Il 23 gennaio a Bologna si è tenuta una manifestazione di “compassione civile e umana” rispetto al conflitto israelo-palestinese.
I fautori, Paolo Ferratini e Chiara Dini, provengono dalla scuola intesa come comunità educante, e molte scuole medie e superiori, tra docenti e studenti, hanno aderito e partecipato, insieme a tre rappresentanti delle religioni cristiana, islamica ed ebraica. E’ stato un momento di testimonianza, di riflessione, di memoria, senza bandiere o proclami.
Pubblichiamo i quattro testi che altrettanti studenti hanno letto dai gradini di Palazzo del Podestà, prima del lancio dei palloncini.
Per non rassegnarsi all’idea che quella terra sia abitata dall’incubo della guerra permanente.
L’Aurora intanto aveva alzato sui mortali infelici la luce divina,
riportando fatiche e dolori:
già il padre Enea, già Tarconte
sulla curva spiaggia avevano alzato i roghi funebri.
Qui ognuno i corpi dei suoi aveva portato, secondo il costume dei padri,
e fumose accostarono le fiaccole funeste
e tutto si fece di tenebra, per il fumo, l’alto, profondo cielo.
Bagnano la terra di lagrime, le armi ne bagnano.
Va al cielo il grido degli uomini e un clangore di trombe.
Né meno angosciati, nell’altra parte, i Latini
innumerevoli roghi funebri hanno levato;
e molti dei corpi depongono in terra,
altri li trasportano per i campi lontani e li riportano in città.
Dentro le case, nella città del ricchissimo Latino,
grande era il singhiozzo e il lutto maggiore.
Qui madri e misere spose, qui i cuori amorosi di sorelle dolenti,
e fanciulli privati dei padri maledicono la guerra infernale.
(Virgilio, Eneide, XI, vv. 182 ss.)
Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l’ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce- si tocca con gli occhi – che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato Per questo ogni guerra è una guerra civile, ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.
[…]
Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.
(C.Pavese, da La casa in collina)
Che cosa è che cambierà su questa terra stanca, dopo che avrà bevuto il sangue di tanta strage: quando i morti e i feriti, i torturati e gli abbandonati dormiranno insieme sotto le zolle, e l’erba sopra sarà tenera,lucida e nuova, piena di silenzio e di lusso al sole della primavera che è sempre la stessa? […] Che cosa diventano i risultati, le rivendicazioni di territori o di confini, le indennità e i patti e la liquidazione ultima, sia pur piena e compiuta, di fronte a ciò?
Crediamo pure, per un momento, che gli oppressi saranno vendicati e gli oppressori saranno abbassati; l’esito finale sarà tutta la giustizia e tutto il maggior bene possibile su questa terra. Ma non c’è bene che paghi la lacrima pianta invano, il lamento del ferito che è rimasto solo, il dolore del tormentato di cui nessuno ha avuto notizia, il sangue e lo strazio umano che non ha servito a niente. Il bene degli altri, di quelli che restano, non compensa il male, abbandonato senza rimedio nell’eternità.
(R. Serra, da Esame di coscienza di un letterato)
Come a una voce lontana presto ascolto,
ma intorno non c’è nulla, nessuno.
In questa nera buona terra
Voi deporrete il suo corpo.
Né il granito né il salice piangente
Faranno ombra al cenere leggero,
solo i venti marini dal golfo
per piangerlo accorreranno…
(Anna Achmàtova, Poesie)