Per il senso comune il carcere è luogo in cui il sentimento dell’umano dovrebbe essere smarrito, invece…, se sollecitato, si presenta nitido e intenso.
Giovedì 22 gennaio metto piede, per la prima volta, in un carcere di massima sicurezza. Avrò un incontro con adulti, ospiti della casa circondariale, iscritti alla scuola media.
L’aula è essenziale: la cattedra, i banchi, carte geografiche alle pareti, un armadietto. Per l’incontro, su mia richiesta, il Giudice di sorveglianza ha fatto mettere a disposizione una TV completa di VHS ed un lettore DVD, fungeranno da supporto alla discussione.
Gli ospiti stanno facendo un percorso di storia, legato al “Progetto Memoria” del nostro istituto, che prevede per loro un approfondimento sulla Shoah, in generale, e nello specifico l’analisi di uno tra i più famosi criminali nazisti: Joseph Mengele.
I signori entrano in classe, li saluto presentandomi e stringendo loro la mano. Entrano, con loro, una guardia, due educatrici e l’insegnante curriculare.
Non mi trovo in una normale aula scolastica, ma non mi rapporto ai signori in modo diverso dai miei alunni. In una cosa la relazione cambia: mentre chiamo i miei alunni per nome, mi trovo a rivolgermi a questi “alunni” usando la terza persona singolare. Il gruppo è eterogeneo, si parte da un’età minima di 30 anni fino a toccare i 55 anni. Mi sento pervasa da una particolare calma. Ho portato con me libri, documenti originali e manifesti dell’epoca.
Le loro mani sfogliano avidamente i testi, i loro occhi, prima curiosi, ora sono velati di lacrime: si sono soffermati sulle foto dell’Album di Auschwitz.
Il silenzio si può tagliare, ascoltano attoniti il lugubre racconto sugli esperimenti pseudo-scientifici dell’angelo della morte, guardano un documentario, l’emozione è alta. Qualcuno, rompendo il silenzio, esplode (in dialetto napoletano): “Se fossi stato suo figlio mi sarei ucciso”.
Non conosco l’entità dei loro crimini, ma qualunque sia la loro colpa, di fronte alla società, mostrano una sensibilità come solo in pochi alunni mi è capitato di vedere. Per lasciare in quel
luogo un messaggio di speranza, li ho lasciati riflettere sul tema dei “Giusti”, quelle persone
che spezzarono un anello della catena della violenza e della sopraffazione, che pensarono ed agirono secondo coscienza. I “Giusti” sono la dimostrazione del fatto che si può sempre
scegliere: ogni volta che l’odio rinasce, non c’è mai un’ineluttabilità degli eventi, ma si può sempre dire un sì o un no.
Al termine mi hanno ringraziato perchè non conoscevano a fondo questa storia. Uno di essi mi ha detto: “Odiavo gli ebrei senza sapere perché”. Mi ha stretto la mano, è andato via ripetendo alla guardia: “Sabato su rete 4 c’è “La lista di Schindler”- lo possiamo vedere?”
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Materiali usati (tutti in italiano)
– Album di Auschwitz;
– Poesie e disegni dei bambini di Terezin;
– Auschwitz – grida dalla terra -;
– La notte di Elie Wiesel;
– Scarpette Rosse a Buchenwald (poesia di Joice Lussu);
– Se questo è un uomo (poesia Primo Levi);
– Preghiera Shemà dal Pentateuco;
– Documentario Vittime e Carnefici da La grande storia;
– Film My Father di Egidio Eronico (sull’incontro tra Mengele ed il
figlio);
– Libro Papà di Peter Schneider (sempre riferito all’incontro tra Rolph e
Joseph Mengele);
– Manifesti dello Yad Vashem sulle restrizioni agli ebrei in Germania;
– Manifesti dell’Unità Ritorno alla Vita.