Ogni tanto l’università italiana viene scossa da un vortice. È quanto è accaduto anche in questi mesi per opera di una certa Mariastella. Fra le tante questioni in campo, vi è stata anche quella dei modi attraverso i quali si accede alla carriera universitaria, che sembra abbiano ben poco a spartire col merito.
“[…] che un libero docente del genere, e per di più un assistente, riesca finalmente a insediarsi nella posizione di ordinario e perfino di direttore d’istituto, è una questione che dipende soltanto dal caso. Certamente, non domina soltanto il caso, ma esso domina tuttavia in misura insolitamente elevata.”
Questa, come si può capire, è una ulteriore riflessione sulla questione; non si sta parlando, però, dell’università italiana, in un dibattito che, a dir la verità, sta assumendo connotati un po’ desolanti, forse anche perché, nel passato, tutte le alchimie per rendere credibili i concorsi sono miseramente fallite. Si parla invece dell’università tedesca.
“Non conosco quasi altra carriera sulla terra in cui abbia un ruolo così grande. Posso ben dirlo io tanto più che personalmente devo ad alcune circostanze assolutamente accidentali il fatto di esser stato chiamato a suo tempo giovanissimo alla cattedra di una disciplina nella quale allora alcuni miei coetanei avevano senza dubbio prodotto più di me. E ritengo, in base a questa esperienza, di avere una vista più acuta per scorgere il destino immeritato dei molti per i quali il caso ha giocato e ancora gioca in senso opposto e che, nonostante tutta la loro bravura, attraverso questo apparato di selezione non pervengono al posto che a essi spetterebbe.”
Forse chi parla eccede in modestia, trattandosi di uno studioso che divenne professore universitario a Friburgo a trent’anni. E oggi sappiamo che la scelta si è poi rivelata, indipendentemente dal modo in cui avvenne, illuminata. Forse se questa fosse la situazione, oggi, in Italia si potrebbe tollerare l’intervento del “caso” che altera la graduatoria del merito.
“Che il caso, e non la bravura in quanto tale, abbia un ruolo così grande, non dipende soltanto, e neppure in misura preminente, dalle debolezze umane che naturalmente s’incontrano in questo processo di selezione come in qualsiasi altro. Sarebbe ingiusto attribuire a deficienze personali di facoltà o di ministeri la responsabilità del fatto che nelle università tanti individui mediocri abbiano senza dubbio un ruolo di primo piano.
Ciò dipende invece dalle leggi dell’interazione umana, specialmente dell’interazione tra più organismi: nel caso nostro delle facoltà proponenti con i ministeri. Eccone una riprova: possiamo seguire attraverso molti secoli i processi che hanno luogo nelle elezioni papali, il più importante esempio che ci sia dato controllare di una selezione personale del medesimo tipo. Soltanto di rado riesce il cardinale di cui si dice che sia il «favorito»: di regola riesce il candidato numero due o numero tre. […]”
Leggendo, risulta evidente che “il caso” a cui allude il nostro docente ha ben poco a che spartire con la situazione italiana, dove è preponderante la vittoria dei mediocri per ascendenze di famiglia o in grazia di altri padrini, comunque potenti.
L’Italia sembra essere tutta, o quasi, come Bernalda, la cittadina in provincia di Matera, studiata da Dorothy L. Zinn, (1) in cui la raccomandazione rappresenta un fatto sociale totale, un fenomeno ideologico che pervade lo stile di molte relazioni; a ben vedere quello che accade nelle università non è, in definitiva, che una delle sue diverse manifestazioni.
“La vita accademica è quindi alla mercé del caso. Quando dei giovani studiosi vengono a chiedere consiglio per l’abilitazione, la responsabilità che ci si assume accogliendo la richiesta è quasi insopportabile. Se si tratta di un ebreo, gli si risponde naturalmente: «Lasciate ogni speranza». Ma anche a chiunque altro bisogna domandare, in coscienza: crede di poter tollerare di vedersi passare avanti, di anno in anno, una mediocrità dietro l’altra, senza amareggiarsi e corrompersi interiormente? A ciò si riceve ovviamente ogni volta la medesima risposta: naturalmente, io vivo soltanto per la mia «vocazione»; però almeno io ho saputo solamente di pochissimi che abbiano sopportato questa situazione senza subire danni interiori.”
In Italia a chi non possiede santi di notevole influenza terrena sovente vien detto di rivolgersi ad un’università all’estero; un modo tutto nostro e originale di sprecare talenti.
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NOTE
Il docente per caso era Max Weber: il testo di cui sono riprodotti alcuni brani è ripreso da La scienza come professione. La politica come professione, (1919), Torino, Edizioni di Comunità, 2001, trad. di H. Grünhoff, P. Rossi, F. Tuccari, pp.4-6.
1) La ricerca su Bernalda è di Dorothy L. Zinn, La raccomandazione. Clientelismo vecchio e nuovo, Roma, Donzelli, 2001, trad. di C. Deminijanni.