Una riflessione sulla moralità della scuola e sull’immoralità di questo governo.
Scatto di reni. Mi alzo dalla cattedra. Di fronte, la classe attende con gli occhi pesanti. Un’aula grande come un teatro. Azione. “Leggiamo Dante perché…” la voce prosegue da sola raucamente.
Ecco – penso – se in questo momento entrasse Maria Stella e vedesse lo spettacolo che sto guardando io, di sicuro cadrebbe a terra svenuta, come S. Paolo sulla via di Damasco. Quel solido tailleur giurisprudenziale prenderebbe a bruciarle in preda al fuoco sacro e noi assisteremmo al fatale spezzarsi della montatura colorata dei suoi occhiali!
Intendiamoci, non che ci sia qualcosa nella nostra classe di diverso dalle altre, ma questa mattina, chissà perché, la vedo splendente della sua verità. Poco meno di trenta ragazzi delle più svariate età e nazionalità: dai 16 anni (come sarebbe previsto) ai 32 (più di me..). Un bel gruppo che all’ingrosso potremmo dividere così: una maggioranza ristretta di bolognesi (tra i quali si possono riconoscere le facce delle migrazioni degli anni settanta), un bel gruppo di campagnoli, e poi le facce nuove e brillanti degli stranieri. Stranieri tra i quali si notano: il sodalizio delle ragazze dell’est Europa, ben distino dalla Russa, e poi il nostro timido iraniano.
Solo una metà circa è stata promossa dalla seconda regolarmente in terza, l’altra metà si divide tra chi sta solo ripetendo e chi arriva invece da altri istituti di Bologna (dai quali è stato cacciato o se n’è fuggito e, in ogni caso, bocciato), ma non sembrano essersi fatti scoraggiare e lo hanno dimostrato fin da subito dichiarandosi apertamente il primo giorno.
Sono tre gli adulti che il Ministero in questo momento sta pagando per stare dentro questa classe. Tutti e tre giovani e precari (tutti e tre a rischio tagli): chi scrive, la prof. di sostegno e l’educatore, il quale dovrebbe seguire A. personalmente, ma in realtà arriva oggi per la prima volta. Anzi, spero proprio di rivederlo ancora, visto che altri due l’hanno preceduto nello stesso ruolo, ma, chissà per quale esigenza di flessibilità, non hanno potuto continuare il lavoro iniziato.
A. sta lottando tenacemente contro se stesso per riuscire a restare a scuola. È classificato come “soggetto violento”, mi dicono i “colleghi”, ma per ora questa violenza è rivolta solo contro i propri nervi per costringerli a non scappare. Quando apre la porta a metà lezione noi tiriamo un sospiro di sollievo: un’altra mattina, un’altra tacca sul calendario. Si è voluto far interrogare, sperava in un voto alto. Nel tema ha scritto della vendetta con un tono, devo dire, preoccupante, ma è rimasto per due ore concentrato e ha argomentato con cognizione di causa. Segno che il suo destino era un altro, ma che il telaio in qualche punto deve aver saltato la traccia.
Parlo e mi sento parlare. La prof è tra le poche che prende appunti e questo mi stupisce sempre un po’, anche se so che è il suo lavoro. In classe deve seguire un secondo ragazzo, ma non è l’unico ad avere bisogno del suo aiuto. Tutte le ragazze dell’est praticamente se la contendono per i consigli più vari. L’altro giorno erano molto preoccupate per il tema e lei, durante le tre ore, non ha fatto altro che girare tra i banchi per rispondere a tutti i loro dubbi linguistici (e poi mi sono dimenticato di ringraziarla). In realtà, è stato quasi di più il tempo che ha passato così, che con il suo assistito (che tra l’altro non vuole far notare la sua condizione “privilegiata” e ha preferito procedere da solo). Nonostante tutto, poi, c’è chi fa davvero molti errori; dovrò assolutamente segnalarlo. È chiaro che la scuola non fa abbastanza per queste alunne straniere e sembra che anche il sostegno sia un lusso che non ci potremo più permettere.
E poi c’è B., il punk, che si è fatto cacciare non si sa bene per quale motivo da un’altra scuola. Ha detto di aver fatto il muratore per un po’ di tempo e poi ha deciso “da solo” di ritornare a scuola. Di prendersi il diploma. Fa il bulletto e si firma tutte le entrate e le uscite più improbabili. A ben vedere non credo sia molto affidabile, in ogni caso è l’unico che ha saputo commentare la poesia “Io che come un sonnambulo cammino” di Sbarbaro.
Detto così sembrerebbe proprio una classe da libro Cuore e non potrebbe essere altrimenti. In fin dei conti, noi insegnanti italiani quando scriviamo di scuola non facciamo altro che riscrivere continuamente quel libro. E poi, infondo, l’Italia intera, che crede ancora nella scuola pubblica (come attestano anche i sondaggi), non crede forse in una scuola che sia, solida, aperta e solidale, come quella del buon vecchio umbertino Edmondo? La prima scuola di Stato, che è ancora la nostra nel bene e nel male.
Ci dicono che “la scuola non può fare da ammortizzatore sociale” e ce lo ripetono le campane rotte della propaganda riferendosi a presunte assunzioni abnormi. Non affrontano, però, il tema dal punto di vista del ruolo sociale che la scuola svolge. Chi ammortizza i conflitti sociali dei ragazzi? Chi ammortizza i percorsi in entrata degli stranieri e quelli in uscita dei cosiddetti “border line”? Ad entrambi, infatti, la scuola di Stato risponde offrendo una sponda morbida sulla quale far rimbalzare le proprie incertezze, la propria rabbia e il proprio conformismo. E lo fa senza costruire un’istituzione ad hoc, un feticcio, che renda oggettiva e quindi insuperabile la loro diversità (in questo senso la nostra scuola di stato italiana vive della stessa filosofia di Basaglia).
Così, attraverso la sua impurità, la scuola trasforma in cultura il conflitto. “Produrre cultura” è il compito della scuola, non nel senso che la scuola debba trasmettere la cultura, ma che dentro le mura scolastiche produciamo cultura. Trasformiamo la tradizione, che non è niente di più che un coccio muto, e la pieghiamo alla nostra umanità. Diventiamo noi stessi attingendo a piene mani dagli altri. Ognuno dei ragazzi che sta lì dentro compie questo furto intellettuale, questa violazione di copyright, anche se solo di pochi riusciamo a vederne la magia. Non so perché, ma questo processo che cerco di seguire mentre si svolge sotto i miei occhi, mi sembra sempre la cosa più assurda del mondo: la combinazione di dadi meno probabile che continuamente si ripete.
Per questo, nonostante le sue inefficienze tutti gli studenti italiani stanno dimostrando un fortissimo attaccamento e affetto per la scuola di stato. Ma cosa stiamo difendendo? Qual è l’attacco che il governo sta portando avanti?
Direi che le parole del Ministro sono illuminanti: “Vogliamo cancellare dalla scuola e dall’università l’ideologia dell’egualitarismo, del 18 o del 6 politico a tutti, e lo vogliamo fare perché abbiamo fiducia nelle persone e vogliamo premiare il merito”.
L’accento ovviamente cade sulla parola egualitarismo che come ci ricorda il vocabolario di De Mauro deriva proprio dalla vecchia égalité di rivoluzionaria memoria. E siccome è impossibile mentire, perché la nostra lingua ci sbugiarda ad ogni passo, direi che la verità di questa riforma sta tutta qui: far morire nella scuola e negli italiani l’idea dell’egualitarismo, cioè l’ideologia che “mira al raggiungimento dell’uguaglianza economica e sociale tra i cittadini”.
E come si ammazza questa idea? Lo si fa anche diffondendo una visione falsa della libertà di scelta che sostiene che la scuola sia un servizio del quale usufruiamo. Uno strumento attraverso il quale gli studenti, e con loro le famiglie, avanzano verso il successo come in una corsa ad ostacoli. Non c’è niente di più lontano di questa idea dalla funzione reale della scuola. Essa, infatti, non è mai un servizio del quale ci si può “servire”, ma è, e deve restare, lo sforzo organizzato con il quale il mondo degli adulti cerca di correggere i propri errori attraverso quelli dei suoi figli.
L’ineguaglianza è forse il principale di questi errori, che la scuola di Stato si sforza tenacemente di correggere. L’errore rimarrà pure, ciò che conta, però, per la crescita dell’uomo morale, è “lo sforzo”, ovvero la dedizione al compito, che poi è il significato primo della parola studium; parola che Kafka riteneva essere intimamente connessa al mondo della preghiera e quindi della dedizione agli altri.
Ecco cosa stanno cercando di smantellare; ecco perché ci sentiamo profondamente colpiti.