Dal Lycée Montaigne si vedono, oltre il marciapiede e la strada, i Giardini del Lussemburgo. Su Parigi, ad annunciare l’inizio dell’inverno, un sole tenue e un cielo azzurro pastello, oltre i grandi palazzi fra Luxembourg e Port-Royal. Entro nel liceo, cerco di ambientarmi. Sono qui come volontario del circolo parigino dell’ANPI, per tenere un laboratorio, il primo di una serie di laboratori didattici di « cultura antifascista ». Oggi si parla di cinema, in particolare del fascismo e dell’antifascismo nel cinema italiano, con una classe di Terminale, che corrisponde a una quinta superiore.
Anche a Parigi esiste un circolo dell’ANPI, intitolato a Carlo e a Nello Rosselli, assassinati dai fascisti di Cagoule nella primavera del 1937. Da quest’anno, grazie ad una collaborazione con l’APIRP, l’associazione dei professori di italiano della région parisienne, l’ANPI terrà laboratori antifascisti in alcuni licei parigini. Fra le proposte: questo laboratorio sul cinema, ma anche momenti di approfondimento sulle scritture della Resistenza, sulle donne dell’Assemblea Costituente e sulla memoria degli anni Settanta. Non è la prima volta che mi capita di tenere laboratori o incontri didattici su questi temi : in un liceo della mia città, a Bologna, sono a più riprese intervenuto durante il corso di storia in francese. Qualche mese fa, in una quinta Esabac, ho parlato di Anni Settanta fra Italia e Francia e poi, durante il mio tirocinio, anche di Resistenza a Bologna. Ma è la prima volta che lo faccio in Francia, davanti ad alunni francesi. Sarà un’avventura.
Quando entro nell’aula prescelta per il laboratorio, mi spavento. Non è un’aula, ma piuttosto un anfiteatro, simile alle grandi aule universitarie in cui ho passato molti dei miei pomeriggi, a Bologna e poi alla Sorbona. Prendo le misure e mi rendo conto da subito che tutti gli studenti si appollaieranno sugli spalti, in alto, per stare il più possibile lontano da me. E quando entrano in classe, dopo l’intervallo, è proprio così: « on voit mieux d’ici», si vede meglio da lassù, dicono. Allora capisco che devo andare verso di loro, salendo le scalette dell’anfiteatro, infilandomi nelle le file libere per poterli guardare da vicino, per riuscire ad ascoltarne le risposte intimide, in una lingua che per loro è straniera e che stanno, lentamente, imparando. Dovranno rispondere alle mie domande e sollecitazioni in italiano, sforzandosi a trovare le parole giuste per dire ciò che pensano.
Nelle settimane che hanno preceduto questo incontro, ho pensato a lungo a quali film scegliere. Mi dico che non ha senso proporre loro un corso « magistrale » sul cinema italiano e l’antifascismo. Non avrebbe nemmeno senso parlare loro, a pochi giorni dalla morte, di Bernardo Bertolucci e del suo Il conformista. Anche se per un attimo vorrei farlo. No, ad interessarmi è altro. In primo luogo, la possibilità di incuriosirli, di far nascere in loro- un gruppo di diciassettenni in prevalenza maschi- una po’ di curiosità nei confronti del cinema italiano; e poi, invitarli a un dialogo e a una discussione sul fascismo e sulla resistenza, a partire da alcune testimonianze cinematografiche selezionate. Ho dovuto mediare, fra la necessità di essere originale e quella di essere semplice e comprensibile.
Per il primo incontro—fra qualche settimana ne seguirà un altro, sempre sul cinema, insieme a loro e ad una classe di seconde— ho individuato quattro film molto diversi, ma che mi sono sembrati tutti, in qualche modo, « necessari ». Amarcord di Federico Fellini, per mostrare loro la scuola fascista e l’inquadramento della gioventù durante il regime. Il Giardino dei Finzi Contini di Vittorio de Sica, per poter evocare il romanzo di Giorgio Bassani (ho letto loro l’incipit del suo Giardino e il memorabile esergo manzoniano del Romanzo di Ferrara) e per mostrare loro la vita nelle comunità ebraiche italiane dopo l’approvazione delle leggi razziali. Una giornata particolare di Ettore Scola, forse il miglior film sul fascismo, come mi ha detto in un’occasione la storica Cinzia Venturoli. Una questione privata, l’ultimissimo film dei Fratelli Taviani, per mostrare loro alcuni aspetti delle vita dei partigiani dopo l’8 settembre e, tra le altre cose, per leggere un estratto del testo di Beppe Fenoglio.
Alla fine, c’è stato tempo soltanto per Amarcord e per il Giardino. Una parte importante del laboratorio se n’è andata introducendo coordinate storiche e linguistiche sul fascismo e sull’antifascismo, in un dialogo costante, veramente « laboratoriale » con gli studenti, che sono intervenuti, mettendo in comune con me e con i loro compagni le loro rispettive esperienze di spettatori e le loro conoscenze notevoli in fatto di cinema e di storia italiana. In seguito, abbiamo potuto commentare alcune sequenze tratte dai film. Usciti a pochi anni di distanza, e diversissimi per generi e forme, Amarcord e il Giardino si interrogano entrambi sull’esigenza di dare una forma di vita al ricordo. La Rimini della gioventù felliniana, nel caso di Amarcord, attraverso cui i ragazzi hanno potuto osservare alcuni aspetti della scuola fascista, oltre che dei simboli e delle pratiche del regime. La Ferrara fascista della gioventù di Giorgio Bassani, nel caso del Giardino, che ci ha fatto soffermare sulla vita delle comunità ebraiche italiane dopo l’approvazione delle leggi razziali. Entrambi i titoli, come mi sono reso conto anche io, in itinere, possono essere due buoni punti di partenza per un laboratorio sull’antifascismo.
Cerco gli sguardi dei ragazzi per capire se sono riuscito a trasmettere qualcosa. Se le mie parole e le immagini che abbiamo proiettato un giorno riaffioreranno. Qualche anno fa, Christian Raimo, in un articolo apparso su Internazionale, rimarcava quanto fosse importante parlare di antifascismo a scuola[1]. Forse non basta semplicemente parlarne o rivendicare la propria contrarietà al fascismo. Forse è necessario praticarlo in modo sistematico, attraverso una grande operazione insieme politica e culturale, da rimettere al centro del progetto educativo e formativo di tutte le scuole. L’obiettivo non è condurre un’operazione di indottrinamento (alcuni anni fa un deputato bolognese finanziò un Telefono amico contro l’indottrinamento « comunista » nelle scuole!), ma piuttosto per dare agli studenti nuovi strumenti critici per affrontare il contemporaneo e per studiare gli avvenimenti storici più recenti, facendoli avvicinare alle forme d’espressione e di rappresentazione del nostro lungo Novecento.
Ha senso farlo anche in Francia, dove oltre alla minaccia rappresentata dall’estrema destra, si registrano le ambigue dichiarazioni dello stesso presidente della Repubblica, che poche settimane fa ha dichiarato il maresciallo Pétain un « grande soldato », e la cui Loi Asile et Immigration si configura come un dispositivo repressivo ed escludente, non molto diverso dal Decreto Salvini. C’è bisogno di spazi, anche qui : spazi per discutere e riflettere, insieme agli studenti; per definire, insieme, una forma di resistenza civile e culturale al fascismo, nelle tante forme in cui esso può manifestarsi oggi.
Jessy Simonini, 29 novembre 2018
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[1] https://www.internazionale.it/opinione/christian-raimo/2014/11/29/parlare-di-antifascismo-a-scuola-per-fermare-casa-pound