Un docente consapevole che pensa prima di arrivare a scuola a cosa farà in classe, che pensa ai suoi studenti per far in modo che imparino. Una classe in cui c’è un bel clima di scambio reciproco. L’esempio proposto riguarda la matematica, ma qualsiasi docente potrebbe riconoscersi nell’ansia di far imparare, di facilitare il passaggio. Eppure quest’ansia potrebbe portare ad una forma di apprendimento solo apparente … Un testo limpido come vetro che parla ai docenti e li fa riflettere.
Problemi per apprendere
Paolo è un insegnante di matematica. Non serve sapere di quale livello scolastico sia per l’analisi che ci accingiamo a fare.
Oggi, come quasi ogni giorno, si dirige verso la scuola pensando che sottoporrà un nuovo problema ai suoi alunni. È una modalità di lavoro, quella di Paolo, condivisa da molti insegnanti di matematica; come loro Paolo è convinto che l’apprendimento si innesca nel momento in cui, attraverso un atto creativo, si risolve un problema.
Quindi, giorno dopo giorno propone ai suoi allievi problemi da risolvere perché pone a base della sua azione didattica la convinzione che la soluzione al problema produca apprendimento: è fermamente convinto che “risolvendo il problema, il soggetto ha appreso” (D’Amore, 1993).
Questo tipo di atteggiamento, secondo quanto affermato da D’Amore (2005), rientra come pratica (l’Autore indica l’attività di risoluzione dei problemi matematici proposti come pratica) nelle attività della società classe di cui lui è parte.
Sembra quasi che tutto possa filare liscio, ma secondo quanto afferma Voigt (1994) l’ideale comune di apprendimento per scoperta porta l’insegnante a comportarsi secondo modalità che, essendo non previste e non intenzionali, lui stesso non riconosce.
Paolo, come molti altri insegnanti, nel momento in cui propone il problema da risolvere non ha in mente solo il problema, ma anche la risposta e le successive riflessioni che possono condurre a questa, quindi pur di ottenere la risposta che lui stesso giudica irrinunciabile per poter costruire conoscenze, tenta di facilitarla in ogni modo. La sua ricerca di facilitazioni non è volontaria, né consapevole, ma i suoi alunni imparano ad aspettare le “facilitazioni” che prima o poi arriveranno.
La convinzione che l’apprendimento sia significativo se fatto attraverso una scoperta personale da parte degli allievi porta l’insegnante a cercala, a facilitarla in tutti i modi, cadendo nell’ambiguità didattica che porta gli studenti:
– alla ricerca di soddisfazione delle aspettative del professore;
– al tentativo di realizzazione dei propri lavori sulla base delle aspettative del professore.
Attività queste che D’Amore (2005) indica come metapratiche.
Abuso di analogia
Una mattina Paolo assegna, come suo solito, un problema ai suoi allievi. Capita che la maggioranza della classe fallisca: il problema non viene risolto quasi da nessuno.
Paolo si sente in difficoltà: che cosa sta capitando? Lui sa benissimo di essere parte del sistema didattico e sa che il suo ruolo, riconosciuto dalla società è quello di insegnare un sapere. Intimamente pensa che se il sapere, se l’oggetto da insegnare per cui lui è stato chiamato a far parte della relazione d’aula non viene appreso, lui non ha svolto bene il suo lavoro e per questo potrebbe ricevere critiche dai membri della società che lo ha scelto.
Cerca, quindi, una strategia che possa garantire la soluzione al fallimento dei propri alunni di fronte alla risoluzione di un problema scolastico di matematica.
La soluzione trovata è la seguente: Paolo propone ai propri allievi un problema che egli ritiene essere analogo al problema che aveva proposto loro precedentemente, ma nel quale avevano fallito.
Dopo il fallimento Paolo risolve, per conto degli alunni, il problema mostrando loro la soluzione e tutti i vari momenti che portano a questa. Propone, poi un “nuovo” problema agli allievi, problema che è simile a quello non risolto in precedenza, con la speranza che essi riconosceranno la similitudine e che utilizzeranno la correzione e le spiegazioni che egli ha dato per riprodurre lo stesso metodo di risoluzione. L’insegnante raccomanda fortemente ai propri allievi di cercare e di utilizzare questa analogia.
Cosa succede?
– L’allievo, spinto dalle sollecitazioni dell’insegnante (possiamo chiamarle suggerimenti) risolve con successo il problema analogo.
– L’insegnante vive questo momento come un momento di successo personale: è felice per aver trovato la strategia vincente, i suoi allievi rispondono ciò che lui si aspetta.
– L’allievo vive questo momento come un momento di successo: sa di aver risolto un problema e di aver ottenuto il consenso dell’insegnante.
In realtà, che cosa è successo?
Secondo quanto affermato in D’Amore (2007), l’allievo produce la risposta esatta al problema, non perché abbia compreso la sua necessità matematica o logica a partire dall’enunciato, non perché egli abbia “compreso e risolto il problema”, non perché abbia appreso un oggetto matematico, ma semplicemente perché ha stabilito una somiglianza con un altro esercizio; egli non ha fatto altro che riprodurre una soluzione già fatta da altri per lui.
Non solo. Poco fa parlavamo del fatto che sia l’insegnante, sia l’allievo vivono questo momento come un momento positivo, ma è solo un’illusione, sia per l’uno sia per l’altro.
«Questo “abuso della analogia” è una delle forme più comuni dell’effetto “Jourdain”, uno degli effetti del contratto didattico. Il professore ottiene la risposta sperata con mezzi banali (senza valore) e fa credere all’alunno che ha realizzato una attività scientifica in modo autonomo» (Brousseau, 2006, p. 56).
L’allievo, consapevole del fatto che quella che è stata da lui assolta era una richiesta dell’insegnante, crederà di aver compreso la questione matematica in gioco, mentre non ha fatto altro che interpretare un’intenzione didattica espressa esplicitamente dall’insegnante e fornire la risposta attesa.
Bibliografia
Brousseau G. (2006). Épistemologie et formation des professeurs. In: Sbaragli S. (ed.) (2006). La matematica e la sua didattica: vent’anni di impegno. Atti dell’omonimo Convegno Internazionale Castel San Pietro, 23 settembre 2006. Carocci: Roma. 54-58. [Lo stesso articolo si trova in italiano in: D’Amore B. (ed.) (2006). Matematica: l’emergenza della didattica nella formazione. Numero speciale della rivista Rassegna. 29, 29-33.
D’Amore B. (1993). Problemi. Pedagogia e psicologia della matematica nell’attività di problem solving. Milano: Angeli.
D’Amore B. (2005). Pratiche e metapratiche nell’attività della classe intesa come società. La matematica e la sua didattica. 3, 325-336.
D’Amore B. (2007). Epistemologia, didattica della matematica e pratiche d’insegnamento. La matematica e la sua didattica. 3, 347-369.
Voigt, J. (1994). Negotiation of mathematical meaning and learning mathematics. Educational Studies in Mathematics., 26, 275-298.
Grazie per questo interessante articolo. Mi ha colpito molto l’analisi sull’uso e abuso dell’analogia nell’insegnamento della matematica. Potresti fornire qualche esempio di strategie alternative che evitano questo problema e promuovono una comprensione più profonda nei ragazzi?