Spesso, come quei maglioni che, per il lungo uso e le frequenti lavature, si restringono e s’infeltriscono, anche le parole subiscono la stessa sorte.
È il caso del termine “selezione”, usato in ambito scolastico, il cui significato si è come raggrinzito: “selezionare” significa bocciare, una scuola che non boccia non seleziona.
Mi guardo bene dall’affrontare estesamente il tema della selezione scolastica, che richiederebbe un saggio, e mi limito ad una breve considerazione.
Si possono selezionare ferocemente gli studenti, ma in forma soffice e subdola, garantendo loro la promozione.
Si prende la situazione di partenza di ognuno come immodificabile, quasi che fosse biologicamente determinata, e si dimensionano gli obiettivi da raggiungere in conformità a quella. La promozione è assicurata, ma su un percorso e con una formazione a scartamento ridotto.
Oppure, ed è un’altra possibilità ma il risultato è identico, si afferma che esistono di difficoltà nell’apprendimento, derivate dall’ambiente, per cui non si possono che promuovere studenti in tale condizione di svantaggio. Purtroppo accade che, al termine degli studi, questi studenti siano ancora analfabeti o quasi, perché questo profondo senso di giustizia prevede solo giochi di prestigio e non la messa in campo di misure che quello svantaggio, almeno parzialmente, facciano superare.