Dal Rinascimento al Novecento tra Venezia e mondi lontani.
Trento, Castello del Buonconsiglio; Vigo di Ton, Castel Thun – 27 giugno – 7 novembre 2010
La mostra si rivela essere un emozionante viaggio alla scoperta dell’arte del vetro e delle sorprendenti creazioni dei maestri veneziani, che a partire dal Rinascimento fino al Novecento, hanno conquistato mondi lontani, lungo rotte di terra e di mare, hanno superato difficoltà e crisi con creatività e innovazioni continue senza tradire i segreti trasmessi da padre in figlio.
L’approccio scenografico provoca diverse suggestioni: si penetra nelle fornaci del vetro, dove nascono i capolavori di Murano, si assiste all’emergere di vascelli dai fondali marini, si è ospiti alle tavole di mecenati, e delle feste del Continente Nero.
Entriamo subito nel ventre di una nave cinquecentesca affondata a Gnalic per vedere i reperti affiorare dall’acqua, tra sogno di navi fantasma e memorie di Corto Maltese, oltre lo spazio e il tempo presente.
Il relitto dello scoglio di Gnalic’ fu estratto un paio di miglia dalla cittadina da Zara vecchia, l’attuale Biograd. La scoperta del relitto, giacente su un fondo di m 26-30 di profondità, venne effettuata nel 1967 dai pescatori. Come sorpresi da una novella lampada di Aladino, nonostante lo scafo fosse molto corroso, non si sono arresi, ed hanno portato alla luce, in ottimo stato di conservazione, un carico di mercanzia veneziana della fine del XVI secolo: botti di legno, stoffe damascate, una collezione di vetri muranesi, sorprendente per quantità e qualità; 2500 oggetti di vetro: perle di vetro, vetri cavi e vetri piatti, bicchieri, bottiglie, ampolle, fiaschette, boccali, vasi, calici di vetro soffiato , ciotole e piatti di fattura tipicamente muranese, i “rui”, tipici dischi di vetro che riempiono le finestre veneziane, con decorazioni del repertorio turco, e cinquanta lastre (forse i cosiddetti “quari” ) da specchio grezzo. Si aggiungono centinaia di pezzi che potrebbero comporre otto lampadari da soffitto e sessanta lampade da parete.,lampadari in ottone, il tutto smontato e imballato in botti di legno, provenienti dal nord Europa, come indicato dalla presenza di aquile bicipiti. In un grande baule perfettamente conservato è stato protetto con tanto di sacco piombato un rotolo di 54 metri di seta damascata color porpora, decorata con motivi vegetali. riposta con camicie bianche di cotone e berretti neri di lana, vicino a numerosissime scatole e scatolette contenenti alcune centinaia di oggetti di uso quotidiani: ditali, aghi da cucito, aghi fermaglio, rasoi, occhiali, forbici per tagliare lo stoppino delle lampade, sonagli, un bilancino di precisione con tutta la serie di pesi. Se le confezioni sono quasi sempre ben conservate, gli oggetti da metalli semilavorati sono molto corrosi e incrostati.
Diverso ma sempre coinvolgente l’apparato scenografico della tavola imbandita per noi in modo sontuoso: tra calici, coppe, piatti, candelieri, bottiglie, alzate da frutta trasparenti, brocche chiare si alternano pesci, granchi, paguri rossi, oggetti in giallo topazio, opera di Silvano Signoretto di Murano
Veniamo da qui introdotti alla preziosa collezione del misterioso ufficiale asburgico Taddeo de Tonelli, donata a metà Ottocento al museo del Castello, sorprendono due rari pezzi rinascimentali. Si tratta di un piatto e un calice con decorazioni a smalto.
Ogni pezzo restituisce l’immagine delle molteplici applicazioni del vetro, come materia straordinariamente duttile e versatile. A partire dall’epoca rinascimentale, le officine dei vetrai muranesi influenzarono la storia del vetro europeo grazie a sempre nuove scoperte: dal cristallino, al lattimo, dal calcedonio all’applicazione di tecniche innovative come la filigrana a reticello e a retortoli, la scoperta dell’avventurina, le perle a rosetta, le murrine.
Siamo arrivati senza accorgercene alla ricca e corposa sezione dedicata alle variopinte collane di perle vitree, molte hanno riattraversato il mare, sono di foggia arrotondata e ovale, mazzette di conterie con tutte le sfumature dei colori, modelli per campionari di future collane, murrine per orecchini, bracciali, paternostri, colletti, cravatte, pendagli, spilloni, fiori, medaglie di ritratti risorgimentali.
Si possono ammirare le perle a rosetta del XV secolo, le cosiddette “regine delle perle”, merce di scambio per acquistare oro, avorio e schiavi. Si dice che nel 1626 l’olandese Peter Minnit abbia comprato l’isola di Manhattan dagli indiani per un valore totale di ventiquattro dollari in perle di vetro.
Il commercio di perle veneziane era attivo con il Levante, il Magreb e il Nord Europa già nel Trecento, ma fu dopo la scoperta dell’America che ai commercianti si aprì un nuovo importante mercato: le Indie, le Americhe e l’Africa dove il vetro era raro e quindi prezioso.
Nel continente nero le perle di Murano ebbero un successo che è vivo ancora oggi.
Per soddisfare i gusti delle diverse etnie africane, i maestri veneziani arrivarono a creare più di centomila tipi di perline. La rosetta veneziana divenne la tipica perla dei capi.
L’etnia ghanese dei Krobo prevede un rito di iniziazione delle fanciulle che consiste nell’infilare attorno al colle delle ragazze chili di collane di perle su tutto il corpo, a rosetta ma anche millefiori. Questi monili sono la dote preziosa di ogni principessa, vengono trasmessi da madre a figlia e in caso di emergenza rappresentano un vero e proprio tesoro. Poi gli africani s’impadronirono dell’arte veneziana e intrecciarono perle con conchiglie, tessuti, pellame, per tappeti, abiti, cuscini, cinture, borse, pettorali … qui esposti in tutto il loro splendore.
Le collane di pasta vitrea hanno una funzione di protezione dalle malattie e dagli influssi negativi, più sono antiche le rosette e più vengono considerate potenti dal punto di vista curativo. In alcune regioni del Ghana le gestanti prendono antiche paste vitree veneziane e le mettono in un bicchiere d’acqua che berranno dopo il parto per dare forza al nuovo nato.
Nel vetro s’immortalano vicende umane secolari attraversate da dolori, paure, energie vitali, fascini culturali che si tramandano per centinaia di anni e ancora rivivono.
Dalle sale luminose scivoliamo in uno spazio raccolto, reso magico da specchi fumé “La spezieria di matrice medievale”, legata agli orti dei semplici, siti nei conventi come negli ospitali.
Il gabinetto dello speziale ha rimandi a noi noti ed altri ricchi di mistero, grazie a ampolline, polveri, vasetti cilindrici, essenze, profumi, alambicchi, serpentine, alberelli di varia grandezza, campane, bottiglie e bicchieri di San Nicola, poi farmacie portatili in cofanetti di cuoio o legno, contenenti bottigliette, miniscatole colorate dal giallo al verde, bottiglie più grandi con piede a lenticchia, o corpo a conchiglia, coppette, orinali, aspiranti il latte, calici da parata turchesi.
Nell ‘800 il vetro si rianima con nuove produzioni sperimentali: pistole e strumenti musicali in vetro: calici, arpe, organi e pistole, trombe, il favoloso flauto di Napoleone.
Il flauto in vetro di Napoleone, recuperato dagli inglesi dopo la battaglia di Waterloo, ha una storia veramente incredibile: l’imperatore era solito portarlo con sé anche in battaglia, e, come recita l’affidavit depositato presso un notaio inglese dalla precedente proprietaria: “Fu sottratto dal suo bagaglio nella battaglia di Waterloo nel 1815 dal prozio del mio vecchio marito Captain Ralph Mansfield, allora Lieutenant del 15° Regimental Hussars del Re.”
Esiste un aneddoto raccontato nel 1847 su questo mitico flauto. “Poco prima della campagna di Russia (maggio 1812) fu tenuto un concerto alle Tuilleries con un numeroso gruppo di musicisti e un folto uditorio, che comprendeva l’imperatore e sua moglie, Tallierand e molti altri. Sul pianoforte giaceva il flauto dell’imperatore. Alla fine, quasi al termine del concerto, Napoleone andò dai musicisti e iniziò a parlare con loro, dapprima sulla musica e poi sul fatto di essere disposti a studiarla ulteriormente. Drouet disse “Il giorno che non avrò altro da studiare brucerò il mio flauto”. A Napoleone piacque questa affermazione e alla fine tirò fuori il flauto di cristallo dicendo “Allora, Drouet, voi dovete avere un flauto che non bruci!” e gli porse il flauto perché lo suonasse. Drouet andò in estasi e il resto del concerto fu dedicato alla musica per flauto, questa volta suonata col flauto di cristallo di Laurent. Napoleone rimase stupefatto e disse a Drouet che suonava con un talento soprannaturale che cent’anni prima lo avrebbe condotto al rogo come mago.
Anche la scatola dello strumento ha tutta una sua storia, essendo firmata dal più famoso ebanista dell’epoca, Tajan, con che vi ha inciso queste parole: “Tahan Ebenistre a Paris vat quitter Paris pour voir les anglois Se amis car il est La de Paris, 1814 (“Tahan, ebanista a Parigi, ha intenzione di lasciare Parigi per visitare gli inglesi suoi amici perché è stanco di Parigi, 1814”).
Dal Risorgimento entriamo nel ‘900, nasce il progetto. Dopo che per anni artisti, insegnanti di disegno, architetti che proponevano nuovi modelli e correggevano le inesattezze più in un’ottica di rispetto della tradizione che di invenzione, il primo designer imposta un rapporto nuovo con i vetrai e riesce a imporre le proprie scelte innovative e il proprio gusto “moderno” è Vittorio Zecchin che collabora dal 1921 con i vetrai Giacomo Cappellin e Paolo Venini. La sua idea è di reagire all’eccesso di decorazioni e di citazioni dello stile eclettico d’inizio secolo, recuperando la purezza e la semplicità delle forme dei vetri rinascimentali “vaso Veronese” e dei vetri romani, ”il vaso libellula” ha le grandi e leggerissime anse. Napoleone Martinuzzi porta a Venezia l’Art Dèco; l’architetto Tommaso Buzzi, raffinatissimo esteta suggerisce alla vetreria una nota di leggerezza La grande stagione della Venini troverà infine in Carlo Scarpa il più moderno, coraggioso e innovatore interprete. e in Ercole Barovier, discendente della più famosa famiglia di vetrai dell’isola, un designer di grande fantasia e talento
Procediamo verso il giardino ricco di una grande varietà di piante odorose e ornamentali. Poi riprendiamo per Porta di S. Vigilio.
Qui si chiude l’emozionante viaggio alla scoperta dell’arte del vetro. Abbiamo gustato capolavori rinascimentali, gioielli del settecento, la fantasia romantica ed i sogni risorgimentali, la vitalità del novecento, ripassato la storia attraverso il vetro, la geografia attraverso gli scambi vitali fatti di cultura e di commerci, propri dei paesi oltremare; abbiamo incontrato frammenti significativi delle civiltà raggiunte da Venezia, le loro memorie, mediate dal mare e da centinaia di vetri, cristalli, porcellane, perle. Le perle blu simboleggiano tenerezza e affetto, le gialle maturità e prosperità: ve le offriamo con simpatia per invitarvi a coglierle di persona.
I vetri della collezione di Castel Thun
Thun merita una visita a sé, visto che si è felicemente concluso il restauro architettonico e degli arredi, con lampadari delle vetrerie muranesi e dei cristalli boemi. L’esposizione è invece posta in un torrione del castello ed è dedicata a una raccolta di produzione ottocentesca in gran parte boema, che prediligeva colori intensi come il blu, il rosso disposti a strati sovrapposti (incamiciati) o l’innovativa soluzione tecnica della tonalità giallo/verde ottenuto con ossido di uranio. Non mancano manufatti dello stile muranese, oggetti di raffinato virtuosismo contrapposto alla semplicità e alla funzionalità di oggetti realizzati per essere destinati alla quotidianità della vita del castello. Quali abbiamo visto nelle due grandi cucine.
La lettura di questo articolo mi ha fatto rivivere con più attenzione ed intensità i piacevoli momenti della mia visita alla mostra del vetro di Trento. Ha inoltre sollecitato in me alcune riflessioni sulla intraprendenza dei Veneziani, che storicamente conoscevo, ma mai immaginavo quanto e come l’anima del commercio potesse avere impatti culturali così evidenti, vivaci e creativi su popolazioni lontanissime da noi sia geograficamente sia culturalmente. La precisione dei riferimenti ed i commenti dell’autrice sono stati importanti per porre l’attenzione sulle grandi capacità creative e trasformative di tutte le società. In questo momento storico abbiamo proprio bisogno di ricordarcelo.
Pittoresco e suggestivo questo inusuale percorso, che ha per oggetto una materia trasparente, colorata e fragile come il vetro.Ed esempio anche di un itinerario all’ insegna della multiculturalità, in quanto la storia, la geografia,la sociologia,l’economia, l’antropologia in generale emergono nei rapporti tra popoli così diversi e lontani, hanno a protagonisti personaggi prestigiosi e scenari affascinanti, che l’autrice evoca con efficacia ed immediatezza,descrivono con puntualità gli oggetti più dissimili, dalle armi e dagli strumenti musicali ai molteplici giri di collane variopinte. Insomma , un invito a visitare la mostra, per viverne la magia e la creatività.
La mostra è molto bella, ma non dovrei esser io a dirlo essendo coinvolto, ma ho trovata molto ben fatta la vostra recensione, partecipata e coinvolgente. Avete colto il significato e la magia delle perle colorate oggetti di ornamento ma di alto contenuto magico ed apotropaico. Complimenti!