La mozione presentata da un partito della maggioranza in cui si chiede, in nome dell’integrazione, l’introduzione nella scuola italiana di classi “differenziali” di triste memoria per soli allievi stranieri è gravissima per la modalità (nessuna riflessione con esperti, con docenti, con Centri interculturali ed associazioni che da quasi 20 anni lavorano nelle scuole) e nella sostanza (le classi ghetto, sia pure temporanee, rischiano di diventare luoghi di permanenza anche biennale; esse inoltre si sono rivelate inefficaci ai fini della riuscita scolastica e socialmente pericolose nei Paesi dove sono state applicate). La Francia, in particolare, ha a lungo “illuso” i giovani migranti provenienti da altri Paesi, facendo credere loro che una buona conoscenza della lingua francese li avrebbe resi “francesi a tutti gli effetti” e tale illusione si è rivelata, in buona parte, falsa sia nella ricerca del lavoro sia nelle relazioni sociali, fino a sfociare nella ghettizzazione e nella successiva rivolta delle banlieue. In molte classi della scuola francese, oggi troviamo allievi/e che, come molti dei loro coetanei nati su territorio francese, hanno accumulato rancore e rabbia verso una società che li ha emarginati e che nella scuola, non riesce a trovare modalità diverse dalla sanzione disciplinare per “punire” chi non si integra, come il più che realistico film “Entre les Murs” ci mostra. Eppure noi sappiamo da grandi maestri della Pedagogia quali J. Dewey, Paulo Freire, Don Milani e Freinet, per citarne solo alcuni, che esistono modelli educativi efficaci e praticabili di interazione, di cooperazione, di valorizzazione e riconoscimento delle competenze di tutti. Va ricordato con forza che la scuola italiana ha una buona legge, riconosciuta come tale in Europa, per l’inserimento degli allievi stranieri: tutti hanno diritto, in quanto minori, ad entrare a scuola nelle classi normali, anche privi del permesso di soggiorno e in qualunque periodo dell’anno. La legge auspica anche la presenza di mediatori culturali, di corsi aggiuntivi di italiano, di scaffali multiculturali e moltissimi sono stati gli istituti scolastici i cui dirigenti e insegnanti si sono “rimboccati le maniche” per rendere le scuole luoghi accoglienti; hanno prodotto Protocolli di Accoglienza per non lasciare alla causalità l’inserimento degli allievi, hanno organizzato corsi di italiano e frequentato corsi di formazione, supportati in molti casi dal Ministero, dalle Regioni, dagli Enti locali, dal mondo dell’associazionismo e volontariato.
Certo, questo è avvenuto a “macchia di leopardo”, per cui, accanto a scuole molte attive, ce ne sono altre che hanno accolto con maggiore difficoltà la presenza crescente degli allievi figli di immigrati.
Il problema dell’inserimento e della riuscita scolastica degli allievi/e stranieri non richiede in alcun modo di modificare la legge, bensì di applicarla nelle pratica quotidiana della scuola, potenziata ed arricchita di tutti i servizi e supporti necessari, quali la presenza dei mediatori culturali, le traduzioni delle comunicazioni scuola-famiglia, i corsi di italiano per tutto l’anno, la programmazione e la valutazione differenziata.
Pensiamo che gli allievi e le allieve figli di immigrati debbano continuare ad essere inseriti ed accolti nelle classi ordinarie sia perché la socializzazione a scuola è la base di ogni futura integrazione e la prima fonte naturale di apprendimento della lingua nel rapporto con i pari sia perché, in una società multietnica, la classe rappresenta uno dei pochi luoghi, per gli allievi e per le famiglie, di incontro e conoscenza, necessari per superare pregiudizi e paure reciproche.
A tutti gli insegnanti che si sentono soli e non adeguatamente supportati in un lavoro di indubbia complessità, ricordiamo che in molte città ci sono Centri interculturali, biblioteche specializzate, siti, associazioni di insegnanti e di volontariato che lavorano da molti anni con le scuole sul tema dell’educazione interculturale a cui è sempre possibile rivolgersi per consulenza e servizi. Confermiamo, infine, tutti insieme, l’importanza di una scuola pubblica di tutti e per tutti, dove gli insegnanti continuano ad essere gli unici a detenere la responsabilità educativa dei propri allievi, facendo in modo di non lasciare che le scelte di politica educativa nel Paese vengano imposte e decise da chi non conosce la scuola, i ragazzi, le famiglie, le grandi fatiche e le piccole vittorie quotidiane della relazione educativa.
La speranza, che ancora vive nella scuola e in buona parte della società civile, è che proprio a partire dalla comunità/classe si pongano le basi solide per un modello di società solidale e accogliente in cui gli allievi italiani e figli di immigrati, sin dalle prime tappe della scolarizzazione, imparino a conoscersi, rispettarsi e a cooperare per diventare cittadini con pari opportunità, consapevoli dei diritti e dei doveri di vivere in una società complessa, dove nessuno può essere emarginato, nessuno considerato “extra”.
Altrimenti saremo destinati a diventarlo tutti: ognuno “extra” per l’altro.