La situazione della scuola e di chi vi opera è, in questi tempi, un tema ricorrente sulle pagine dei giornali e l’impressione è quella di una progressiva erosione.
Sempre più spesso mi raffiguro la scuola come una malinconica balena che va alla deriva e verso una lenta estinzione, senza più strumenti per ritornare in mare aperto.
Agli operatori, convinti che le “riforme” messe in cantiere dal governo siano, in realtà, sgretolando un’istituzione già in affanno, si presenta, io immagino, un dilemma, non nuovo, ma che, ora, risulta particolarmente assillante.
Mi riferisco agli insegnanti coscienziosi, perché quelli che “tirano a campare”in una cattedra certa e sicura, forse, sono contenti di quello che sta accadendo, pregustando la possibilità di non essere infastiditi soprattutto da problemi di natura didattica.
I primi, invece, sono posti di fronte ad una difficile scelta sui comportamenti da assumere.
Si può ritenere che, questa volta, sia necessario non arginare il disastro, perché così facendo si occulta e solo la sua piena visibilità può creare le condizioni di una contrapposizione ampia e robusta che provochi un cambiamento di rotta e che questo sia ciò che è giusto e bene per la scuola.
Oppure, di fronte ad una scelta che si sottrae alla possibilità di un risultato certo e univoco, non c’è nessun percorso logicamente coerente che possa essere intrapreso, agiscono inventando puntelli, accorgimenti, espedienti che funzionino da argine temporaneo.
E non perché sprovveduti o illusi: sanno benissimo che travicelli e stucco non possono risanare un edificio attraversato da crepe sempre più profonde, ma perché spinti dalla propria personale storia, dall’intreccio di ragione e sentimenti che si è strutturato del tempo, e, soprattutto, perché si confrontano quotidianamente non con una classe, ma con Giovanni, Luisa, ….. con persone che stanno crescendo. Allora ciò che è giusto e bene diventa cercare a tutti i costi di non rendere troppo povero quello che a loro si propone e si offre.
Mi rendo conto, adesso, di avere utilizzato parole inesatte: non si tratta di una ricerca di ciò che è giusto e bene, ma di presumere quali siano le azioni che possono produrre il male minore.
Non riesco a proporre un criterio univoco che permetta di sciogliere il dilemma, temo, anzi, che ogni scelta sarà parziale e transitoria e che esso si proporrà di nuovo con la stessa urgenza e l’identica oscurità sulle vie da percorrere.