Entre les murs – La classe France, 2008 -Regista: Laurent Cantet
Sceneggiatura: L.Cantet, F. Bégaudeau, R.Campillo
Soggetto: Entre les murs di F.Bégaudeau (Paris, Gallimard, coll. “Verticales”, 2006)
Ha vinto la Palma d’oro a Cannes, ma in Italia è penalizzato dalla distribuzione e forse per questo rimarrà uno di quei testi di nicchia, ai quali dovremmo fare riferimento per comprendere meglio ciò che oggi, più di ieri, sta cambiando nella comunicazione insegnante-alunno e non: un film-documentario per rappresentare, per ricomporre quello che oggi è in via di scomposizione.
La storia si svolge completamente entro le mura scolastiche di un istituto pubblico parigino, si fa scuola della scuola, entriamo nella classe del professor François Marin e, lentamente, impariamo a conoscerne gli alunni: difficili, introversi, prepotenti e forse arroganti – non c’è spazio per indecisioni ed insicurezze. Ogni giorno si innesca una sorta di guerra fredda, che si protrae, senza sfociare in dilaganti battaglie, solamente grazie a piccoli armistizi: una momentanea rinuncia alle armi, piccoli bagliori che riempiono il Prof. Marin di speranza. Tuttavia, le lotte che si svolgono quotidianamente sono troppe e non mancheranno di sfociare in situazioni davvero difficili e complicate; la guerra esige le proprie vittime e quando si vive in un equilibrio talmente precario questo è inevitabile. A complicare ulteriormente la situazione, è l’eterogenea combinazione di studenti che riempiono l’aula, una varietà che sfaccetta, in Francia come in molti altri paesi, personalità, stili di vita, classi sociali e modi di vivere: il vaso di Pandora non aspetta altro che di essere aperto.
Cantet (il regista) ci porta, dunque in una qualsiasi scuola di un qualsiasi paese, per mettere davanti agli occhi di tutti una situazione che sta cambiando a livello globale: la solitudine di un professore che, pur non rinunciando all’imprescindibile missione conoscitiva dello studio, trova difficoltà spesso insormontabili nel compiere il proprio dovere. La camera cattura idealmente ciò che accade nella classe, si priva di sovrastrutture, riprende la reale giornata dentro le mura; non ci si vuole inerpicare in storie fantastiche o costruite, ma solamente gettare un’occhiata critica a quello che dovrebbe riguardarci e farci riflettere. I movimenti di regia sono quasi assenti, impercettibili ma non per questo deboli: i primi piani, che immortalano sguardi ed emotive reazioni, vogliono penetrare nell’individuo adolescente e insegnante nel tentativo di compier quell’introspezione che quotidianamente siamo chiamati ad esplicare, quella che i docenti sono tenuti ancor di più a risolvere, quasi come fosse un anagramma, un rebus al quale è difficile trovare risposta.
A mio parere oggi ci troviamo di fronte ad una simmetrica visione d’insieme: scolari e tutori sono messi su di uno stesso piano, allora l’essere inermi diventa la regola se non si hanno strumenti per il controllo, sicuramente non coercitivi, ma un cambiamento è necessario per il rispetto di tutti. L’arrendevolezza di molti colleghi di Marin è comprensibile e giustificabile; quando la cristallizzazione di due mondi diventa talmente evidente, il gioco della comunicazione non può far altro che rimbalzare da una parte all’altra senza poter entrare; le porte si chiudono, e se dalla parte adulta sembrano lasciare uno spiraglio, quella adolescenziale non fa passare nemmeno un filo di luce. Forse dovremmo impegnarci tutti a trovare la chiave.