A cura di Elisa Dorso e Francesca Ciampi
Il 21 aprile in Auditorium Enzo Biagi di Sala Borsa si è tenuta, a cura dell’ANPI, una lettura- racconto, con intermezzo musicale. Un modo per celebrare l’anniversario della liberazione di Bologna guardando a quella resistenza che si è condotta sui banchi di scuola. E che, sembra di capire tra le righe dei testi, non si è mai interrotta. Riportiamo uno stralcio delle belle pagine lette. (le letture erano di Ilaria Neppi, la musica di “Spartito Democratico”)
La maestrina dalla penna rossa
17, sabato
Ma ce n’è un’altra che mi piace pure: la maestrina della prima inferiore numero 3, quella giovane col viso color di rosa, che ha due belle pozzette nelle guance, e porta una gran penna rossa sul cappellino e una crocetta di vetro giallo appesa al collo. È sempre allegra, tien la classe allegra, sorride sempre, grida sempre con la sua voce argentina che par che canti, picchiando la bacchetta sul tavolino e battendo le mani per impor silenzio; poi quando escono, corre come una bambina dietro all’uno e all’altro, per rimetterli in fila; e a questo tira su il bavero, a quell’altro abbottona il cappotto perché non infreddino, li segue fin nella strada perché non s’accapiglino, supplica i parenti che non li castighino a casa, porta delle pastiglie a quei che han la tosse, impresta il suo manicotto a quelli che han freddo; ed è tormentata continuamente dai più piccoli che le fanno carezze e le chiedon dei baci, tirandola pel velo e per la mantiglia; ma essa li lascia fare e li bacia tutti, ridendo, e ogni giorno ritorna a casa arruffata e sgolata, tutta ansante e tutta contenta, con le sue belle pozzette e la sua penna rossa. È anche maestra di disegno delle ragazze, e mantiene col proprio lavoro sua madre e un fratello.
(Edmondo De Amicis, Cuore, diario di sabato 17 dicembre, p. 69)
La maestra, mamma amorosa, nell’immaginario di fine Ottocento. Ben diversa, anche dopo, la realtà.
La condizione reale degli insegnanti
I. Era il 1° febbraio 1924, avevo vent’anni e partii entusiasta come alla conquista d’un regno, per raggiungere la sospirata scuola, ottenuta dopo il difficile concorso regionale per titoli ed esami. Avevo un paio di scarpette di vernice coi tacchi alti, un bel vestito e un cappello di velluto, largo, come s’addiceva allora alle maestre. Mi accompagnava mio padre, uomo forte e coraggioso abituato a tutti i sacrifici. […] La prima grande delusione la provai quando vidi un vecchio montanaro che mi attendeva con due asini e mi indicò la strada, cioè il letto del fiume, abbastanza ricco d’acqua per lo sciogliersi della neve. Piansi allora e non volevo salire sull’asino, ma dovetti ubbidire e […] rimasi in balia dell’asino che saltava sui sassi più scoperti spruzzandomi d’acqua fino sul mio bel vestito, mentre io, malsicura e paurosa, mi dimenavo gridando […]. Finito il percorso sul letto del fiume, attraversato per ben 15 volte, cominciò la salita ripidissima. […] Raggiunta una cima, c’era una discesa più pericolosa, ed io, tenendomi stretta alla cavezza e alla sottocoda dell’asino, riuscii a superarla, poi un’altra cima e infine giunsi ad una chiesetta costruita sopra una roccia […] Ero disfatta, piangente e trovai un gruppo di bambini ostili, perché avrebbero voluto continuare con la supplente alla quale si erano molto affezionati (F 1903, 279).
(Marcello Dei, Colletto bianco, grembiule nero, il Mulino, Bologna 1994, p. 130)
II. Iniziai il mio lavoro nel lontano 1921 in Comune di Santo Stefano di Vetto, a fianco del monte Fiore col rumoroso fiume Enza, in una scuola misera con 78 bambini. Il paese più vicino era Castelnuovo Monti. Lì i sacrifici sono stati tanti e grandi. Non un negozio, non una fetta di pane fresco. Per aver qualche cosa c’erano da percorrere 7 km di strada mulattiera, ma l’affetto dei bambini colmava tutto questo e l’entusiasmo dei miei 23 anni mi dava la forza di accettare i sacrifici giornalieri che a volte non sentivo neppure. Dormivo in un pollaio, su di un pagliericcio (F 1898, 465).
(ib. p. 131)
Il dopoguerra rappresenta il momento in cui le difficoltà, le disuguaglianze si riflettono sulla scuola, ma anche come il periodo in essa si riversano speranze, la tensione al cambiamento, l’idea che sia fondamentale per una formazione democratica., espresse, in particolare da Ciari e da tutti coloro che facevano parte del Movimento di cooperazione educativa.
1. I poveri e gli altri
A scuola c’erano i poveri e gli altri. Quelli della povertà come me ricevevano alle undici un pane con una marmellata di cotogne, portato dal bidello. Con lui entrava un profumo di forno che squagliava la bocca. Agli altri niente, loro avevano una merenda portata da casa. Un’altra differenza era che quelli della povertà in primavera avevano la testa rasata per i pidocchi, gli altri conservavano i capelli.
(Erri De Luca, Il giorno prima della felicità, Feltrinelli, Milano 2009, p.11)
2. La scuola faceva uguaglianza
C’era una generosità civile nella scuola pubblica, gratuita che permetteva a uno come me di imparare. Ci ero cresciuto dentro e non mi accorgevo dello sforzo di una società per mettere in pratica il compito. L’istruzione dava importanza a noi poveri. I ricchi si sarebbero istruiti comunque. La scuola dava peso a chi non ne aveva, faceva uguaglianza. Non aboliva la miseria, però tra le sue mura permetteva il pari. Il dispari cominciava fuori.
[ib., p. 125]
3. Migliorismo
Ciari non ci ha mai detto: in queste condizioni non si può fare una scuola decente, mutatele e vi mostreremo di cosa siamo capaci.
Ci ha detto: ecco la scuola che si può fare e che faccio. Per estenderla e per migliorarla occorrono strutture, programmi, aggiornamenti…ma ci sono problemi da affrontare adesso, subito.
Detta con Dewey “ Il migliorismo è pensare che le condizioni specifiche esistenti in un dato momento, buone o cattive che siano, possono in ogni caso essere migliorate”.
[Aldo Visalberghi, Convegno di Certaldo, 1980 ]
4. Contenuti e metodi
…parlo di chi è tornato come me dalla montagna,reduce dalla lotta partigiana, reduce da una lunga lotta antifascista e quindi pieno di ideali.
Quando questi abbiamo voluto portarli nella scuola come un contenuto da trasmettere in forma diretta, abbiamo visto che la cosa non funzionava.
La democrazia si impara praticandola, così la libertà. Sono valori che non si insegnano a parole, ma si costruiscono lavorando.
Non basta cambiare i contenuti occorre cambiare i modi dell’insegnare, dell’imparare, dello stare insieme.
Metodi autoritari non possono formare mentalità libere.
[Bruno Ciari, Convegno Ist. Gramsci, gennaio 1962 ]
5. E la ruota cammina
…..i frutti di un’opera educativa genuina non possono andare perduti.
Anche se l’importanza della nostra azione ci sembra piccola, e grandi e schiaccianti ci appaiono i fattori antieducativi che dominano la nostra società, dobbiamo ricordarci che i nostri sforzi non sono isolati. Essi si collegano a quelli di tutti gli uomini di buona volontà che spingono faticosamente innanzi la ruota della storia.
E la ruota cammina.
(Bruno Ciari, Le nuove tecniche didattiche, Ed Riuniti, 1961)
Oggi che cosa rimane di quelle speranze? Si sono dissolte. Si vuol far credere che la scuola serve poco, la si tratta come terreno nel quale realizzare consistenti risparmi. Possiamo ancora avere la forza di riproporre “E la ruota cammina” di Bruno Ciari?
Sulla pelle dei bambini
…i miei figli hanno fatto le elementari andando uno in prima a cinque anni con la sperimentazione Berlinguer, uno a sette perché è nato a febbraio e la Moratti stabiliva al 30 gennaio il limite di ingresso, uno col tempo pieno, uno coi moduli, uno con la settimana corta e l’altro con la giornata breve.
Posso dire con certezza che cambia solo il grado di nevrosi dell’organizzazione domestica.
Dal punto di vista della didattica però – dal punto di vista dei bambini – quello che conta non sono tanto i voti, gli orari, i grembiuli.
Sono gli insegnanti, le persone. Il grembiule, giudizi, il debito, il credito, l’esame a settembre…possono anche andar bene.
Deve essere chiaro questo però: il taglio di 87 mila insegnanti non ha nessuna motivazione culturale. E’ il taglio di 87 mila stipendi, tutto qui.
E’ un risparmio giocato sull’unica cosa che in Italia funziona ancora meglio che nel resto del mondo: la competenza, la passione e il talento delle persone che lavorano nella scuola elementare.
Fare economia sui maestri è da irresponsabili. Fa quadrare oggi conti che pagheremo tutti noi domani.
(Concita De Gregorio, madre di quattro ragazzi, L’Unità, 7 settembre 2008)