Per consuetudine, prima delle vacanze, gli insegnanti assegnano a studenti, che inalberano sguardi di ripulsa, compiti da svolgere nel periodo estivo.
Quindi, nel rispetto della tradizione, non posso sottrarmi all’impegno di assegnare esercizi.
Esercizi inusuali, però, che, presumo, lasceranno i miei immaginari studenti, sul momento, basiti.
Conviene, allora, offrire un breve preludio, che fornisca qualche chiarimento.
“Figlia. Papà, perché le cose hanno contorni?
Padre. Davvero? Non so. Di quali cose parli?
F. Sì, quando disegno delle cose, perché hanno i contorni?”
(G.Bateson, Verso un’ecologia della mente, trad. di G. Longo, Milano, Adelphi, 1985, p.62)
I contorni, limiti , confini sono essenziali, dobbiamo “disegnarli”. Altrimenti tutto diventa confuso e lo sguardo è cieco di fronte alla realtà.
Esercizio primo
Il primo esercizio richiede di camminare osservando attentamente il paesaggio, basta solo questo. Occorre, però, andare lentamente: la macchina, l’aereo e tutto quello che utilizziamo oggi per spo-starci in velocità ci hanno quasi privato della capacità di percepire e di prestare attenzione.
“ Non invidiavo le automobili. Sapevo che in automobile si traversa, non si conosce una terra. ‹‹A piedi, – Avrei detto a Pieretto, – vai veramente in campagna, prendi i sentieri, costeggi le vigne, vedi tutto….››”
(C. Pavese, Il diavolo sulle colline, Torino, Einaudi, 1997, p. 25)
Passeggiare in campagna o, anche in città, non ha molta importanza se quest’ultima, però, è quasi deserta. Osservare con calma e con quella forma di spensieratezza che sgombra la mente da pro-getti ed assilli, basta solo questo perché immediatamente emergano dei contorni, dei limiti.
“ Ma un giorno mi ci ero fermato – come se con me si fermasse il tempo – e poi il giorno dopo , e un altro ancora, per tutta una stagione e una vita, davanti ad un simile campo; e quello era stato un limite , un orizzonte familiare attraverso cui le colline , basse tant’erano remote, trasparivano come visi ad una finestra.”
(C. Pavese, Il campo di granoturco, in id. “Tutti i racconti, Torino”, Einaudi, 2002, p. 11)
Limiti ed orizzonti ci consentono di sporgersi, di andare oltre con l’immaginazione, di tessere una rete sottile di rimandi tra realtà, ricordi e nuove visioni.
Esercizio secondo
Il secondo esercizio richiede solo di guardare un oggetto, un albero, un piatto, od altro a proprio piacimento, sgombrando la mente da qualsiasi riferimento ad utilità, funzione o, e sarebbe la cosa peggiore, il suo essere un prodotto di moda.
“ (Si tratta di rendere) quasi vergine lo sguardo, portandolo a seguire il contorno di ogni cosa, asse-condandola, circuendola, facendola propria per trattenerla, ….”
(D . Demetrio, Filosofia del camminare, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2005, p. 227)
L’oggetto, che si propone nella sua singolarità, ci permette di oltrepassare le categorie che lo devi-talizzano e lo riducono ad un significato istituito, di intuire quasi il mondo nella sua interezza.
L’augurio è che ciascuno possa incontrare un proprio “Odradek”.
“Alla prima appare come un rocchetto piatto, a forma di stella, e infatti sembra anche rivestito di fi-lo; si capisce che non potrebbe trattarsi se non di vecchi fili strappati, tutti a nodi e ingarbugliati, d’ogni specie e colore. Ma non è soltanto un rocchetto; dal centro della stella sporge una piccola stanghetta trasversale, e su questa stanghetta ne è incastrata una seconda ad angolo retto.
[….]
…. Obradek è mobilissimo ed è impossibile acchiapparlo“
(F. Kafka, Il cruccio del padre di famiglia, in id. “ Il messaggio dell’imperatore. Racconti”, trad. di A. Rho, Milano, Adelphi, !994, p. 127)
Grazie a lui, dopo averlo osservato con sollecita cura, potrete deviare da una realtà, che appare un nulla omogeneo, perché sfocata e nebulosa.