Sfoglio il giornale distrattamente, l’occhio viene attirato dal termine bullo che compare nel titolo di un articoletto in cronaca. Evidentemente, ormai sono addomesticata a reagire con prontezza ad un certo segnale: una parola che compare con frequenza quasi giornaliera sulla stampa.
Leggo il titolo: “Genova, tutta la classe sciopera contro il compagno bullo.” Poi, proseguo nella lettura e scopro che il “bullo” è un bambino di otto anni che ha minacciato con un temperino una compagna di scuola.
Sono indignata per quella parola che marchia un bambino, non è solo impiegata impropriamente, ma è utilizzata in maniera sconsiderata, senza che intervenga a bloccarla il senso di ritegno in chi scrive.
Il resto di quella notizia di cronaca continua ad indignarmi ma in maniera molto blanda, credo si tratti di un fenomeno di assuefazione. Tante volte si legge, come in questo caso, che in situazioni problematiche la scuola ha segnalato a chi di dovere e ha chiesto aiuto. Come sempre, nessuno si è mosso, lasciando precipitare la situazione.
Rimane solo la speranza che qualche altro fatto assurga a fenomeno di costume, avvolgendo misericordiosamente nel silenzio qualsiasi altro episodio simile a questo.