K. Hosseini, Mille splendidi soli, trad. di I. Vaj, Casale Monferrato (AL), Piemme, 2007, pp. 432, Euro 18,50
Dopo l’esordio con “Il cacciatore di aquiloni”, questo è il secondo romanzo di Khaled Hosseini.
Una vicenda al femminile, in cui la vita, delle due protagoniste s’intreccia e riflette trenta anni di storia afghana, dalla monarchia all’invasione sovietica, dalla guerra civile al regime dei talebani.
Due donne, Miriam e Laila, tra loro differenti per posizione sociale, cultura e modi di vita, costrette, perché entrambe mogli di Rashid, marito padrone, ad incontrarsi, a convivere, diventano amiche, solidali, e tramite l’affetto e la complice solidarietà che lega, riescono a sopportare, ma è una sopportazione che è resistenza e desiderio di riscatto, la continua violenza che le investe.
Potrebbe stupire un titolo così luminoso per un racconto tragico, ma il capitolo finale esprime la speranza di Laila, che è speranza per l’intero popolo afgano: “ A Laila sembra strano trovarsi di nuovo a Kabul. La città è cambiata. Ogni giorno vede gente che mette a dimora nuove pianticelle, ridipinge le vecchie case, porta mattoni per costruirne di nuove. Si scavano cataletti di scolo e pozzi. Sui davanzali Laila vede fiori interrati in vasi ricavati dai gusci vuoti dei razzi dei mujahidin – i Fiori dei Razzi, li chiamano gli abitanti di Kabul.” (p. 424)
“Mille splendidi soli” è un buon romanzo non un capolavoro, mi sembra che l’autore utilizzi strumenti narrativi collaudati per compiacere il lettore, o meglio, la lettrice, ma non si tratta di un peccato grave che possa far desistere da una lettura che attrae e invita ad essere partecipi.