Seconda tappa del viaggio nel mondo classico di un reporter d’eccezione.
Nella tenda, su un vecchio tappeto sta una donna, una vecchia. I suoi abiti sono stati eleganti, ora sono laceri e sporchi. La donna ha ancora un portamento regale, ma il suo volto è scarnificato dal dolore, le sue guance scavate da lacrime che scorrono incessanti, asciugate a tratti solo dall’odio.
La donna è una prigioniera di guerra, lei sopravissuta, insieme alle donne e ai bambini, alla distruzione della sua città. Ora stanno attendendo di sapere quale sarà la loro sorte, di tanto in tanto un ufficiale dei nemici, i vincitori, arriva e porta una notizia. Le notizie sono sempre terribili.
Le prigioniere osservano la città: “Ora essa è tutta un alto / fumo di cenere, una vista sola/ di rovina”. E poi le donne giovani si stringono intorno alla vecchia regina, inquiete chiedono a lei cosa sarà di loro, cosa… “A chi mai, trista serva giacerò/ vicino? Sarai presto sorteggiata”. Esseri umani trattati come oggetti, come un bottino da spartire, donne giovani e vecchie affidate all’amara sorte degli sconfitti.
Da lontano si sente un canto di nozze, delle risate, la donna anziana sussulta, quella è la voce di una delle sue figlie, ora si sa che sarà la sposa di uno dei capi nemici, del più importante, andrà con lui schiava e amante in terra straniera. Perché canta? Quando la giovane arriva, tutti pensano sia resa folle dal dolore, dall’umiliazione, dalla paura. Ma no, la ragazza sa, perché l’ha visto nel suo futuro, che proprio a causa sua il suo padrone, il nemico, sarà ucciso, non importa se anche lei verrà sacrificata, importante è che il nemico muoia. Brutta, orrida la guerra. “Chi pensa veramente bene eviterà la guerra”. Nessuno però pensa bene, perché è sempre guerra.
La vecchia piange: le portano via la figlia, ma il dolore non ha fine, da un soldato nemico ha appena saputo che un’altra figlia, la più bella, è stata uccisa in onore d’un capo nemico, immolata sulla sua tomba, perché la vita del vinto non ha valore.
Frattanto giunge una giovane donna con un bimbo in braccio. La vecchia li guarda con apprensione, sono sua nuora, moglie del figlio prediletto, e il suo bambino, il suo unico nipote. Sono venuti a salutarla, la donna è stata scelta e si appresta e seguire il comandante che l’ha ottenuta. Ma l’orrore non ha mai fine. Un soldato, palesemente a disagio, giunge, reca un ordine terribile. Il bambino, il figlio del comandante nemico deve essere ucciso, gettato dalla torre più alta a testa in giù perché si teme che, una volta adulto, torni a vendicare il padre. Non c’è strazio più grande di una madre che si separa dal suo bambino, sapendo che sarà ucciso e che non lo vedrà più. “Questo mio seno ti ha nutrito in fasce per nulla? Tante pene e fatiche ha sostenuto per nulla? Caro, salutami ora: saluta tua madre ora ché un’altra volta non potrai. (…) O nemici inventori di supplizi atroci: questo fanciullo innocente perché lo uccidete?”.
Il bambino va verso la morte, la madre segue il nemico in terra straniera, resta la nonna, in attesa anch’essa del suo destino di schiavitù, sarà lei a seppellire il nipotino, gli fascerà le ferite, ne ricomporrà il corpo delicato, pregherà per lui. Triste destino quando un vecchio seppellisce un giovane, è contro natura, la guerra è contro natura. “Non tu me seppellirai, ma io te, / io ridotta così, senza i figli, / io, vecchia senza patria, io curva, stanca / seppellisco il tuo corpo lacerato”.
La vecchia regina ha concluso il suo compito, ora è lei, per ultima, a dover abbandonare la patria: “Tremanti membra, seguite il cammino. Andiamo al giorno duro dei servi”.
Dal nostro inviato al fronte asiatico: si conclude così la guerra tra i Greci e la città di Troia.
2500 anni fa un grande poeta ateniese, Euripide, raccontò, nella tragedia “Le troiane” quello che accadde, finita la guerra, ai sopravvissuti: vecchi, donne, bambini. La guerra è sempre la stessa, gli effetti collaterali sono sempre gli stessi: nei secoli dei secoli.
Chi paga nella guerra? Euripide si intenerisce sul bambino, sulle donne giovani, a loro va la pietà umana, ma il centro della tragedia è una vecchia. Solo un grande poeta poteva fermare così lo sguardo sulla sofferenza dei vecchi. In fondo un vecchio ha già vissuto la sua vita, un bambino invece… lo pensiamo tutti.
Tutti ma non i poeti e le mistiche. Ecco cosa scrive Hetty Hillesum nel campo di smistamento, un pre-lager, degli Ebrei olandesi destinati ai lager polacchi:
“Ma gli anziani? Tutte queste persone vecchissime e invalide? (…) Anche se continuassi per pagine e pagine, non avreste un’idea di quel ciabattare barcollare e cadere a terra, del disperato bisogno di aiuto e delle domande infantili. Là non si poteva far molto con le parole, a volte una mano sulla spalla era già troppo pesante. No, quegli anziani sono un capitolo a sé. I loro gesti smarriti e i loro visi spenti popolano ancora le noti insonni di molte persone…” (Lettere, 1942/43 Adelphi)