Il racconto di una delusione, la critica alle approssimazioni di un sistema chiuso, ma anche la ricchezza dell’esperienza personale: lo studio all’estero visto da una prospettiva inconsueta.
Che dire di Erasmus? Non saprei proprio tirare le somme, sono rimasta un po’ delusa dall’esperienza, almeno per il momento. Mulhouse, dove vivo, è una città davvero carina ma alquanto morta: dopo le 18,30 non c’è NESSUNO in giro, il che non la rende esattamente un posto ideale per divertirsi.
A parte questo, sono molto insoddisfatta dall’università: i corsi sono di un’ora a settimana, quindi si può immaginare quale sia il livello delle lezioni. Anche l’organizzazione lascia molto a desiderare: funziona come al liceo, ci sono classi da 30 persone massimo che seguono gli stessi corsi senza possibilità di scelta, il che rende le cose difficili per noi di Erasmus per due motivi. Innanzi tutto, essendo classi fisse, ci sono già gruppetti formati e, soprattutto, ben chiusi, quindi integrarsi è molto difficoltoso (ho chiesto a quattro persone diverse se potevano prestarmi gli appunti da fotocopiare perché essendo straniera avevo dei buchi nei miei e tutti e quattro mi hanno detto NO.)
In secondo luogo noi siamo difficili da gestire a livello burocratico, quindi mi è capitato di scoprire solo il venerdì che il lunedì seguente avrei dovuto dare due esami di recupero…
Il sistema di esami mi sembra assurdo. Ce ne sono di due tipi: i cosiddetti “control continu” e gli esami veri e propri. I controlli sono, di fatto, compiti in classe da liceo; io li avevo di latino, di letteratura francese del XIX secolo e di letteratura comparata.
Per latino i controlli sono stati due, entrambi costituiti da tre parti: una di esercizi di grammatica piuttosto semplici, la seconda di lessico; e nella terza bisognava tradurre tre frasi dal latino al francese e tre dal francese al latino, senza l’uso del vocabolario perché i termini erano da sapere a memoria. Un “esame” davvero ridicolo!
Il terzo controllo è stato fatto nella settimana ufficiale degli esami e si trattava di una “versione”: il testo era il primo libro della Genesi, frammentato in frasi di cui le parti più difficili erano già tradotte; per difficile s’intende una semplicissima infinitiva. Se Dionigi vedesse com’è l’esame non me lo convaliderebbe neanche come compito in classe di prima liceo; per fortuna non è necessario mostrarglielo!
Quello di letteratura comparata, era del tutto differente rispetto agli altri due (per questo risulta difficile a noi erasmiani star dietro a tutto e capire il sistema universitario francese, tanto più che nessuno sa mai rispondere se chiedi informazioni); questa volta il controllo consisteva in una dissertazione e di un commentaire, una specie di analisi testuale.
Ora, quello che va spiegato è che di questi 20 punti (fantomatici, perché, in realtà, ne sono attribuiti massimo 17 o, in via eccezionale, 18), 10 sono attribuiti alla forma e 10 al contenuto, dunque, come spiegava un professore, è possibile che uno studente che non ha mai letto Shakespeare e che non capisce una sola parola di inglese antico, prenda 10 all’esame di un monografico su questo autore solo per aver strutturato bene una dissertazione che non dice assolutamente nulla.
Il che è veramente successo al professore stesso quando era studente. Non è insensato passare un esame universitario scrivendo un testo di bell’aspetto ma completamente privo di contenuti?
E in più, nonostante l’importanza che qui attribuiscono alla forma, la professoressa di letteratura comparata ci ha spiegato come si scrive una dissertazione la settimana dopo avercela fatta fare. Come fai a correggere la forma di una cosa, se non hai mai spiegato come si struttura?
Nella settimana ufficiale degli esami non solo avrei dovuti averne tre lo stesso giorno, ma, addirittura, due alla stessa ora!
Quando sono andata a chiedere in segreteria e al responsabile Erasmus di Lettere come potevo sostenere due scritti contemporaneamente, entrambi mi hanno risposto che non era un problema loro, che gli Erasmus sono difficili da gestire e che avrei dovuto scegliere quale fare e rimandare l’altro alla seconda sessione.
Ma qui prima e seconda sessione non significa che puoi scegliere a quale appello andare e, eventualmente, ritentare, se l’esame non è soddisfacente; qui sei obbligato a presentarti alla prima e se non passi un esame, riprovi alla seconda che è la sessione dei “rattrapage”. Se non ti piace il voto della prima sessione te lo tieni comunque, come al liceo, e se non passi alla seconda sessione non c’è modo di ritentare; quindi, se io avessi sostenuto un esame direttamente nella seconda sessione, non avrei avuto possibilità di recuperare in caso di insuccesso e avrei perso il corso.
In più, sempre perché nessuno si degna di ascoltare e rispondere ad uno studente Erasmus, di un esame di recupero ho saputo la data alle 16 del giorno stesso dell’esame (che cominciava proprio a quell’ora, per altro…). In una settimana non ero riuscita ad ottenere l’informazione né dalla segreteria, né dal responsabile erasmus di dipartimento, né dal professore stesso che aveva tenuto il corso.
Insomma, università italiana vs università francese, vince 10 a 0 quella italiana! Il che è tutto dire.
L’unica cosa che funziona bene è la biblioteca, che è davvero ben fornita di libri, riviste e quotidiani di ogni tipo.
Fortunatamente, vivendo nelle residenze universitarie fra studenti Erasmus ci siamo conosciuti tutti e si sono creati rapporti stretti e solidali con ragazzi di ogni paese (tedeschi, romeni, spagnoli, turche, italiane, argentine, canadesi, scozzesi, inglesi, statunitensi…); si parlano in qualche modo tutte le lingue.
Da questo punto di vista Erasmus è stupendo: è incredibile quanto siano forti i legami che si sono creati in pochi mesi; vedere i primi ragazzi che partono è tristissimo…