Gli ostacoli all’apprendimento della matematica possono essere di vari tipi. Due esempi per mettere in luce come possano entrare in gioco anche scelte didattiche pensate come efficaci.
Forte è il dibattito intorno alle tematiche relative alle possibili ragioni che conducono un individuo a fallire con la matematica. Seguendo D’Amore, Fandiño Pinilla, Marazzani, Sbaragli (2008) possiamo dire che «nel processo di insegnamento-apprendimento (…) vi sono dei fenomeni evidenti di resistenza all’apprendimento, che occorre esaminare, gli ostacoli».
D’Amore (1999) indica con ostacolo «un’idea che, al momento della formazione di un concetto, è stata efficace per affrontare dei problemi precedenti, ma che si rivela fallimentare quando si tenta di applicarla ad un problema nuovo. Visto il successo ottenuto (anzi: a maggior ragione a causa di questo), si tende a conservare l’idea già acquisita e comprovata e, nonostante il fallimento, si cerca di salvarla; ma questo fatto finisce con l’essere una barriera verso successivi apprendimenti».
In didattica della matematica, facendo riferimento alla teoria degli ostacoli che si frappongono all’apprendimento della matematica proposta una prima volta da Guy Brousseau nel 1976 (Brousseau, 1976-1983a) si usa distinguere tre tipi di ostacoli:
- di natura ontogenetica
- di natura didattica
- di natura epistemologica,
Esaminiamoli attingendo ancora a D’Amore, Fandiño Pinilla, Marazzani, Sbaragli (2008).
A proposito degli ostacoli ontogenetici, nel testo si afferma che «ogni soggetto che apprende sviluppa capacità e conoscenze adatte alla sua età mentale (che può essere diversa dall’età cronologica), dunque adatte a mezzi e scopi di quella età: rispetto alla costruzione di certi concetti, cioè all’appropriazione di certi oggetti matematici, queste capacità e conoscenze possono essere insufficienti e possono costituire quindi ostacoli di natura ontogenetica».
Relativamente agli ostacoli didattici pensiamo che «ogni docente sceglie un progetto, un curricolo, una metodologia, interpreta in modo personale la trasposizione didattica, secondo le sue convinzioni sia scientifiche sia didattiche; egli crede in quella scelta e la propone alla classe perché la pensa efficace; ma quel che è efficace effettivamente per qualche studente, non è detto che lo sia per altri. Per questi altri, la scelta di quel progetto si rivela un ostacolo didattico».
Gli ostacoli epistemologici si riferiscono direttamente all’argomento matematico in gioco.
Ogni argomento a carattere matematico ha un proprio statuto epistemologico che dipende dalla storia della sua creazione da parte di un individuo, dalla sua evoluzione all’interno della comunità matematica, dalla sua accettazione critica nell’ambito della matematica, dalle riserve che gli sono proprie, dal linguaggio in cui è espresso o che richiede per potersi esprimere.
Ciò comporta che vi siano oggetti della matematica la cui natura è tale da costituire ostacolo non solo nell’apprendimento ma anche, e prima ancora, nella sua accettazione nella comunità scientifica».
Gli ostacoli, come abbiamo visto, possono essere di natura diversa, ma emergono sempre nell’allievo. È lui che si trova in difficoltà, che soffre situazioni di disagio perché costretto a fare i conti continuamente con il suo fallimento, è lui che non riesce a spiegarsi il perché di alcuni comportamenti “bizzarri” della matematica.
L’insegnante non può non tenerne conto nel momento in cui si accinge a fare un’analisi della situazione d’aula e dell’apprendimento di ogni singolo allievo, considerando anche che si possono fare delle «classificazioni meno “dettagliate” (…)» considerando che «non è detto che le intersezioni reciproche tra tipologie di ostacoli siano vuote» (D’Amore, Fandiño Pinilla, Marazzani, Sbaragli 2008).
A questo proposito consideriamo che, come affermato nel paragrafo 3.8 del testo più volte citato, ostacoli ontogenetici possono portare gli allievi sulla strada delle misconcezioni inevitabili (Sbaragli, 2005): è, infatti, impensabile proporre all’individuo in fase di apprendimento il concetto nella sua interezza e senza passare attraverso rappresentazioni semiotiche che possono mostrare solo una parte di esso. A questo, a volte, si mescolano le scelte che compie l’insegnante nel momento in cui presenta il concetto agli allievi, consapevole che questo può raggiungere l’idea solo percorrendo una lunga strada fatta di immagini da ampliare successivamente.
Esaminiamo due casi.
1) Il caso del cubo e del parallelepipedo
In Maier, 1995 viene fatto il resoconto di una situazione che si è creata in aula.
Ad allievi di 11-12 anni viene proposta, attraverso una situazione didattica, una lezione su cubo e parallelepipedo in quanto forme geometriche. L’insegnante tenta di far riflettere i propri allievi sul fatto che il cubo sia un caso particolare del parallelepipedo con scarsissimo successo: un gran numero di allievi non riesce a comprendere questa classificazione.
L’insuccesso non è, in questo caso, da rintracciare solamente in misconcezioni legate ad ostacoli ontogenetici attraverso le quali era inevitabile passare, ma anche in una scelta didattica dell’insegnante che ha creato ostacolo nell’apprendimento. Durante la prima lezione su questo argomento, infatti, l’insegnante aveva posto una domanda agli allievi: “Qual è la differenza tra un cubo e un parallelepipedo?”
L’insegnante aveva poi scritto alla lavagna, in due colonne distinte, le risposte che gli allievi avevano fornito: una colonna per le proprietà del cubo, una per le proprietà del parallelepipedo. Ciò che l’insegnante pensava potesse essere una riflessione sulle proprietà delle due forme osservate è diventato, per gli allievi, il conoscere passivamente un elenco di indicazioni che portava a dichiararne le differenze. Nel momento in cui si svolgeva l’azione didattica, l’attenzione degli allievi era impegnata a tentare di capire ciò che l’insegnante avrebbe potuto volere da loro come risposta ad una possibile domanda relativa all’argomento trattato; gli allievi stavano tentando di scoprire possibili indicazioni che potessero agevolare non la costruzione di conoscenza, ma la ricerca di modalità che potessero aiutare a far supporre, durante una possibile valutazione, abilità di fatto non possedute.
Se solo gli studenti si fossero sentiti liberi di esporre le proprie idee al loro insegnante forse si sarebbe potuto sentire un coro di: «Ma insomma, me lo hai detto tu che sono diversi!».
La scelta dei registri semiotici per rappresentare l’idea e la consapevolezza dell’esistenza di ostacoli ontogenetici sono diventate veicolo di comportamenti contrattuali e ostacolo per l’apprendimento.
2) Il caso della moltiplicazione per dieci
Ancora un esempio che ci mostra chiaramente che a volte l’insuccesso degli allievi dipende direttamente dalle scelte di trasposizione didattica fatte dall’insegnante.
Citiamo di nuovo il lavoro di Hermann Maier (Maier, 1995) dal quale abbiamo già preso un esempio.
In una classe di scuola primaria, l’insegnante, seguendo le indicazioni fornite dal libro di testo scelto, propone agli allievi l’affermazione seguente: “Per moltiplicare un numero per dieci si aggiunge uno zero alla fine del numero dato”.
Molti degli allievi che seguivano questa “regola” nel momento in cui si sono trovati a gestire non solo numeri naturali, si sono trovati a scrivere uguaglianze del tipo:
4,5 × 10 = 4,50
applicando la regola letta nel libro e convalidata dall’insegnante.
Nel momento in cui la regola era stata proposta non era stato detto agli allievi che deve essere limitata ai numeri naturali. Perché? Forse perché, anche in questo caso in buona fede: la paura di scivolare in ostacoli ontogenetici, l’insegnante pensava di evitare agli allievi il rischio di non entrare nel modo corretto a contatto con l’oggetto matematico “moltiplicazione per dieci”, non proponendo immediatamente casi in cui non erano presenti solo i numeri naturali.
Forse nelle intenzioni dell’insegnante c’era la volontà di far avvicinare gli allievi a questo sapere in modo graduale, senza considerare che la fiducia cieca, che questi hanno verso chi dichiaratamente detiene il Sapere, e la volontà, non sempre consapevole, di cercare costantemente il sistema per rispondere all’insegnante ciò che presumibilmente lui vuol sentire, avrebbero potuto portarli a commettere errori.
Bibliografia
Brousseau G. (1976-1983). Les obstacles épistémologiques et les problèmes en mathématiques. In: Wanhamme W., Wanhamme J. (eds.) (1976). La problématique et l’enseignement des mathématiques. Actes de la XXVIIIème rencontre CIEAEM, Louvain la Neuve, 5-12 août 1976. [Ripubblicato su. Recherches en didactique des mathématiques. 4, 2, 1983, 165-198].
D’Amore B. (1999). Elementi di didattica della matematica. Bologna: Pitagora.
D’Amore B., Fandiño Pinilla M.I., Marazzani I., Sbaragli B. (2008). La didattica e le difficoltà in matematica. Analisi di situazioni di mancato apprendimento. Trento: Erikson.
Maier H. (1995). Il conflitto tra lingua matematica e lingua quotidiana per gli allievi. La matematica e la sua didattica. 1995, 3, 298-305.
Sbaragli S. (2005). Misconcezioni “inevitabili” e misconcezioni “evitabili”. La matematica e la sua didattica. 1, 57-71.