Collezioni inedite dal Museo Egizio di Torino e dal castello del Buonconsiglio di Trento
Riprendono i viaggi di Maria Teresa alla scoperta delle mostre più interessanti.
Nella mostra “L’artista viaggiatore” del MAF di Ravenna avevamo ammirato il modo di interpretare l’Egitto, riscoperto nella pittura di Caffi, di Bowin, di Macke, fino a Paul Klee.
Oggi si presenta a noi l’occasione di immergerci nella realtà degli scavi.
Entrati nel Castello da Porta san Vigilio, percorsa un’ampia rampa nel cortile, grazie a ricostruzioni scenografiche di forte impatto emotivo, siamo proiettati nell’ottocento e poi nei primi anni venti del ‘900, anni delle più significative scoperte archeologiche in Egitto, a Gebelein e soprattutto ad Assiut, (capoluogo di provincia dell’Antico Egitto) che per 4000 anni ha custodito i segreti della vita quotidiana e di quella dopo la morte; mitica città nei pressi della quale, in una grotta, secondo la tradizione copta, si rifugiò la Sacra Famiglia nella fuga da Betlemme in Egitto.
Grazie agli eccezionali materiali esposti, ai diari, alle lettere e alla documentazione fotografica, partecipiamo all’emozione delle ricerche e dei ritrovamenti; diventiamo membri della Missione Archeologica Italiana, guidata dal prof. Ernesto Schiapparelli, (celebre in tutto il mondo per la sensazionale scoperta della tomba di Kha, l’architetto del faraone Amenofi III); ci lasciamo trascinare rapiti dal fascino delle civiltà del Nilo, dall’egittomania imperante all’epoca in tutta Europa, dal gusto collezionistico dei nobili che affidavano imprese a scienziati ed esploratori, ci spingiamo ad assoldare avventurieri “predatori” di antichità per arricchire i musei privati.
Rischiamo di privilegiare la ricerca di oggetti stravaganti, carichi di valenze magico-religiose che possono essere esibiti nei salotti come status-symbol, per creare stupore con i loro rimandi esoterici. Sono centinaia gli amuleti, in basalto, lapislazzulo, legno laccato, pietre sacre, corniole, alabastro, onice e avorio: fra questi gli scarabei del cuore, simboli di vita eterna.
Ci affascinano, come in tutte le esposizioni egizie, le serie di modelli di servitori – Ushabty – (di forme, colori, materiali, diversissimi), deposti nelle tombe per sostituire il defunto nelle attività nell’Oltretomba. In squadre da dieci con caposquadra, lo assistono, si assumo per lui la responsabilità, danno le direttive in ogni tempo. Vorremmo averne alcuni disponibili oggi a sostituirci nelle fatiche del duemila.
Curiosiamo nella vita quotidiana degli antichi egizi: modelli di sacchi con prodotti alimentari, foglie, pietre e legnami, modellini con scene di lavoro nei campi, traghettatori e portatori d’acqua dal Nilo al mare, grandi modelli lignei colorati di lavoratori all’opera, momenti di panificazione, poi giare di birra, aratri, brocche, anfore, tavole per offerte: l’Egitto domestico era realtà laboriosa e tale si rappresentava.
Di sala in sala, ci avviciniamo alla Montagna dei morti; spicca, per l’ottimo stato di conservazione, una mummia di gatto del I secolo a.C. o del I d.C., animale sacro alla divinità Bastet (divinità che simboleggia il calore benefico del sole ed è venerata in qualità di protettrice della casa e della famiglia); accanto mille gatti di ogni materiale (“quando un gatto moriva i suoi padroni eseguivano lunghe lamentazioni e si rasavano le sopracciglia in segno di dolore e di rispetto) ”.
Di fronte ai resti di mummie umane, di mani e piedi strappati (che evocano anche il commercio di polvere di mummia richiesta nell’Ottocento per presunte proprietà farmacologiche e afrodisiache) si stringe il cuore, ci fermiamo per rispetto della sacralità del defunto.
I due grandi occhi, Udyat, che sono la guida in questo percorso, verdi, finemente truccati di nero continuano ad osservarci, accettano le scuse e pacificamente sorridono quando siamo di fronte alla riproduzione della grotta che ospitò Gesù, poi si materializzano bellissimi nel sarcofago dell’architetto Ka e della consorte.
Espressioni artistiche di straordinaria bellezza si rivelano nel Sarcofago femminile antropomorfo, ricco di amuleti neri e verdi, le stesse tonalità degli occhi che lo proteggono, collane, pendenti di varie tipologie, piastrine per proteggere il corpo, cibi e offerte per il viaggio, corredi e cofanetti, pettorali con Iside ed Osiride, poggiatesta, scettro, due piume per il processo finale. Sono diversi i papiri e le statuette che raccontano ancora di Iside e Osiride, di coccodrilli, soli, leoni, ippopotami, sfingi, sublimi Maoot alata ed il Falco, poi delicata una doppia cinta con fiori, uccelli, scarabei del cuore, accanto a pettini, orecchini, ciotole e cuscini di legno.
Ci viene ricordato che l’uomo ha corpo, ombra e spirito-eterno e all’eternità deve aspirare. L’egiziano colto si preparava per tempo all’Ultimo Giudizio, seguendo le prescrizioni poste sulle pagine del “libro dei morti” per l’ultimo viaggio.
“Quando sei morto il tuo nome vive, vi è ancora un luogo di attraente riposo del cuore” (“Il dialogo di un disperato con la sua anima “ 2100- 1900 a.C.
Dopo essere stati predatori di tesori, ci è consentito diventare sapienti, ci viene svelato il vero segreto delle città sacre, attraverso questo percorso il valore della vita e della morte combaciano, sulla terra resta il nome, lo spirito inizia un cammino nel Regno dei morti.
La mostra si estende dal pianoterra del castello agli appartamenti superiori.
Non si può non restare ammirati dalla grandiosità, la bellezza del Castello Del Buonconsiglio, scale, chiostri, gallerie, terrazzamenti, torri si intrecciano e si distinguono stilisticamente dagli spazi espositivi: per decantare il culto del potere terreno per i principi e per il vescovo conte, dal 1300 al 1800, rimando alla prossima recensione.
Dal 30 maggio all’8 novembre, Trento, Castello del Buonconsiglio
Via B. Clesio, 5 Tel 0461 233770