Un documentario che può essere proposto agli studenti e diventare occasione per diverse percorsi didattici che s’intrecciano: documento per affrontare la storia sociale dell’Italia negli ultimi decenni; occasione per un’analisi di un testo filmico e base per attività che coinvolgano direttamente gli studenti.
Il documentario In fabbrica di Cristina Comencini, presentato al 25° Torino Film Festival (novembre 2007) e trasmesso in seconda serata da Rai Tre nel febbraio 2008, mostra, attraverso la storia degli operai e del lavoro in fabbrica, la grande trasformazione che ha interessato l’Italia nel giro di pochi decenni, dagli anni ’50 ad oggi. La regista utilizza materiali girati all’epoca da giornalisti e registi della statura di Luigi Comencini, Ugo Gregoretti, Sergio Zavoli e altri (Teche Rai), filmati dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio Democratico e dell’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea. Si tratta prevalentemente di interviste a uomini, donne, bambini (piccoli lavoratori). In primo piano volti e parole caratterizzate da accenti diversi e coloriture dialettali, come se la storia fosse raccontata dalla viva voce dei suoi protagonisti: gli operai. La Comencini opera una selezione dei materiali d’archivio e costruisce una narrazione polifonica, il cui filo conduttore, esplicitato dalla voce narrante, consiste nel progressivo affermarsi della centralità della classe operaia nel secondo dopoguerra e nel suo declino dopo gli anni ’80. La situazione odierna è documenta attraverso materiali originali, filmati e interviste raccolte dalla regista in una fabbrica d’eccellenza, postfordista.
La narrazione è scandita in fasi.
Anni ’50
Subito dopo la guerra, vediamo paesi privi di uomini emigrati in Germania, popolati da bambini e da donne vestite di nero, un contesto arcaico e rurale. Negli anni ’50 l’Italia approda all’industria: milioni di contadini entrano in fabbrica ed esprimono nelle testimonianze il disagio ad adattarsi al nuovo ambiente di lavoro.
La fabbrica diventa simbolo di un reddito sicuro, speranza di un futuro stabile, allontanamento della minaccia dell’emigrazione all’estero, possibilità di ricevere una formazione, di specializzarsi, di crearsi una posizione. La fabbrica è portatrice di cultura, di sapere tecnico, è comunità dove si costruiscono legami umani e di classe, ma anche luogo di sfruttamento del lavoro minorile o di quello non garantito.
Anni ’60
Nel periodo del miracolo economico (1958-63) c’è la piena occupazione e molte interviste riguardano lavoratrici e immigrati/te dal sud.
L’esodo dalle regioni meridionali aumenta e città come Torino non sono attrezzate per ricevere i lavoratori migranti e, poi, i cartelli: “ Non si affitta ai meridionali. Un’intervista a un giovane operaio della Mirafiori, educato e vestito decorosamente, ci rivela che è costretto, come molti altri, a passare la notte in stazione.
Anche l’organizzazione del lavoro cambia, viene introdotta la catena di montaggio, la cadenza, i cronometristi, i ritmi decisi dalla direzione, le multe per chi non rispetta i tempi. Il lavoro ripetitivo e destituito di senso a lungo andare disumanizza. Nel 1969 si intensificano le lotte, in particolare alla Fiat, alla Pirelli, alla Lancia, per il rinnovo dei contratti: è il famoso autunno caldo.
Anni ’70
Gli operai hanno imparato a discutere, a intervenire, a far valere i propri diritti. Avanzano anche proposte per una “ricomposizione dei frammenti”, volte a contrastare l’alienante organizzazione fordista del lavoro. Nella seconda metà degli anni ’70, lo scenario è caratterizzato dalla crisi economica e dall’intensificarsi di atti terroristici. Resiste, comunque, il legame tra gli operai e la propria fabbrica.
Anni ’80
E’ quasi il risveglio da un sogno: è cambiata l’economia mondiale e il lavoro non ne costituisce più il centro. Anche tra gli operai non si parla più con una voce sola, si comincia a mettere in discussione l’uguaglianza in favore dei meriti e della competizione, si critica l’operato dei sindacati. L’automazione porta a massicce riduzioni di personale, alla Fiat nel settembre del 1980 si prospettano 14000 licenziamenti. Dopo la marcia dei 40000 a Torino contro la lotta ad oltranza che paralizza la Fiat, scende il silenzio sugli operai: non che siano sparite le fabbriche ma degli operai non si parla, si sa poco.
Anche nel filmato c’è un vuoto, una ellissi: dagli anni ’80 si passa direttamente all’oggi.
Oggi
La regista filma una fabbrica d’eccellenza in cui non esiste più la catena di montaggio, si lavora 24 ore, su tre turni, e si segue il toyotismo. Le interviste riguardano giovani donne e migranti. A un lavoratore migrante è affidata la conclusione: la situazione mondiale impone di migrare, si tratta di un processo irreversibile, che peraltro ha sempre fatto parte della storia del mondo, occorre imparare a gestirlo insieme.
Uso didattico
La fonte audiovisiva racchiude una grande potenziale di conoscenza: le immagini ci mettono sotto gli occhi un’Italia diversa che ha conosciuto una trasformazione economica ma anche antropologica (basta guardare i volti, gli atteggiamenti, il modo di parlare e di sorridere, a volte un po’ timido davanti alla cinepresa); ci fanno percepire immediatamente il cambiamento ma anche le analogie con situazioni di oggi che si presentano rovesciate, per esempio nel costante intreccio tra lavoro e migrazioni.
Da non sottovalutare, poi, il coinvolgimento emotivo legato alla visione di momenti di una storia collettiva che molti spettatori hanno vissuto. Sarebbe interessante registrare le impressioni di spettatori giovani che si trovano davanti un’Italia che a loro parrà irriconoscibile.
Come tutti i documenti, anche le fonti audiovisive vanno usate con consapevolezza senza lasciarsi ingannare dalla loro apparente facilità: i materiali utilizzati sono spezzoni di inchieste condotte da giornalisti e registi portatori di una cultura, di una poetica, di un punto di vista; le interviste mettono in primo piano la soggettività operaia, ma non dobbiamo dimenticare la soggettività dei registi che hanno scelto il tema e il modo di trattarlo. La Comencini, a sua volta, ha operato una selezione sulla base della propria sensibilità e del proprio interesse, e ha dato unità a contributi diversi, costruendo- come si è detto- un discorso interpretativo affidato alla voce narrante. Da sottolineare l’attenzione rivolta alle donne, presenti in tutte le fasi della storia nel mondo del lavoro, e al loro vissuto.
Credo che il filmato possa avere un uso didattico ad ampio raggio, permette, infatti, di studiare come sono cambiate le condizioni di lavoro: ambienti, organizzazione, relazioni; la figura dell’operaio e il suo ruolo sociale; documenta il passaggio da un’economia in larga parte agricola a una industriale (fordista e post fordista); offre una chiave di lettura non banale, di storia sociale, del secondo dopoguerra; mostra come sono cambiati costumi, mentalità, valori. Naturalmente non è da considerarsi una rappresentazione esaustiva e non è una storia del movimento operaio.
La ricostruzione di quello che eravamo e che siamo può avvenire secondo svariate modalità, per esempio attraverso la storia dei consumi, ma il tema del lavoro è in sintonia con i problemi e gli interrogativi del momento che stiamo vivendo in cui è quasi scomparso il lavoro garantito e il lavoro stesso non è più, soprattutto per i giovani, un elemento centrale della propria identità e veicolo di appartenenza. Il passato, non idealizzato ma ricostruito nelle sue sfaccettature e attraverso ottiche diverse che rompono l’apparente linearità e progressività dei processi storici, aiuta a problematizzare il presente, a immaginare alternative, a valutare criticamente.
I contenuti non possono essere disgiunti da una riflessione sulle modalità discorsive scelte che puntano sulle soggettività e su una narrazione corale. La ricaduta didattica forse più importante è di carattere metodologico: imparare ad interrogarsi su natura, potenzialità e limiti delle fonti audiovisive; sugli usi che se ne possono fare, e sull’utilizzo che ne ha fatto la regista, sia quando si rivolge a materiali d’archivio, sia quando ne produce di originali.
Il documentario può offrire anche suggerimenti per costruire griglie di interviste che gli studenti possono fare a lavoratori e lavoratrici, pensionati/te di diversi settori e diverse classi di età, confrontando poi i risultati. La proposta a scuola di un documentario di questo tipo, la sua decostruzione e rielaborazione costituiscono un’attività non solo accattivante ma molto opportuna per gli studenti di oggi sempre più produttori e protagonisti di video, come You tube insegna.