motivazionale, ho indugiato spesso sull’aspetto ludico e, direi, anche manipolativo (a titolo esemplificativo: dopo aver analizzato il ruolo delle preposizioni in alcune fiabe, abbiamo riscritto alcuni brani delle stesse e poi, proprio nei punti di collegamento, abbiamo disegnato delle tessere di puzzle, abbiamo, quindi, ritagliato il testo seguendo le tessere, verificando così che esse funzionano proprio come elementi di incastro).
La ricerca ci ha impegnati per circa due mesi.
Ho registrato sempre un interesse costante da parte dei ragazzi: alcuni di essi proponevano addirittura dei testi portati da casa, inventavano esercizi e modalità di esecuzione degli stessi: piccolo gruppo, coppia, singolarmente, alla lavagna multimediale…
Conclusione: il percorso pensato dal Giscel, così come è stato strutturato, si è rivelato ragionevole, dal punto di vista dell’insegnamento, perché fondato sul rigore e perché è stato facilmente “fattibile” in classe; stabile, sotto il profilo dell’apprendimento, perché ha proposto poche conoscenze ed abilità, le quali, mi sembra, sono state acquisite e si sono consolidate in modo permanente (dalle verifiche fatte, anche a distanza di più di un mese dalla fine del percorso, solo un alunno – peraltro facilmente “recuperabile” attraverso un’attività individualizzata di rinforzo – su 23 non ha ottenuto livelli pienamente soddisfacenti).
Alla luce dell’esito positivo di questa esperienza, mi domando: perché è difficile giungere ad una diffusa condivisione di questi percorsi, di queste metodologie, di queste idee e, in sostanza, di queste buone pratiche di insegnamento, quali quelle proposte dal Giscel?
In attesa di risposte convincenti al mio quesito, attendo le giornate, dal 4 al 6 marzo, nelle quali avranno luogo i lavori del XVI Convegno Nazionale GISCEL (dal titolo: La grammatica a scuola: quando? come? quale? perché?) che si terrà a Padova.