Una società che non riconosce il suo linguaggio è una torre di Babele: perde il senso delle sue azioni, scalpita per nulla e non reagisce nei momenti cruciali. La parola in oggetto è il termine “riforma”: l’etimo è chiaro e rimanda al “verbum” latino “forma”, bellezza, armonia. Fare una riforma significa dare bellezza alle cose , una sorta di make up della compagine sociale. Il mondo classico non opponeva mai forma a sostanza, anzi la forma era la manifestazione della sostanza. La virtu’ (aretè) passava attraversa la visibilità della bellezza.
La riforma scolastica che avrà la sua applicazione con il prossimo anno scolastico ha sicuramente eliminato quel cattivo gusto, un po’ barocco, un po’ kitch delle sperimentazioni anarchiche della scuola italiana, eccellenze mancate e differenziazioni assurde, prive di alcun riconoscimento meno quello di una insensata autoreferenzialità, ma non ha saputo valorizzare la potenzialità, unica nella realtà europea, dello studio della classicità e del suo valore aggiunto.
La classificazione degli indirizzi liceali (classico, scientifico, linguistico, delle scienze umane, musicale e coreutico) sarebbe meritorio se il verbum corrispondesse alla res: il termine “Liceo” deriva dalla sua location d’eccezione, ad Atene presso il tempio di Apollo Liceo , ossia Apollo nato dalla luce (da una radice leuk)[1].
Questo desiderio di illuminare la società attraverso lo strumento formativo della scuola viene sconfessato dai contenuti di questa riforma che, come la natura leopardiana, non dà quel che promette: il trattamento riservato alla nostra cultura classica è stato altamente ingrato se consideriamo il ruolo di Cenerentola del latino nei Licei scientifici e linguistici.
Va da sé il valore di conoscenza preliminare del latino nello studio non solo nelle lingue indeuropee ma anche nelle lingue semitiche: diviene impensabile intraprendere lo studio dell’arabo o dell’ebraico senza una solida padronanza della lingua di Cicerone: ne viene minata la nostra capacità di inserirci nel gioco diplomatico e nella conoscenza dei problemi medio-orientali. I grandi maestri della diplomazia internazionale sono stati grandi filologi: i comportamenti passano dalle parole. Il servizio segreto inglese, per minare l’impero ottomano in Arabia, scelse un archeologo laureato a Oxford in culture dell’arabo e delle lingue classiche.
Ancora più scandaloso il ridimensionamento orario del latino al Liceo Scientifico: come si può parlare di matematica o meglio ancora di informatica e di algoritmi risolutivi senza approfondire il meccanismo della traduzione scientifica di un testo latino: che cosa è la comprensione di un brano se non un algoritmo e che cosa è la sua schematizzazione ad albero se non la traduzione in un linguaggio? La formalizzazione della traduzione è la formalizzazione di un algoritmo, ossia l’interpretazione e la soluzione di un problema matematico.
Illuminante l’articolo uscito sull’Espresso (gennaio 2010) di Paolo Pantoniere a colloquio con Lorenzo Thione, uno dei maggiori cervelli di Bing, il nuovo motore di ricerca di Microsoft: “Il futuro dei motori di ricerca è nell’analisi logica[…]. Senza il latino, probabilmente, Bing non sarebbe quello che è e che sarà”. Il guru dell’informatica sostiene che la grammatica e l’analisi logica, i mattoni della morfologia e della sintassi latina sono le basi per lo sviluppo dell’informatica e della ricerca scientifica in senso lato.
È vero che i capitali della ricerca sono statunitensi, ma spesso e volentieri i cervelli sono italiani poiché la scuola superiore italiana, anche se scalcinata e senza laboratori e computer, ha sempre puntato sulla logica e sul pensiero attraverso paradigmi sensibili come il greco e il latino.
La riduzione, da parte della nuova riforma, di queste parti vitali non fa onore non tanto alla riforma stessa ma soprattutto a quella classe docente che ha sempre congiurato per calpestare queste risorse. Tante voci si sono levate per introdurre l’educazione alla salute, l’educazione sessuale, l’educazione stradale; mai nessuno per l’educazione al pensiero, per l’autonomia del proprio cervello, per l’eccellenza della conoscenza.
La miseria intellettuale di gran parte della classe docente responsabile di questa riforma ricade sul futuro delle nuove generazioni sempre meno consapevoli e meno creative: la consapevolezza e la creatività passa attraverso il colloquio con il diverso, con l’altro da sé che si scopre, tuttavia, così vicino a sé: non altro che il concetto di Humanitas già ben individuato ed espresso nell’Hecyra di Terenzio.
Il circolo degli Scipioni cooptò un poeta africano, per esprimere un concetto di universalismo che sarà alla base dell’impero romano, della cultura ellenistica e di ogni concetto di internazionalizzazione, mondializzazione e globalizzazione futura.
[1] Si segnalano anche altre etimologie, sicuramente meno illuminanti: Apollo che uccise il lupo (leukos ) o nato dalla Licia