Mi è capitato di leggere un libro sui recenti provvedimenti del governo per la scuola, nato, evidentemente, per “cavalcare l’onda”: la banalità del gioco di parole rende, lo spero, la mediocrità del contenuto; le osservazioni esposte sono quelle che sono circolate e ricircolate in questi ultimi mesi su tutti i media a disposizione.
Quello che si dice sulle attività di recupero per gli studenti che presentino valutazioni insufficienti ha, però, fatto emergere dalla noia una serie di considerazioni un po’ adirate.
La questione è liquidata con una proposta che dovrebbero risolvere tutti i problemi: si prevede una prima attività intensiva nel corso dell’anno, accorpando i giorni di vacanza aggiuntivi, stabiliti da ogni singolo istituto, con quelli del viaggio d’istruzione ed una seconda, subito dopo la fine della scuola.
D’accordo che bisogna reintrodurre una prova seria per verificare il superamento dei cosiddetti debiti formativi, ma si dovrebbe, allora, dimostrare analoga serietà nell’affrontare quello che sta a monte: gli interventi da realizzare nei confronti degli studenti che presentino un rendimento negativo in una o più discipline.
Il recupero assume l’aspetto di una nebula e viene affrontata con la superficialità, che è, poi, quella che si può riscontrare in quasi tutte le discussioni su questo tema, di chi fa finta di occuparsene, ma, in realtà, lo vuole solo aggirare.
Prima di tutto, mi chiedo perché l’attenzione è concentrata quasi esclusivamente sulle superiori, quando si può ragionevolmente presupporre che, in molti casi, il deficit d’apprendimento si sia instaurato e si sia, per di più, sedimentato nei precedenti percorsi scolastici, nei quali, agendo con tempestività, si avrebbe una maggior certezza di risultati positivi.
Possibile che non sorga neppure la domanda che, forse, è dalle elementari e dalle medie che si dovrebbe partire? Che non si rivendichi la necessità di una verifica scrupolosa della situazione esistente, per accertare se tutto il possibile è stato fatto, per rafforzare le iniziative in atto e per introdurne di nuove.
Per quanto riguarda le superiori vi è da fare una prima ineludibile precisazione, che, in genere, viene elusa, se le valutazioni negative sono molteplici le possibilità di miglioramento sono minime e bisogna avere il coraggio di spiegarlo con chiarezza ai genitori. Ci si trova di fronte a due scenari molto probabili: o che lo studente debba ripetere la stessa classe o che debba cambiare indirizzo di studi.
A questo punto è possibile, finalmente, prendere in esame l’idea, avanzata nel libro, di un corso di recupero che agisca secondo la tecnica del bastone e della carota. Hai dei brutti voti, benissimo: i tuoi compagni si godranno alcuni giorni di vacanza e andranno in gita scolastica, mentre tu verrai a scuola a studiare!
Sorvoliamo, per non tediare, tutta la serie di problemi organizzativi che una scuola dovrebbe affrontare per attuare una simile proposta, discutiamo della sua efficacia.
Nei casi di un attacco d’indolenza, senza dubbio lo sarebbe. Ricordo che quando io, studentessa, ne ero afflitta, la reclusione in casa, decisa dai miei genitori, “ finché non avevo rimediato”, era una medicina adeguata. Ma negli altri? Ed è proprio nel non distinguere tra situazioni diverse che il recupero diviene un contenitore che si mette da qualche parte, come viene, e che si cerca di riempire come si può.
Occorre, invece, proprio distinguere tra le diversissime ragioni che possono produrre i risultati negativi, perché ognuna comporta interventi diversi per durata, qualità e collocazione nell’anno scolastico.
All’opinione, buttata lì in maniera estemporanea, si dovrebbe sostituire la profondità di una riflessione, maturata attraverso la propria e l’altrui esperienza. Ma in questo caso si farebbe propria la serietà che si rivendica nei confronti degli studenti.