Un’esperienza di laboratorio teatrale, che ha coinvolto alunni stranieri ed italiani, realizzata nell’anno scolastico 2003 –2004, che, però, è ancora una risposta attuale ai problemi dell’integrazione.
Ne proponiamo alcune parti. Il testo completo è stato pubblicato sulla rivista El Ghibli Rivista online di letteratura della migrazione, Anno 1, Numero 7 marzo 2005 , e lo si può leggere al seguente indirizzo: http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/id_1-issue_01_07-section_4-index_pos_1.html
Recita Dong He
Un mio amico cinese, che è in Italia da due anni, in una lettera ha scritto:
«Il mio sogno è: voglio andare a Cina. Perché io non piace qui Italia: quando io stava Cina io giocavo insieme con miei amici e compagni, come sono gioia. Ma quando io venuto Italia io sempre sognato andare a Cina, perché quando vato a scuola i ragazzi mi prende in giro, anche i maestri. I primi mesi sono così così e dopo comincia scuola: io comincia odio Italia, perchè i ragazzi prende giro di me, perché io non parlare italiano.
Prima venuti Italia i miei cugini: dicono i Italiani erano bravi, anch’io pensava così, ma quando io andato scuola è tutto cambiato: tutti italiani mi prende giro; io odio italiani, perché tutti erano così cattivi e io non sa perché cugini dicono italiani erano bravi. Per me i ragazzi prendemi in giro e non fa niente, ma quello più importante: erano anche maestri prende giro, dicono ero stupido.
Io sempre penso torna a Cina, perché a Cina nessuno mi prendi giro e senza studiare italiano. Io anche cammino sul strada penso “voglio torna a Cina, non voglio restare qui”. Ma qualche volta forse sentivo i miei amici stava davanti a me giocando e molto felice, molta gioia. Ma io chiuso gli occhi e apri gli occhi e tutti andati via: non c’è nulla di così, ma soltanto sono una utopia… Il mio sogno è: voglio andare a Cina».
All’amico che ha scritto questa lettera è dedicato lo spettacolo.
Questo è il prologo del testo teatrale , l’abbiamo inserito come introduzione e viatico al resoconto dell’esperienza.
La scuola media “Dario Pagano” di Torre Angela è collocata in una zona a forte processo immigratorio: gli alunni stranieri, nomadi, con una preparazione di base fortemente differenziata e disomogenea, necessitano di accoglienza adeguata per integrarsi con successo. Da anni la scuola realizza progetti di alfabetizzazione primaria, affiancando alle lezioni di italiano altre attività volte a favorire l’inserimento dei ragazzi. In particolare, nell’anno scolastico 2003-2004 il corso di alfabetizzazione linguistica si è trasformato in un laboratorio teatrale. Come è andata? Al termine della prima lezione del corso di alfabetizzazione rivolto alla classe di secondo livello, ossia quella formata da ragazzi che parlano già un minimo di italiano, alcuni alunni si intrattengono con l’insegnante, per avanzare una proposta: realizzare nelle ore del corso uno spettacolo teatrale che racconti la loro esperienza.
Si forma un gruppo di lavoro interclasse composto, oltre che dagli alunni stranieri, anche da alunni italiani, selezionati in base ai loro interessi e alle competenze: alcuni curano l’aspetto relazionale e si occupano della raccolta e revisione dei testi scritti dai ragazzi stranieri, mentre altri si dedicano all’aspetto propriamente scenico, ideando scenografie, coreografie e costumi.
Insieme pensiamo poi ad una situazione scenica semplice, che faccia riflettere senza essere però drammatica, bensì comica in alcune parti: i ragazzi si trovano tutti in una classe e inizialmente non si conoscono; a poco a poco cominciano ad emergere dai racconti le diverse personalità, finché le tensioni e le paure si sciolgono in una multietnica festa. Inizialmente i ragazzi avevano proposto di raccontare un intero anno di scuola, per seguire in dettaglio l’evolversi delle dinamiche interpersonali: dal primo giorno di scuola alla festa di fine anno. Ma ci si è resi conto che sarebbe stato complesso da scrivere e da realizzare un testo così articolato, dunque si è deciso di mantenere la scena fissa e di ridurre gli atti a due, con la stessa ambientazione: unità di luogo, tempo e azione, nel modo più assoluto.
Il leit motiv è costituito dall’appello: l’insegnante e la tutor fanno l’appello, sbagliano i nomi e attribuiscono agli alunni nomignoli semplici da pronunciare e ricordare. L’idea è venuta ai ragazzi della III A che avevano da poco letto il racconto di una scrittrice africana emigrata in Italia: il suo complicatissimo nome africano veniva continuamente storpiato durante gli appelli e lei stessa aveva proposto allora di essere chiamata con un nome italiano semplice, di due sillabe, tipo “Mara”; ma con il passare del tempo aveva desiderato riacquistare la propria identità perduta e aveva rivendicato il proprio nome africano. L’appello del primo giorno di scuola fotografa un momento delicato: i ragazzi si muovono incerti tra l’identità d’origine e l’identità che si acquisisce nel Paese ospite; la loro vera identità nuova, che sta nella fusione delle due, è tutta da costruire, dunque per il momento mostrano una idendità sospesa.
Con molta chiarezza emerge dal testo il loro diverso atteggiamento: alcuni ostentano sicurezza, altri mascherano a stento il timore; durante l’appello si presentano e parlano di sè con slancio o a monosillabi incerti, rispondendo alle domande dei compagni.
Nel finale , prima che tutti gli attori cantino e ballino “L’ombelico del mondo” di Jovanotti, si spengono le luci e si accende il riflettore su Yomal che recita il suo monologo.
YOMAL: Mi chiamo Yomal e ho 15 anni. Vi racconto la mia storia. Da quando sono nato sono finito in un istituto con 180 ragazzi più grandi di me. C’erano anche delle persone che ci accudivano.
In quell’istituto io ho sofferto moltissimo e ho passato 11 anni di sofferenza, ma avevo anche molti amici che tutt’ora siamo ancora in contatto. Dell’amicizia non mi potevo lamentare.
In questo istituto c’era un sacerdote italiano che cercava delle famiglie per ognuno di noi. Quando sono arrivati i miei attuali genitori ero contentissimo.
E auguro a tutti i bambini abbandonati come me di trovare una famiglia, perché è bello essere accarezzati da una persona che ti vuole veramente bene, e di avere la fortuna di chiamare mamma e papà.
L’idea di dedicare le ore del corso alla stesura di un testo teatrale con relativa messa in scena si è rivelata vincente da diversi punti di vista:
– i ragazzi si sono appassionati al lavoro ed hanno frequentato il corso con passione.
– Hanno parlato e raccontato molto di se stessi sentendosi ascoltati ed apprezzati, non solo dalle insegnanti, ma anche dai compagni che li aiutavano nella stesura del testo.
– Per alcuni di loro raccontare la propria esperienza non è stato facile, in quanto ciò significava rinnovare un dolore, o provare nostalgia, ma hanno tutti accettato di narrarsi, con slancio e fiducia nelle possibilità comunicative del teatro.
– Le loro proposte in termini di scelte musicali e coreografiche sono state accettate cercando di valorizzare al massimo i talenti e le peculiari esperienze di ognuno.
– Nella messa in scena i ragazzi hanno cercato di superare timidezze e paure rese più forti dal fatto di recitare in una lingua che non conoscevano bene: si sono impegnati molto e hanno raggiunto una dizione chiara e limpida, comprensibile da tutti.
– Il grande successo dello spettacolo, apprezzatissimo dai compagni, ha molto gratificato i ragazzi, accrescendo la loro stima in se stessi.