Il Simbolismo in Italia – Padova, Palazzo Zabarella 1 ottobre 2011 – 12 febbraio 2012
Per immergerci nel simbolismo italiano bisogna cogliere la bella occasione della mostra di Padova a palazzo Zabarella.
Il percorso della mostra si dipana dagli anni ottanta del XIX secolo per giungere alla vigilia della prima guerra mondiale: un arco di tempo che segna il passaggio, nelle arti figurative, dai temi del Realismo e del Naturalismo alle poetiche del Decadentismo, alimentate, queste ultime, dalla scoperta dell’inconscio e dal suo straordinario apporto di suggestioni e immaginazioni.
La mostra – successiva a quella del 2008 a Palazzo dei Diamanti, approfondisce il Simbolismo in Italia; presenta una selezione di opere fondamentali, che raccontano l’avvincente tramonto del secolo verso lo spiritualismo estetizzante rivolto al mito, al sogno, all’enigma, al mistero. Contemporaneamente alle visioni estetiche si sviluppava un acceso dibattito sulla missione dell’arte in anni di decisive mutazioni sociali; se ne discuteva nei circoli letterari e filosofici governati da personalità del calibro di Gabriele D’Annunzio e di Angelo Conti, aleggiava nei cenacoli musicali devoti a Wagner e impegnati in esperimenti sonori d’avanguardia. Gli italiani contribuirono al grande laboratorio delle Esposizioni aperto (finalmente) ai movimenti europei e agli artisti, come Klimt e Böcklin, che diverranno esempi di vita artistica originalissima.
Il dibattito teorico prenderà a Vienna, Berlino, e a Brema la strada opposta dell’espressionismo. L’itinerario dell’esposizione di Palazzo Zabarella rimanda, alla Triennale di Brera del 1891, ci immerge immediatamente in questa realtà ricca di simboli.
Il mistero della maternità presenta affiancate Le due madri di Giovanni Segantini
e Maternità di Gaetano Previati, i quadri che sancirono, al loro apparire, la sintesi fra la tecnica del divisionismo e i contenuti simbolici che quello stile consentiva di rappresentare. La tenerezza di Segantini è espressa col massimo del sentimento, una luce fioca, nella stalla, accarezza i visi addormentati di una contadina che culla il proprio bimbo, sfiora una mucca che protegge imperturbabile il suo piccolo. Opera che decreterà il successo dell’artista e che ancora oggi resta nell’immaginario sociale come simbolo dell’amore materno. La maternità di Previati è un inno complesso al concetto di maternità, quasi una visione metafisica con rimandi-teologici. Gigantesche ali d’angelo proteggono la relazione madre bambino dai pericoli del mondo.
Altrettanto in contrasto due diversi bassorilievi : Canonica rende con tenerezza Madonna con bambino e Adolfo Wildt sottolinea con secchezza geometrica una Maria dà luce ai pargoli cristiani, tre bimbi dormono appoggiati sui rami mentre una Maria asciutta … li osserva e si ritrae,nel suo manto, come colta di sorpresa.
La sezione che segue, dedicata ai ‘Protagonisti’, riporta subito l’attenzione sui volti e sui temperamenti degli artisti italiani che fra Otto e Novecento parteciparono direttamente alla citata avventura poetica, per molta parte debitrice dei movimenti d’oltralpe, raccolti intorno al celebre Manifesto del 1886 di Jean Moréas e all’“arte di pensiero” .
I protagonisti si presentano con i loro autoritratti ed in pochi casi con produzioni a loro dedicate dagli amici pittori.
Pelizza da Volpedo è un gentiluomo dalla barba lunga, alto ed impettito, dallo sguardo malinconico, Segantini è nervoso in un busto di bronzo di Troubetzkoy, Von Stuck ha occhi vivaci anche nella dissacrante immagine votiva, Sartorio si autocelebra, Chini si ritrae sul lato sinistro di una laguna sovrastata da un paesaggio celeste immenso, Nomellini è collocato in un ovale anonimo ma appare imbronciato, Previati si dipinge solare e sicuro di sé, e Martini , provocatorio illusionista, evoca presenze magiche che saltellano sui libri.
“Un paesaggio è uno stato dell’anima” scriveva Henry-Frédéric Amiel e a questo principio è ispirata la terza sezione della mostra iI sentimento panico della natura paesaggi avvolti nella nebbia(Grubicy de Dragon), i bagliori notturni, tramonti con falce lunare, nevicate, situazioni che facilmente rimandano alla psicologia turbata degli intellettuali di fine secolo: non a caso si è scelto di porre come prefazione angosciante a questo tema l’ Isola dei morti di Böcklin nella quale Otto Vermehren scolpisce cipressi cupi sferzati dal vento, tra massi enormi, in basso una piccola figura bianca si avvicina all’ingresso su una fragile imbarcazione.
Seducenti Mario De Maria, Luna. Tavole di un’osteria ai Prati di Castello, sferzate, come le panche vuote, da raggi lunari, in un disordine severo e pieno di rimandi … simile all’atmosfera dolente, del Giorno di festa all’albergo Trivulzio di Morbelli.
La luce riverbera su tavolate vuote e lucenti, pochi si attardano, raccolti a compiangere la loro solitudine.
Altra solitudine il dolce abbandono sui cuscini in uno sdraio rivolto al tramonto che s’avanza, metafora della nostalgia, della malattia, della morte di Morbelli. Dalla mano è caduto a terra anche un piccolo libro aperto: malinconia. Angoscianti gigantesche foglie di loto nel Nelumbium di Layiolo, si alternano al pacificante laghetto di sogni giovanili di Rossi Rêves de Jeunesse : i cerchi si allontano dall’osservatore, si allargano e cullano miriadi di ninfee. La passeggiata amorosa di Pelizza da Volpedo è un canto all’intesa della coppia immersa in una natura pacificata, la neve nel quadro vicino è opprimente, pesante,come gli sbarramenti di legno e ferro, che sembra vogliano tranciare messaggi vitali, non solo il piccolo ruscello sottostante.
Tramonti arrossati, laghetti coperti da salici, spicchi di luna, poi, grazie a Plinio Nomellini, il vigore del fuoco … che alza una colonna di fumo a metà tra il primitivo ed il mitico Prometeo, accanto un notturno di indecifrabili ombre, poi la lugubre , implacabile malaria di Sartorio. Fortunatamente ci distrae il chiaro di luna di Previati che illumina d’argento un manto bianco abbandonato sulla panchina in mezzo ad un bosco ombrato, ci attira la sinfonia di Grassi Chopin Notturno I op. IX: tra giochi d’ombre e riverberi di luce su travi sconnesse e colonne marmoree si coglie la musicalità della notte.
Nel reagire alle indagini del verismo sociale, lo scandaglio dei simbolisti sonda il mistero della vita, che è il soggetto della quinta sezione dedicata al vivere quotidiano: la processione, le gioie materne, il viatico, la partenza mattutina. L’artista si palesa come il veggente, con il compito, secondo le teorie simboliste, di decifrare il mondo dei fenomeni e di cogliere le affinità latenti e misteriose esistenti tra l’uomo e la realtà circostante. Popolane avvolte in scialli salgono la scalinata per raggiungere le case, mentre le ultime luci del giorno riverberano sul porto, Rosso di sera, buon tempo si spera… forse si prega. (Mario de Maria) … anche le nostre popolane si sono coperte il capo per secoli …
Due diverse processioni (Pelizza da Volpedo) : una avanza sotto la croce, dietro a donne con l’abito nuziale, nella seconda, vista da dietro, lo sguardo si sofferma sulle ombre di bimbi che seguono l’avanzare bianco di chi accompagna Il morticino (Fiore reciso), … la vita è soffio, tutto è vano.
Partenza mattutina: Luigi Selvatico ha l’inquadratura cinematografica di tante nostre stazioni di periferia, dalla quale siamo partiti prima dell’alba.
L’anelito alla gloria di uomini tetragoni, spavaldi contro la morte (Montessi), è preceduta dal tenero abbraccio di una madre verso il bambino e seguita da un’anziana affranta, seduta su un masso, con la testa tra le mani. La sofferenza di chi resta è resa perfettamente sulle tele laterali del trittico.
Balla a sua volta offre tre inquadrature preparate con cura da regista, una trilogia degli affetti : da un lato un cappotto abbandonato sulla poltrona, sul fronte opposto una finestra mezza aperta rimanda luce, al centro la madre, come una madonna quattrocentesca, ascolta la lettura del figlio, con i gomiti sulle sue ginocchia: in un tenero gioco di grigi che s’intrecciano in decine di sfumature diverse.
Fra bianchi e grigi anche il profilo della La madre che cuce di Boccioni, ha la grazia di una duchessa.
Stupende le vecchie, in crocchio, di Casorati una diverse dall’altra, chi assorta, chi mesta, chi curiosa,chi intorpidita,chi sorridente chi grave…. Il pensiero torna ai vecchi, più soli, del citato albergo Trivulzio: le donne anche ottuagenarie sono più vitali, i vecchi appoggiati al tavolo sprofondano nella solitudine. Bisognerebbe fare mille copie da diffondere al Senato e alla Camera de l’inquadratura del Pio Albergo Trivulzio,di Morbelli, a perenne memoria delle fatiche e delle fragilità dell’invecchiare! In tempi di speculazione feroce.
Alle soglie del Novecento, Angelo Conti affermava che la natura, anche nelle sue calme apparenze, era “tutta uno spasimo, una frenesia di rivelarsi ed esprimere, per mezzo dell’uomo il segreto della sua vita”: un segreto che spesso era concentrato in rappresentazioni dense di rimandi letterari, di evocazioni mitologiche, cariche spesso di sensualità, in esse l’artista esibiva la propria cultura ma soprattutto la sua capacità di trasformarne i contenuti in immaginazioni rare e coinvolgenti. L’ispirazione preraffaellita domina la pittura di Giulio Aristide Sartorio, mentre appare troppo costruita la visione delle vergini savie e delle vergini stolte, imita trilogie rinascimentali, ma senza adesione spirituale; sorprende il vigore profetico impresso al Precursore: un Cristo ferito alza le braccia al cielo , rappresenta tutti coloro che un Pilato imbelle vuol sacrificare, atteggiandosi a nobile romano, il volto nascosto da un copricapo bianco, arabeggiante, guarnito d’alloro, e l’ angelo alle sue spalle non può che inorridire. Adolfo De Carolis realizza le aspirazioni figurative di D’Annunzio,ma Le Danaidi, sono copie allegoriche di affreschi romani, asfittiche, rispetto al trionfo carnale della giovinezza di Giorgio Kienerk : tre schiene femminili nude estremamente provocanti.
Galileo Chini intesse cupe allegorie, rese focose da riverberi di fuoco le frodi, Leonardo Bistolfi interroga e scolpisce nel marmo bianco la Sfinge, che diventa sempre più anoressica e al tempo stesso mantide dominatrice, sotto mantelli e fiori rampicanti. Anche la morte è un passaggio soprattutto nelle sculture dei cimiteri storici, il legame tra PASSATO, PRESENTE, INFINITO si fa palpabile
Gaetano Previati riscopre, nella storia, il dramma di una Cleopatra molto sensuale che sembra raggiungere l’orgasmo nella morte, come nel giorno sveglia la notte il gioco di luci rende appassionato il risveglio, il tremito d’ali non ha nulla di celestiale, poi raggiunge il dissolvimento della figura umana, nei notturni, i pepli si fanno onde mentre visi, mani, capelli annunciano immagini fuori dallo spazio e oltre il tempo.
Sirena molto in carne per Sartorio, inseguita da un novello eroe, non ha nulla di magico, se non il verde delle onde marine.
Il sogno di Previati , riprende nel vigore ascensionale l’abbraccio carnale, focoso, immortale tra Paolo e Francesca, tracciato graficamente anni prima rivolto allo stesso Sogno di Boccioni, presente in sala con tratti meno simbolici.
Attraversiamo il mito e l’allegoria: EROS E THANATOS. Sezione ove sono proposti i capolavori di artisti internazionali, clamoroso il confronto –tra Gustav Klimt con Giuditta o Salomè : la donna tigre ha il viso altero, le mani come artigli , mostra il seno nudo, con arrogante sicurezza di sé, e sotto le unghie regge i capelli dell’ucciso. I colori che la circondano vogliono rendere iridescente il suo procedere; e Franz von Stuck. Il peccato è femmina. È Eva, tanto altera e sprezzante da reggere il confronto con l’acuto muso del serpente a sonagli che le circonda le spalle e spunta di fianco al braccio destro , capelli folti e pelliccia lasciano intravedere nudità, allora ritenute oscene … il tutto reso intensamente in nero deciso e bianco lunare, senza sfumature.
Ed eccoci nella sezione dedicata al L’IMMAGINARIO IN BIANCO E NERO, cioè alla nutrita produzione grafica degli anni fra otto e novecento, dove meglio si comprende il dialogo serrato degli italiani con la cultura figurativa mitteleuropea. Gli artisti indagano i fantasmi interiori dell’uomo. La sala si apre con il viso preraffaellita, di squisita fattura, in Tempera su cartone di Ritratti di Lina De Carolis, si chiude con la Sibilla di Candelotti in China acquerellata e biacca su carta bruna applicata su cartone pressato, immagine di una centenaria vestale, diventata più che rugosa, porta rotoli che si sono pietrificati , nessuno vuol più accedere al mistero. Ai lati delle pareti, si dipanano i fogli di Alberto Martini, allucinati e provocatori ne la parabola dei celibi che, come vampiri , disseppelliscono una conturbante Venere, seguono immagini di teschi, corvi, ombre cupe .
Più ironico Romolo Romani, nei grotteschi l’avaro e il crapulone, Per Giovanni Costetti, l’impronta è Io seguo la morte; e la cattedrale enorme, del giovane Ottone Rosai, sembra appartenere agli inferi ed incombere con prepotenza sugli umani. Ascese e discese di Previati tracciano figure attraversate dal vigore del mare e del vento.
Altre immagini variano dall’allegorico al fiabesco, al fantastico,(in un breve video di Sartorio) fino all’orrido, confermano l’idea allora ricorrente che attraverso il disegno si riuscisse a preservare la spiritualità della visione. Non sempre palese, ma da inoltrare, come suggerimento metaforico, ai giovani d’oggi, tanto amanti del macabro.
Il percorso della mostra si conclude nella ‘Sala del Sogno’, un’oasi anomala, dove Icaro precipita verso la terra, nel più placido sonno di Alberto Martini. La cornice trattiene nebulose argentee, poi tre grazie femminee si appartano in un bosco, per lasciar prevale una sola, conturbante diavolessa . Le figurazioni delle cornici sono parte integrante delle immagini dipinte, altrettanto intriganti.
Seguono battaglie, per pirati ed insorti sono ancora i bagliori del fuoco bellico ad illuminare le notti .
Passando sotto la sovrapporta per la Sala del sogno, Gli aromi, di Edoardo de Albertis, in marmo bianco colorato, dai rimandi anticipatori del liberty, abbiamo avuto accesso a tutte le immagini presenti alla Biennale di Venezia del 1907 . Biennale che aveva consacrato le istanze e le realizzazioni della generazione simbolista, nella scenografia decorativa curata da Galileo Chini, accoglieva artisti militanti, attratti dal gusto del ‘piacere’ e dell’inquietudine, del mito.
Un mondo culturale molto diverso dall’ESPOSIZIONE DÌ MILANO, 1891 , volto a celebrare le maternità. Con i simbolisti, anche noi, nelle sale, abbiamo attraversato i furori delle passioni, la tenerezza degli abbracci materni, visioni di femminilità prepotenti e altre teneramente malinconiche, la solitudine della vecchiaia, il ghigno scaramantico della morte, siamo giunti alle soglie della rivoluzione futurista e della prima guerra mondiale. La spiritualità e il culto degli stati d’animo ci hanno inviato a sollecitazioni, via via sempre più flebili. Permettetemi di tornare ancora una volta a consolarmi al suono del ruscello, di Emilio Longoni, a immergermi in un fantastico paesaggio alpino, L’Amore alla fonte della vita (Segantini), un mondo ove un angelo attende ad ali spiegate chi coltiva l’amore. E’ ancora possibile immaginarlo? O fa solo parte del Mito?
Per le biografia degli artisti: www.windoweb.it
Altre Opere significative di questo filone culturale sono esposte a Milano, nelle sale finali di Gallerie d’italia (Intesa SanPaolo/ Cariplo,) alle quali dedicheremo la recensione nel prossimo mese. Imperdibile La danza delle ore di Previati: una visione ultraterrena, dove figure angelicate danzano nell’aria, e la luce vibra intorno ad esse e con esse: emerge un’intensità spirituale che va molto oltre il futurismo in arrivo e la retorica di Sartorio, mitico decoratore del Fregio in Parlamento (Parlamento che in queste giornate occupa molti dei nostri spazi visivi). www.gallerieditalia.com