Fedele compagna delle Voci, Erica Cameran in Argentina continua “a portare a spasso” le sue animazioni, nelle scuole e in altri luoghi; e da lì invia agli amici italiani un diario che vuole “seguire gli umori della memoria, e saltare da un luogo all’altro in pochi istanti, come é magicamente possibile ai pensieri”
(“Potete pubblicarlo, certo; ma perché vi interessa il mio diario? Pensavo che le Voci si occupassero solo di scuola…”)
Il diario continua la sua lenta tessitura.
Dall’aereo, di notte, i paesi appaiono come mari neri nei quali galleggiano isole di luce. Queste isole formano disegni misteriosi, da interpretare con la fantasia. C’era un’isola che sembrava un bambino con in mano un palloncino di quelli ripieni di elio. Con l’altra mano il bambino gigante salutava.
Buenos Aires é una cittá intrisa di melancolia, gran parte della quale viene dal Mediterraneo, ha sapore italiano agrodolce delle migrazioni che furono. La melancolia cammina per le strade diritte e regolari che si intersecano ad angolo retto in una trama di ragnatela prevedibile eppure interessante e curiosa. Veste un mantello leggero che si trascina senza fatica. Le persone sono sfiorate dal suo mantello invisibile, eppure quasi palpabile, ma se ne accorgono solo quando ormai è troppo tardi per spostarsi ed evitare cosi il contatto della lingua e del palato con quel sapore agrodolce che é insieme gradevole e sgradevole. La selva del Chiapas nasconde segreti maya. Nel suo cuore, nei movimenti del cuore della selva umida e bagnata, sorgono, ogni alba, dalla terra verde, piramidi di pietre bianche e antiche che narrano racconti ai visitatori. Peccato che essi non le possono capire, e per tanta ignoranza hanno anche smesso di sentire la loro voce. La piramide, tempio della morte e della vita, é un anello di contatto tra la terra e il cielo, ad ogni alto gradino che si percorre, ci si avvicina un po’ di più al cielo, finché nell’ultimo, ultimissimo gradino, lo si puó toccare. Ma a quel punto la terra è troppo lontana, e un curioso senso di vertigine, quasi piacevole, ti tira verso il basso.
Mi chiedo che cosa vedranno di noi i visitatori del futuro: passeggeranno tra le rovine di un grande centro commerciale, e la guida dirà: “Qui, come potete osservare dai geroglifici, c’era un ristorante di Mc Donald. Attualmente gli storici stanno dibattendo la controversa questione del perché la gente si riunisse a mangiare in questi posti malsani: l’ipotesi fino ad oggi piú accreditata é che fossero luoghi di penitenza e di autosacrificio.”
Nel viaggio da Palenque a San Cristóbal siamo tutti turisti: spagnoli, uruguayani, inglesi, francesi, italiani. la strada é lunga, chiacchieriamo con l’autista. L’autista si sveglia ogni mattina alle 5 e mezza per essere a lavorare alle sei e venti. Lavora 15 ore al giorno, sette giorni la settimana. Non vede mai i suoi bambini, perché, quando va al lavoro, loro dormono, e quando torna, a mezzanotte, di nuovo dormono. Non ha amici, perché non ha il tempo per permetterselo. Non va mai al cinema, perché i cinema hanno altri orari. E’ profondamente orgoglioso del suo lavoro: prima lavorava in condizioni peggiori, quindi ringrazia la grande impresa di autobus che gli ha dato questa opportunità. Ha addirittura 15 giorni all’anno di vacanza. Peccato che il suo stipendio non gli permetta di viaggiare. In ogni caso, può mantenere sua moglie e i quattro figli, anche dopo che il prezzo del kilo di tortillas é più che duplicato, da quando il mais é diventato oro sottoforma di etanolo. Sulla strada un cartello dice: “Villaggio zapatista” L’autista dice che gli zapatisti sono degli indigeni senza voglia di lavorare che un giorno, nel 94, hanno invaso le fincas di gente onesta e lavoratrice, ossia i latifondisti. Per fortuna l’esercito aveva i suoi rifle. Hanno avuto quello che si meritavano, e non era certo una riforma rurale. Ma questo autista ha lavorato duro, perché così ha potuto ottenere un lavoro ben pagato a 15 ore al giorno, sette giorni alla settimana, e addirittura gli danno il pranzo e l’acqua purificata, visto che qui l’acqua del rubinetto non si può bere. Questo autista ringrazia ogni giorno, alle 5 e mezza del mattino, la grande impresa che gli ha dato l’opportunità di un futuro migliore.
Ieri notte siamo arrivati, mio fratello ed io, a San Cristóbal. A mezzanotte sto per andare a letto, quando mi accorgo che il letto non ha lenzuola. Scendo al piano di sotto a cercare il ragazzo della reception. Non c’ é nessuno, l’immenso patio coperto della casa coloniale é vuoto e rimbomba il silenzio, e la porta di uscita alla strada é chiusa a chiave. Batto le mani, chiamo. Nessuno si fa vedere. Insisto. Appare una ragazza, ospite anche lei della posada, e insieme chiamiamo il ragazzo della reception. Finalmente compare, quasi per caso, non mi guarda e si infila in un corridoio buio. Lo rincorro, lo fermo, gli spiego che i letti della mia camera non hanno le lenzuola. Mi guarda con la faccia di non capire. La ragazza gli ripete la questione delle lenzuola con altre parole. Il ragazzo risponde che le camere del piano di sopra si affittano senza le lenzuola. Ho voglia di mangiarmelo vivo: come mi ha detto una volta una amica, la stupidità uccide. La ragazza non può credere che questa sia una risposta e mi guarda con la faccia più eloquente che abbia mai visto. Rispondo che se il letto non ha lenzuola, voglio indietro 50 pesos. Il ragazzo sparisce in una camera buia, e riappare poco dopo con un fagotto bianco tra le mani: le lenzuola.
La festa nel barrio di Mexicana, in San Cristóbal de las casas, é odore, rumore. Odore delle banane fritte e dei churros, mescolato con l’odore dei botti e dei fuochi artificiali che vengono fatti esplodere continuamente. Nella chiesa, adornata a gran festa, l’odore di incenso bruciato si mescola con l’odore dei fiori, il risultato é talmente dolciastro che puoi sentirlo nello stomaco.
Fuori dalla chiesa, nel suolo, fili d’erba verde scuro ricoprono tutto il pavimento, e la gente li deve calpestare per raggiungere la soglia del portone della chiesa. Lá, in fondo alla navata centrale, una vergine bianca e azzurra prega con gli occhi languidi al cielo. La portano in trionfo in processione, mentre la gente, vestita con maschere buffe e maschere grottesche, balla e grida di festa.
In Messico, i mercati, sono dappertutto. In strada, nei capannoni, nelle piazze, nelle vie strette e in quelle larghe. Ogni cittá, piccola o grande, ha il suo mercato. O i suoi mercati, vari e colorati. Qui vendono mole di tutti i colori (una salsa fatta con chile e altri mille ingredienti) , formaggio, cioccolata, cacao, caffè, vermi freschi e secchi, grilli cotti e speziati, tamales (farina di mais cotta destro una foglia di banano o di pannocchia, con mole, carne o formaggio), innumerevoli tipi di chile, piú o meno piccanti, freschi o secchi, fagioli con forme e colori diversi, frutta che in Italia non avevo mai visto, miele, olive, naturalmente tortillas, grandi o piccole, fini o spesse, secche o morbide.
Nei mercati lo spazio occupato dai piedi, di volta in volta, viene scelto dagli occhi e dal naso, dai sensi curiosi che dialogano con pancia e mani. Cammini tra offerte diverse e fantastiche, una signora rotonda come un Botero ti offre carne alla griglia; un’altra, con le trecce lunghissime e il sorriso, una tazza di cioccolata con zucchero e cannella; una bambina, in un enorme vestito rosa a strisce bianche e fiori, ti mostra animali colorati; un signore vecchio con i pochi denti gialli suona la fisarmonica e tende il braccio con la mano aperta; una donna accoccolata a terra vene pagnotte ricoperte di rosso d’uovo e di sesamo, una donna anziana ti offre i grilli che lei stessa ha catturato. Li ha catturati, li ha portati a casa e lí li ha cucinati, con le braccia ossute e la pelle tenera, e le sue trecce forti, nere e lunghissime. Li ha insaporiti con sale e spezie, e ogni mattina li porta al mercato, dalla mattina alla sera, per dodici ore consecutive, cammina tra le bancarelle di gelati e vestiti per offrire i suoi grilli saporiti e croccanti.
In Chiapas, a San Cristóbal, molti negozi vendono pupetti zapatisti. Bamboline di pezza morbida, vestiti di nero, con armi e passamontagna, le donne con il fazzoletto sulla bocca e i bambini in spalla, nelle loro tele colorate, fatte culle accoglienti. La rivoluzione si fa commercio, per dimostrare che oggi tutto si può vendere a buon prezzo.
A Buenos Aires i bambini delle villas miserias annusano i turisti, e sanno qual é americano, e, probabilmente, sprovveduto.Capiscono, dal modo di mettere un piede davanti all’altro, di guardarsi attorno, di muovere le mani, che é un turista o uno studente americano che non parla bene il castigliano, e che si sta avventurando, senza saperlo, in labirinti proibiti.
Il Caminito é zona turistica, nel quartiere della Boca, dove c’é la famosa Bomboniera della squadra Boca Junior. Il caminito é, appunto, un piccolo cammino dove si possono ammirare case di lamiera colorata che furono dei nostalgici immigranti italiani i quali, così si narra, diedero origine al tango nelle fondas piú oscure e sporche dei margini della Gran Ciudad di Santa María del Buen Ayre. Oggi é tutto ristrutturato, al posto delle catapecchie ci sono musei e soprattutto negozi, bar, ristoranti. Ai lati del Caminito c’é il vero Barrio de la Boca, un quartiere dove la gente, semplicemente, é povera, e i bambini vanno in piccole bande, preparandosi in strada per quello che verrà. Uno studente americano, di quelli che si nota che sono di fuori, dall’aspetto ma soprattutto dall’attitudine, mi raccontava, a casa della signora che lo ospita, di essere uscito dal Caminito turistico, per conoscere un po’ di piú per vedere come era davvero quel barrio. A cento metri dal Caminito un gruppo di ragazzini ha cominciato a corrergli incontro con l’intenzione di toglierli lo zaino, i pantaloni e le scarpe, cosí lui si é messo a correre. I ragazzi hanno raccolto delle pietre, e gliele hanno tirate addosso: il turista americano non tornerà piú al caminito, e ad oggi viaggia sempre in taxi, per essere piú sicuro.
Gli argentini sono gente allegra, abituata a cadere in scivoloni ciclici e poi a sollevarsi per ricominciare tutto, – o quasi, – da capo. L’arte di arrangiarsi l’hanno forse presa dai nostri napoletani, e il buonumore… ?. Mi chiedo se il buonumore, di gente che vive in condizioni precarie o anche disperate, abbia piú valore di quello di un europeo di classe media che ogni agosto si fa le sue vacanze. Ma é brutto porla in questi termini. Quello che volevo dire é che rimango sempre sorpresa dalla capacitá di essere felici anche quando la situazione che ti avvolge non é delle piú augurabili. Quando si fa fatica a trovare lavoro, e sicuramente sará un lavoro in nero, mal pagato, un lavoro che é facile perdere, per un capriccio o una antipatia del gerente di turno. Quando, in un Paese che ha milioni di mucche, il latte per tua figlia é caro, lo yogurt é carissimo, e il formaggio é inavvicinabile, e, inoltre, di cattiva qualitá. Quando sai che sará difficile uscire dai confini del tuo Paese, forse anche da quelli della tua cittá, per i prossimi anni. Mentre vado e vengo, e racconto dei miei viaggi, delle cose che ho visto, delle cose che ho provato, e mostro le foto e porto un paio di regali, e i miei amici sono contenti dei miei vagabondaggi, e curiosi di sentire i miei racconti “cosí viaggiano un po’ anche noi con te…” ….il senso di colpa per appartenere alla parte privilegiata del mondo sale dal nodo allo stomaco e si espande nella bocca in un sapore amaro.
Fa freddo, e mi sento un po’ male, un po’ raffreddata, nella casa il riscaldamento é una stufa a gas che non funziona. Mi vesto, mi preparo perché questa sera vado a giocare una partita di calcetto! Sí! Con delle mie amiche, Carla, Merlina, Melina, e delle compagne di lavoro di Melina. Ho tanto freddo, perché l’aria é umida, e quando mi incontro con Merlina le chiedo se, per caso, i campi di calcetto hanno il riscaldamento. Merlina mi guarda con gli occhi grandi, poi si mette a ridere di gusto, dicendo che il riscaldamento nei campi da calcetto é da primo mondo. La maggior parte dei campi di calcetto di Buenos Aires sono costruiti sotto una delle varie autostrade che attraversano la cittá, in modo da non dover costruire il tetto. Fa un freddo terribile, il mio alito fa le nuvolette di fumo freddo nell’aria, ma ci sono le mie amiche e mi diverto moltissimo a giocare. Non so bene le regole, ma é divertente lo stesso. Passo un’ora ridendo. Giochiamo, mentre dai campi vicini i ragazzi guardano ridendo le uniche ragazze di tutti i campetti da calcetto. Dopo la partita (credo anche di avere fatto un gol!) andiamo a mangiare un choripan (un panino con una salsiccia dentro) alla parrilla al lato. Il posto non é il tipo di locale dove mia madre metterebbe piede, per esempio, ma per noi é un posto bellissimo. Chiacchieriamo con il cameriere, che é anche il proprietario. Durante la cena, ridiamo ricordando parti del gioco. Spostiamo tavoli e sedie, due ragazze ballano la chacarera, un ballo tipico del nord dell’Argentina: tutto il locale batte le mani al ritmo della musica. E´stata una serata che ricorderò.
Quando arriviamo, Nahuel ed io, alla casa dei nonni a Lanús, nella Provincia di Buenos Aires, la casa é chiusa da vari mesi: la nonna non ce la faceva piú a prendersi cura del nonno, a lavarlo, cambiarlo e alzarlo ogni giorno, senza neppure poter chiacchierare con lui, perché ormai fa fatica a capire quello che gli viene detto. La casa é grande e bellissima, é stata costruita su progetto degli stessi nonni. Ha il giardino davanti e dietro, con alberi e fiori, e un prato ben curato. La casa odora di chiuso, ed é molto sporca. Cominciamo a pulire tutto, e anche se non ho mai pulito tanto in vita mia, é quasi divertente.
Ci mettiamo tre giorni a pulire bene tutta la casa, e a scoprire i segreti custoditi negli armadi e nei cassetti della nonna. Vestaglie di pizzo; borse dell’acqua calda; foto vecchissime, di quelle piccole, in bianco e nero con quell’alone irreale che circonda ogni cosa; cappelli a scacchi; servizi di piatti e posate, – “quelli buoni”-; libri di matematica e algebra, di racconti per bambini; bottoni dalle mille forme e colori; una macchina da cucire Singer, di metallo e con le decorazioni colorate. Questa casa é come un tesoro sommerso. In questo tesoro trascorrono tre settimane, molto belle, molto felici, con Nahuel che si occupa non solo del suo laboratorio di liuteria ma, incredibilmente, anche della casa, e soprattutto di me e della nostra relazione. A volte accadono piccoli miracoli, ed é meraviglioso essere parte di questi miracoli perché, per quanto piccoli agli occhi del mondo, appaiono immensi a chi ci si ritrova dentro.