Forlì, Musei San Domenico – 29 gennaio – 12 giugno 2011
“Ho visto cose tra la terra e il cielo che voi umani non potreste immaginare…sono gli angeli di Melozzo. Il divino si è incarnato, ha assunto sembianze umane, ma l’umanizzazione è avvenuta “sub specie pulchritudinis”.
Per documentare il percorso compiuto dall’artista forlivese, la mostra affianca alle sue opere capolavori di artisti con i quali venne in contatto nel corso della sua formazione, da Andrea Mantegna a Piero della Francesca, a Bramante e a Pedro Berruguete, in Urbino. Seguita poi dall’attività romana, (ai Santi Apostoli e poi nella Biblioteca Vaticana: Sisto IV nomina il Platina Prefetto della biblioteca, 1475), ed ecco con le sue, le opere degli artisti incontrati nella città dei Papi, da Beato Angelico a Mino da Fiesole a Perugino e Raffaello, che dopo di lui arrivò al successo romano.
Il celebre “pictor papalis” deve aver colpito l’attenzione di Raffaello, sostiene il prof. Paolucci, forse, da adolescente, aveva probabilmente sentito parlare, alla corte di Urbino, degli affreschi a Loreto… regnante il grande pontefice Sisto IV della Rovere mecenate del romagnolo Melozzo “totius Italiae pictor incomparabilis”.
A noi è consentito un approccio completo e originale alla sagrestia di San Marco: entriamo nella basilica di Loreto, grazie alle nuove tecnologie, quindi riprodotta e visibile in 3D, con tanto di occhialini! Ed è una sorpresa insieme illusionistica e naturale, come, forse, per i visitatori di allora. Ci è consentito verificare l’intreccio relazionale ravvicinato che il pittore seppe istituire con l’ambiente architettonico destinato a contenere gli affreschi.
Nel soffitto di un’apposita saletta, con i citati occhialini, ci appare la cupola decorata da Michelozzo e ora restaurata: il primo impatto è di uno spazio fortemente colorato in cui le singole raffigurazioni sono legate da un sottile filo conduttore, l’occhio raggiunge lo stemma centrale e ridiscende, con movimento circolare, ai dettagli della struttura a pianta ottagonale, una volta ogivale compartita in otto vele, disposte in posizione radiale. Una ghirlanda di cherubini, otto angeli intermedi e al di sotto, otto profeti seduti sul cornicione entrano a far parte dello spazio reale, come trattenuti da una voliera di marmo dorato. Narrano le Storie della Passione di Cristo.
Ci è dato cogliere il ritmo di una visione unitaria (che neppure Gnudi aveva intravisto, dal vero) grazie ai restauri e agli accorgimenti tecnologici contemporanei. Confortati infine da Stefano Tumidei che scioglie i dubbi residui circa l’autografia del ciclo all’interno del percorso di Melozzo.
La volta della Sagrestia di San Marco si presenta interamente compiuta, persino nelle rifiniture in oro che, poste “a foglia” a decorazione dei partiti architettonici e “a conchiglia” nelle lumeggiature delle vesti degli angeli, costituiva l’ultimo intervento dell’artista prima di rientrare a Forlì. Su tale volta, qui ripetuta, sono visibili i simboli della Passione retti dagli angeli, le arma Christi della tradizione medievale, e le scritte rette dai profeti. Ma Michelozzo non è solo profondamente preparato sul piano teologico, esprime un’intensa energia cromatica, dipinge un particolare susseguirsi dei colori tra le vesti e i mantelli degli angeli e quelle dei profeti. I colori base, bianchi, verde, ocra, rosso nell’alternarsi inviano rimandi come dialoganti, a volte di contrasto a volte sfumandosi uno nell’altro, mentre. la corona di cherubini al disopra delle grandi visioni, riporta espressioni vivaci, diversissime, in eccitata comunicazione.
Bruscamente interrotta la Sagrestia di San Marco, Melozzo era, di fatto, tornato a Forlì, per decorare la cappella di San Giacomo, ambientata entro un doppio loggiato, che sulla colonna centrale portava iscritto il monogramma di Palmezzano e una data, leggibile forse come 1495, l’anno cioè “della congiura fatale contro Giacomo di Feo”. Non la immagino, la ritrovo solo nelle foto scattate da Alinari, per la mostra del 1938. E’ una ricca, emozionante documentazione grafica, presentata nella sezione introduttiva alla mostra attuale.
Risulta a noi visitatori contemporanei, significativa l’introduzione in bianco e nero delle due mostre curate nel ‘900, in particolare la mostra curata dal Prof. Buscaroli nel ’38, che vide l’interesse diretto di Mussolini e la visita del principe Umberto…
Dopo l’impegnativa introduzione/traduzione, che ci ha fatto attraversare il mondo del primo novecento e la tragica conclusione dello stesso, con la guerra, saliamo al primo piano a scoprire passo passo i dipinti in mostra, con la ferita nel cuore…Ma veniamo consolati.
Andrea Mantegna. “Sant’Eufemia”. Cupa, manto blu verde scuro quasi inchiostro nero,trafitto da una spada, viso pallido impietrito…
Antoniazzo Romano”San Vincenzo Ferrer” Vero, dal tondo gotico .
Morbido e solare invece, il “Volto di Cristo” del Beato Angelico: Un viso trasfigurato con tutte le sfumature di un biondo caldo quasi dorato,dal’incarnato ai capelli., agli occhi acquosi, chiari chiari.
Ha rimandi suggestivi anche la” Madonna col Bambino benedicente.”( Beato Angelico), Il bambino benedicente, regge nella mano sinistra il globo, con la destra benedice, ma non ha forme di bimbo, bensì di ragazzino quasi adulto,in esso l’autore sembra chiedersi e suggerirci ma Gesù è stato bambino?, fino a quando?
Se Benozzo Gozzoli,con “Sposalizio mistico di Santa Caterina e Santi” rimanda alle icone, molto moderno il piccolo quadro di Botticelli. “ Il ritorno di Giuditta dal campo nemico”. Sfumature violacee e vellutate nelle pieghe dell’abito, indaco il cielo,il volto e gli occhi con un che di malinconico … d’indefinito,di ambivalente, in mano la spada sembra non appartenerle, ma Giuditta è seguita a passo di danza affrettata dall’ancella, che porta sul capo, avvolto in un telo, la testa di Oloferne: il tragico atto è stato compiuto!
Domenico Ghirlandaio “San Girolamo nello studio.” Presentato con una cura minuziosa dei dettagli, preziosa attenzione al valore dello studio.
Parte da una visione diversa un “San Girolamo” di Piero della Francesca quasi angelicato, senza peso, con abiti di velo, posto su un muricciolo, sembra su un cuscino d’aria, ascolta un devoto, a mani giunte, con abito cardinalizio pieno di pieghe sfumate fino ai piedi. Entrambi sono in un contesto campestre con una città turrita alle spalle. Donato Bramante: un “Armigero”. Severo, e un accattivante “corista” due modi di essere, due personalità a confronto che anticipano Melozzo.
“L’Annunciazione” di Luca Signorelli ha un pathos particolare, i colori scuri e le mura opprimenti sullo sfondo, così diverse dalle prospettive ariose del Perugino, queste esprimono ansia, timore, preoccupazione bisognerà arrivare alla Merini per cogliere sentimenti così umani nel Magnificat.
Intrigante la “Madonna col Bambino, putti musicanti, San Giovanni Evangelista e il beato Giacomo Filippo Bertoni.”(Maestro della Pala Bertoni) Sembra dipinto da due mani diverse: una che coglie l’ equilibrio nel movimento circolare dalla maestà agli angelioletti giocosi sui gradini, che si rincorrono, il cerchio si allarga e poi ingloba il Battista. Isolato come un collage, stilizzato, un frate in preghiera … fuori contesto, mentre si giustifica il velo di Maria strapazzato., mentre il san Giovanni nel circuito prezioso della madre e del bambino ispirerà i Preraffaelliti. Nel cielo azzurro scorrono nuvole chiare come garbate onde spumeggianti.
Marco Palmezzano. “Madonna in trono col Bambino, San Michele Arcangelo e San Giacomo Minore,” Il trono sembra improvvisato, lo stile scenografico verrà utilizzato da diversi artisti in seguito, ora è ammassato di forme, colori, movimenti.
Colpisce un San Michele guerriero come fosse Giovanna d’Arco, ed un San Giacomo con abiti principeschi dai risvolti rosati.
Melozzo da Forlì “Angelo annunciante”. Superati gli echi del Perugino, Angelo con abito svolazzante, ma con ali dai colori intense, abito scuro di fronte ad una Maria severa, raccolta in preghiera “Vergine annunciata”. Dalle prime opere a“San Marco Papa” La distanza dell’autorità,occhi penetranti, colori vivi, nella barba curatissima l’ironia verso il mondo cortigiano;“San Marco evangelista.” La passione di chi stende un’opera sacra con finezza esecutiva, la pergamena di Marco ha un testo leggibile, la figura è resa con colori caldi che si fondono nella tela, grazie ad una luce radente dal basso alla pergamena
Trionfo di luce e di colori nell’ “Angelo che suona il liuto” . La bellezza insieme celeste e terrena: biondi capelli al vento luminosi, sguardo diretto all’osservatore o rivolto al cielo, incarnati naturalmente rosati ;“
Angelo che suona la viola.”Ancora più appassionato, incarna una gioiosità vitalità. Turchesi o rosati gli angeli comunicano una chiara impronta divina che non ammette incertezze. Dipinti tra i più cari all’immaginario artistico universale, affascinano ancora oggi: a conferma che c’è un impasto di fango e di luce divina negli uomini come negli angeli.
Gli Apostoli, accanto agli Angeli musicanti, sono collocati, intorno all’ “affresco del Platina”, (provenienti dalla distrutta decorazione absidale della chiesa romana dei Santi Apostoli) Melozzo li rappresenta in un azzurrissimo empireo a cantare le lodi, sono portatori della stessa bellezza che è presente, per lui , nelle donne e negli uomini di questo mondo, la giovinezza ariosa e piena di grazia cui seguiranno i volti di Raffaello, le figure di Michelangelo.
Ma l’impianto scenografico di “Sisto IV nomina Bartolomeo Platina Prefetto della biblioteca” merita ci si soffermi a lungo, fatto di armonia e solennità,. C’è tutto il senso della maestosità proprio di Piero della Francesca, insieme a sfumature che individuano i sottintesi degli ambienti curiali, le occhiate di traverso, i bisbigli, le ambiguità ,di cui Melozzo deve aver conosciuto più aspetti. Le figure autorevoli sono distratte, mentre Melozzo le inquadra nella prospettiva superba di un salone con colonne marmoree, decorazioni arabescate, soffitto a cassettoni. La prospettiva corre alle vetrate dello sfondo, torna alla poltrona papale, e Sisto IV si impone, il prefetto è inginocchiato ai piedi del Pontefice, lo studia, i loro occhi non si incrociano. I colori degli abiti sfumano da una veste ad un manto ad un altro abito in una scena fortemente teatrale fatta di giochi di ruolo e armonie visive: è la rappresentazione di una udienza di altissimo rilievo. Intorno al Papa ci sono i rappresentanti della famiglia pontificia e i membri eminenti della Curia: il nipote Giuliano Della Rovere che sarà Papa col nome di Giulio II e il grande cardinale Pietro Riario, da un anno non più fra i vivi. Tutto è ordine, solennità, protocollo, ma c’è la capacita psicologica di svelare doppi sensi pur nella gravità di azioni e di gesti. Oggi non riconosceremmo volti e nomi se ci venissero suggeriti, ma i contemporanei di Melozzo sì.
A lato, come anticipato due” Testa di apostolo.” pieni di personalità, sono l’altra faccia della medaglia delle doti pittoriche di Melozzo, in grado di rendere la fermezza, come espressione di forza interiore. Virtù valorizzata ancor più nel “Salvatore benedicente”: Occhi chiari e pieni di tristezza, in contrasto con colore olivastro del volto,i capelli e la barba scuri, l’abito rosato ove il nostro sguardo si riposa partecipe del dolore.
Non perdiamoci Le sculture di Mino da Fiesole in particolare “Madonna col Bambino” in marmo bianco levigato, esse esprimono tenerezza e grazia.
Con le”Storie del Corpus Domini” di Paolo Uccello apriamo un discorso diverso, originale,alternativo, sono convincenti sequenze che si sviluppano da perfetti equilibri prospettici iniziali alla visione finale piena di figure in movimento, di colori variegati; sui quali prevale il rosso, il paesaggio stesso si fa poi drammatico per la capacità visionaria dell’autore, che nella successione dei riquadri sembra anticipare i fumetti.
Pedro Berruguete ne “Imago pietatis con due angeli” sostituisce i colori caldi di Paolo Uccello con colori lividi e ne il Cristo e nei due piccoli angeli che tentano di sostenerlo, piangenti trasuda sofferenza indinita..
“Sant’Ambrogio” “Boezio” (Pedro Berruguete e Giusto di Gand) due diverse personalità si confrontano, potenti nella figura, nell’ uso deciso di abiti seri, arricchiti da preziosi oggetti luminosi, mitria o corona. Ma osservate le mani!, in Boezio, le dita si articolano nervose, in Ambrogio si muovono con gesti stereotipati.
Per rivisitare la grazia ci soffermiamo sull’“Annunciazione” di Perugino: un angelo dai capelli appena mossi dal venticello primaverile, fissa lo sguardo in quello interrogativo di Maria, che si ritrae con un movimento leggiadro, delicato l’ovale ed il profilo di entrambi .
Sempre del Perugino”Ritratto di Francesco delle Opere” efficace la resa dello sguardo intenso, i capelli arruffati danno un tocco di energia giovanile, senza una sbavatura l’abbigliamento, nello sfondo l’amata vegetazione lacustre .
Ancora più giovane e più autorevole “San Giuliano” di Piero della Francesca:in un frammento di affresco ci colpisce la fissità dello sguardo, come attonito, interrogativo, del santo, la piega amara sulle labbra, un incarnato realistico del volto, del capo e del collo impongono rispetto.
La capacità di Piero della Francesca di rendere l’immobilità dell’aria attraverso il gioco di luce e l’equilibrio fra pieni e vuoti, per pause di sospensione, la ritroviamo potenziata ne la“Madonna di Senigallia”. qui presentata dopo il recente restauro. Si è alla presenza di una madre perfetta come il velo perlaceo che ha sul capo con riflessi argentei, il bimbo sembra officiare un rito con serietà. Accanto a loro, forse giovani della famiglia benefattrice sono resi angeli impassibili e delicati negli atteggiamenti e negli abiti.
“Il martirio di San Sebastiano” . Raffaello. Discepolo del perugino, un viso dai tratti angelicati, lievemente arrotondato, tutto calibrato nello sguardo, negli abiti, un ragazzo diventato uomo nel giorno in cui è stato sacrificato.
Conclusa la parte della mostra dedicata a Melozzo ed ai suoi contemporanei, ci soffermiamo con immutato interesse ai “Codici Miniati”, espressione di :arte raffinata, in grado di intrecciare la parola e la pittura, di trasmettere emozioni grazie alle forme precise, ai colori intensi, blu elettrici , verde e oro che si alternano ai gialli ed ai rossi.
Si lascia la mostra più lieti di quando si è entrati
“La Bellezza che si incarna nelle sembianze delle donne e degli uomini è gioia dei sensi, consolazione dell’anima, ombra di Dio sulla terra. Questo pensavano i grandi artisti che, sotto il segno di Melozzo, nella luce di Piero della Francesca e di Raffaello, troveranno ospitalità al San Domenico di Forlì.
Alla loro idea, ancora viva e attuale nel cuore e nella nostalgia di ognuno, abbiamo voluto rendere omaggio”.(Paolucci)
Congratulazioni; nella realtà faticosa del presente è da vedere e rivedere.
Molto interessante e chiaro, più delle numerose tavole che, per eccesso di dati, tendono a confondere il visitatore.i