Voci d’autore. Cento e più parole genialmente interpretate da…, Utet 2007 a cura di Renzo Martinelli, pp.224, € 16,50.
Parte centrale dell’Almanacco Letterario Bompiani del 1959 era il Vocabolarietto dell’Italiano, un piccolo dizionario di 117 parole, da un’idea di Zavattini, individuate come termini-chiave per un’analisi della coscienza e consapevolezza collettiva.
“Penso da tanto tempo a un libro intitolato Vocabolarietto dell’Italiano, o come parrà meglio, un libro molto semplice in cui un centinaio di parole di uso corrente, fondamentali nella nostra vita sociale, siano spiegate, aperte al popolo da poeti, narratori, saggisti, giornalisti, scrittori insomma, concordi su un piano democratico. Una pagina a testa, poco più o poco meno, nella quale essi riassumano in un modo chiaro, direi famigliare e tuttavia secondo il proprio intimo stile. La loro esperienza.
Ecco qualche esempio di parole: Costituzione- burocrazia- cittadino – coraggio – coerenza- coscienza.. E qualche esempio di persone adatte all’impresa: Luigi Einaudi, Saba, Silone, Sacchi, Valeri. (…)”.
La gestazione dell’impresa fu lunga, ma Zavattini era convinto che il Vocabolarietto avesse una funzione civile e culturale, e alla fine la spuntò. Ad ogni intellettuale venne recapitata una lettera di questo tenore:
“Illustre amico …
(…)
Ci siamo permessi di scegliere per Lei la parola… e ci auguriamo che Lei possa inviarci il Suo scritto mandandoci subito una parola di conferma. La preghiamo di non superare le 45 righe dattiloscritte.
La salutiamo molto cordialmente e la ringraziamo.
Valentino Bompiani
Cesare Zavattini
La raccolta di voci risulta essere una foto di gruppo della “intellighenzia italiana degli anni cinquanta”; 165 parole e 17 fotografie. L’editore Utet l’ha ristampata oggi, con una prefazione –cronistoria e un indice biografico.
Curiosità sui dati? Ottieri ha redatto la parola Automazione, Capitini Libertà, Flora Cultura, Fortini Uguaglianza, Calvino Natura, Pomilio Coscienza, Paci Crisi. E solo cinque donne, la Ginzburg, la Morante, La Manzini, l’Aleramo, la Banti fanno parte del gruppo, per le voci Fortuna, Felicità, Superstizione, Dissimulazione, Fiducia. Vorrà dire qualcosa?
Chissà. Intanto la lettura di queste voci è piacevolissima ed obbliga a quel movimento di andata e ritorno, da oggi al passato, che tiene desto il pensiero. E di sicuro qualche editore starà meditando di riproporre “il gioco” agli intellettuali di oggi…
EDUCAZIONE
Una volta, insegnavo allora in una scuola d’avviamento, ebbi a che dire con una collega per questa frase, che un mio scolaro di prima classe aveva scritto in un tema sull’inverno: “la neve cadeva a larghe falde”.
Diceva la signorina, che si rifaceva con molto calore alle sue esperienze di scuola attiva: si tratta di un “calco” imparato chi sa dove che Lei non dovrebbe consentire perché messo lì soltanto allo scopo di fare bella figura con poco sforzo: occorre stimolare, obbligare i ragazzi alla spontaneità.
Io le facevo osservare che troppe cose, nel linguaggio e nel comportamento, sono un “calco” (segneremo in rosso anche “serenità d’animo” perché è un traslato, pietrificato dall’uso, da un aspetto del cielo a una condizione dell’animo?); in secondo luogo la neve cade davvero, talvolta, a larghe falde, e nulla esclude che l’orgoglio del ragazzo, ciò che Lei chiama voler fare bella figura, si sia impegnato proprio nell’adeguarsi, nell’afferrare un fenomeno con l’autorità di una frase che gli appare di un realismo prestigioso, insostituibile; giacchè appunto, ed è la terza osservazione, la spontaneità trova un limite nella realtà, come ogni esperienza, ogni biografia, ogni vita trovano un limite in un ordine (naturale, sociale, morale).
La discussione andò in lungo. Ebbi, credo, la mia rivincita quando, in un altro “tema”, “I ricchi e i poveri”, il mio scolaro contadino trovò accenti del tutto diversi, di appassionata fantasia; “I ricchi sono grassi come il porco che sta tutto il giorno nel mangiare, mentre il povero non ha casa ed è come la rondine che si riposa nel ramo”. Fu allora del tutto chiaro che il ragazzo reagiva con maggiore verità ai fatti morali che a quelli “narrativi”: aveva già tracciato il cerchio dei suoi interessi, indicava senza incertezze la via per capirlo e per farlo crescere secondo se stesso.
Nonostante i molti anni passati, sono rimasto fermo a quelle convinzioni. E del resto se c’è un’attività della cultura in cui non si dia “avanguardia” se non per gli sciocchi, è l’educazione; l’uomo, infatti, è un essere antico.
L’educazione è via alla verità. Ma la verità non è mai semplicemente spontaneità, scalpellatura sulle inibizioni: è insieme libertà e ordine, sincerità e valore, uomo e mondo (anima e Dio). Anche la convenzione nasce come una parabola dell’ordine, comunicazione più rapida, forma di rispetto degli altri. Quand’è che essa, nel corso dell’evolversi dei rapporti sociali, diviene un obbligo fossile, un’illibertà? E’ appunto qui, in questo sceverare limiti spesso ardui a riconoscere, il segreto dell’educazione, il cui compito ultimo è di tenere l’uomo in equilibrio con la storia: i fragili esseri che la vita ci affida, e anche, spesso, il nostro fragile cuore.
Geno Pampaloni.