Ariful tira fuori la sua grammatica tascabile, cerca di aprirla alla pagina strappata che un pezzo di nastro assicurava alle altre. Dita affusolate, pelle secca a striare il dorso scuro e tremolio. Indugio su di lui fino a quando s’accuccia contro il mio tavolo e mi restituisce scattoso lo sguardo. Che si inizi pure.
“Cerco casa!” dichiaro a gran voce. “Vediamo insieme dove posso chiedere informazioni, come leggo gli annunci, quali parole ho bisogno di conoscere”. Scandaglio il loro italiano creando contesti di espressione che mi premuro di personalizzare, magari su di me. Devo cogliere sul vivo le in-competenze linguistiche su cui intervenire, distrarre da sé quella preoccupazione di esporsi davanti a persone che ancora non conoscono, che forse parlano meglio, pur essendo in Italia da minor tempo.
“Se vuoi, vieni con me lunedì mattina, ma c’è tanti tanti stranieri e tu sei italiana..” mi offre aiuto Fareed “presto però, alle sei, ti svegli?, perché c’è fila lunga”. Non è esattamente l’intervento che puntavo a suscitare.
Vengo così a sapere che in piazza ***** un tipo, di madrelingua araba, ha aperto una sorta di agenzia immobiliare esclusivamente per immigrati, in giorni ed orari precisi. Agenzia di fatto, non di diritto, ma contratti in regola, se in regola sono i documenti, altrimenti si può trovare chi accetta d’ospitarti.
Mi vengono in mente i ristoranti italiani all’estero e la loro versatilità. Sappiamo bene di come basti palesare la provenienza, per essere indirizzati al retrocucina, retrosala o retroaltro, e venir edotti su lavori e case disponibili. E a dirla tutta la disponibilità è proporzionale alla meridionalità.
Quanto a Bologna… Sono domiciliata dal 1996 e ho goduto di un contratto di locazione solo per un anno, alla metà della cifra realmente corrisposta. Cerco casa e ho smesso da tempo di andare da quegli edicolanti e farmacisti che so tenere in agenda i nomi di chi offre – in modo, a ben dire, informale – ma di finire raccomandata da uno straniero ‘in casa mia’, come direbbero i parlatori dell’ospitalità, non avevo pensato.
Improvvisamente, forse il caldo inatteso, l’aria pesante che ottunde, a guardarli insieme sembrano sopravvissuti tutti alla stessa avventura, tanto s’accordano tra loro questi volti sfatti. L’ombretto azzurro di Larisa non è più un colore ma una macchia e Kamal avrebbe potuto almeno passarsi una mano tra i capelli.
“Ragazzi, c’è qualcosa che non va…il tono è basso. Cosa è successo? Il capo vi vuole aumentare lo stipendio e voi non sapete come rifiutare!?” Eccoli di nuovo qui, finalmente.
“Io ancora ho fatto nuotte con mia signora” si autocompiange Larisa.
“Argenteria” risponde Liena, ‘donna delle pulizie’ a casa di un onorevole “mi piaceva tanto argento. Prima.”
“Ramadan” sospira Kamal.
E’ vero! Saremo alla fine del mese oramai. La lezione comincia alle 17, accomodandosi nelle ultime due ore del digiuno, cosicché alla spossatezza da lavoro fa da contrappunto febbrile il bisogno di rifocillarsi quanto prima.
Kamal è d’accordo con un suo amico che abita qui vicino e che starà già cucinando, il che mi suggerisce “abita proprio vicino vicino, dalla finestra entra un odore..!”
“No è il mio libro.” rivela Ariful, ancora a testa bassa.
“La grammatica, dici?” e davvero, sfogliandola, mi stordisce un odore di frutta insopportabilmente dolce e intenso, che comodamente visualizzo in avallamenti da post-allagamento. “Mia amica me ha regalato il profumo per casa, alla frutta, conosci?, ma si è rotto e il libro.. succhiato tutto!”. La vita dovrebbe riservare altro a chi non mangia e non beve dall’alba, ne convengo.
Nel primo mese di sperimentazione della legalità praticata a Bologna ben due volte, ma solo allora (ammetto la singolarità), mi sentii dire…’Scusa, ma preferisco non affittare a meridionali’. “Sapete, quando mio padre è emigrato al Nord negli anni settanta, e mio nonno ancora prima, negli anni quaranta, queste frasi si sentivano spesso. Forse bisogna aspettare la prossima generazione, forse due, perché cambino le cose per voi.” Non sono ottimista, sto solo dicendo una bugia.
Ariful irrompe definitivamente dal torpore:“Tu non sai! Tu sei fortunata! Oggi non chiedono più ‘da dove vieni’, ma ‘che religione sei’! ‘io sono musulmano!’ gli ho detto all’ultimo che dava casa per affitto, ‘come tu sei cattolico! E perché tu sei cattolico, vai a messa?’…Ché, hai paura che metto bomba a casa tua?!
“Ma infatti”- e qui sperimento l’agio che mi concedono – “penso sempre che noi meridionali dobbiamo ringraziare voi, ora per certa gente non siamo più il peggio!”.. Ride il mio scugnizzo e io sapevo di poterci contare. “Ma attenti” – ritorno seria – “che certa gente, la gente che non sa guardare chi ha davanti, è dappertutto, anche nei vostri paesi. Solo che ora voi siete qui e non di certo per dare a loro le vostre energie.”
“ Mie energie do a te, cara, sai” – e sorride ammicante, brucia le distanze con la sicurezza di chi dopo 18 anni in Europa ha fatto suoi tutti gli approcci possibili, pur dondolando ancora il capo fin dal mento in quel modo curioso e irresistibile tipico dei bengalesi e degli indiani, – “così imparo italiano e trovo prima cittadinanza”. Vedi sopra ‘scugnizzo’ e aggiungi ‘ruffiano’. “Ma loro do energie di mie tasche, ah, ah, io pago tutte le tasse, sai. Il tipo che me dava la casa.. securamente no”.
“Però fai Ramadan!” riprende Liena. Senza accorgersene, sembra rimproverarlo.
“Prima volta! Io mai fatto Ramadan, mai, mia vita. Quest’anno sì… perché… per nesessità di mia anima…” Le mani sfiorano la fronte e scattano via come a strapparsi di dosso un pensiero, prima che le parole temano di immiserirlo….”per mio fratello, per colpa… che è morto tre anni fa, proprio…”
Raccolgo l’imbarazzo di Liena:“ Non voleva chiederti di giustificarti, Ariful, ed è davvero importante quello che stai facendo, non tutti sono capaci di capire quello che sentono dentro, sai?”.
Stavolta sono rossi di emozione gli occhi ferini che si infrangono contro i miei. “Ho fatto tanti isbagli mia vita, capisci?”.
No Ariful, vorrei dirgli, non ‘dobbiamo’ capire, ci basta sentire il ritegno pudico del rimpianto. Quanto alle parole, non ti preoccupare, Non c’è molto da insegnare, qualche verbo, qualche sostantivo, ti rimpinzerò di preposizioni e articoli se me lo consentirai, ma i tuoi occhi e le tue mani se ne befferebbero. Nominare la sofferenza rimane un’indole, l’autentico sussulto con cui poche anime sanno disarmare i fantasmi imperiosi che le abitano.
Il mio ombretto azzurro con accento russo non si tiene: “ Beh, viedi Italia?! Io ho dovuta venire qua per parlare rumeno, mia lingua, e tu siei vienuto qua dal Bangladesh per fare il Ramadan!”
Si riprendono tutti dal silenzio momentaneo e accorrono.
Rincara Mambulé, un congolese: “ Io..sono cattolico, così dormo in una comunità di chiesa, *****, è gratis, ma noi paghiamo 120e. a mese, senza carta, come si dice, fattura, e ogni mese 80e. in più.”
Questa ‘sacra legalità’ sa bene che, anche con fattura alla mano, nessun burattino della burocrazia dei permessi di soggiorno s’arrischierebbe in questura e aumentando ogni mese il prezzo si assicura quel via vai di bisognosi che impedisce amicizie e appoggio reciproco per la causa comune. Sì, mi innervosiscono certi racconti, e davvero non distinguo ironia, amarezza, rassegnazione e un salvifico cinismo. “Che fortuna essere cattolici, quasi cambio!”.
“Fareed! Fallo finire..”
“E poi almeno a te quando cerchi casa non ti capiscono che sei nero pure al telefono!”.