Pubblichiamo una sintesi della seconda parte del lavoro sul cinema di Matteo Vescovi, in cui vengono prese in esame le conoscenze relative alla struttura del testo narrativo, al linguaggio del cinema e alle tipologie testuali, utilizzate per la realizzazione dell’esperienza laboratoriale e fornite indicazioni didattiche sulla stessa.
La prima parte:” Insegnare cinema –1 –“ è comparsa in Contributi, giugno 2009 ed è consultabile in: http://iger.medialayer.net/2009/06/15/insegnare-cinema-1/
Il personaggio: identificazione, storia e discorso
Per istituire un confronto tra i due linguaggi, letterario e cinematografico, è necessario legare i testi agli elementi della storia che hanno in comune e il personaggio (in particolare il protagonista) è sicuramente l’elemento di maggiore evidenza narrativa, sia per il lettore che per lo spettatore. Infatti, nonostante ogni personaggio sia il risultato di una serie di espedienti discorsivi che si combinano all’interno del procedere della narrazione, l’illusione che si tratti di persone in carne ed ossa è la richiesta più forte che i due racconti (letterario e cinematografico) richiedono al fruitore. La comprensione della storia, infatti, passa attraverso l’identificazione nelle vicende e nella vita dei personaggi. Nel cinema, poi, questa richiesta sembra essere ancora più forte visto che l’identificazione si basa sulla visione di uomini e donne reali che fingono di non vedere l’occhio della telecamera che li sta riprendendo.
Il personaggio esiste, dunque, come struttura profonda della narrazione e non può essere ridotto ai singoli momenti in cui viene presentato o in cui agisce. È esperienza comune, infatti, quella di ricordare l’identità e le azioni dei personaggi senza ricordare nemmeno una sola parola del testo o nessuna immagine precisa del film dal quale provengono.
Potremmo dire, quindi, che l’insieme dei tratti e delle azioni che compongono il personaggio sono come dei fasci di luce che scaturiscono dalla sua unità profonda, che va comunemente sotto il nome di carattere.
Un personaggio, dunque, è l’incarnazione di un’idea, un fascio di contraddizioni che assumono nella finzione l’aspetto di un uomo. Non bisogna, però, confondere uomo e personaggio: il primo – in carne ed ossa – non è segnato da alcun destino, ma dalla responsabilità della libera scelta; la sua condizione esistenziale dimora nella sfera dell’etica. Il secondo, invece, rimane un fantasma che attraverso l’inchiostro o la luce incarna il nostro desiderio di sentirci prigionieri di un destino, la nostra incapacità di vederci veramente liberi, fuori da noi stessi. Possiamo, quindi, dire che il carattere di un personaggio coincide con il suo destino. Per cui ogni narrazione è come se svolgesse questo teorema: dato un determinato carattere come è possibile che il personaggio arrivi a compiere il suo destino?
In ogni caso, è necessario come lettori e spettatori consapevoli non cadere vittima delle nostre rappresentazioni e sforzarci in sede di analisi di ritrovare le tracce disperse in cui si incarna il carattere del personaggio per restituirle alla loro materialità di discorso di carta o di luce. Solo a partire da uno sguardo che colga insieme l’arbitrarietà e la necessità del racconto è possibile recuperare il valore etico, la morale della favola, che è il grumo dal quale scaturisce la forza narrativa.
Annotazioni didattiche
In questo senso è importante sottolineare, ai fini del lavoro didattico, che i ragazzi tendono naturalmente a produrre una lettura strutturale del personaggio, individuando i tratti essenziali che ne costruiscono l’unità di carattere e destino. È opportuno, quindi, fare in modo che questa identità venga sviluppata completamente ricostruendone una mappa che faccia emergere le strutture profonde della storia.
Allo stesso tempo, però, e a partire da questa mappa, è importante anche che i ragazzi comincino ad indagare la natura illusoria e fittizia di questa figura, per cui è bene che le schede di analisi fornite dal docente puntino l’attenzione sui luoghi del testo in cui compare il personaggio e poi su alcuni momenti tipici del discorso, quali la presentazione, il commento, la focalizzazione.
A questo scopo sono state pensate le schede di analisi sul personaggio, nelle quali alla prima analisi sul testo letterario, corrisponde una seconda fase, speculare alla prima, di analisi e confronto della trasposizione cinematografica. Si è cercato, inoltre, di riprodurre i tre livelli possibili di confronto tra letteratura e cinema di cui abbiamo già parlato: 1) livello delle strutture profonde, 2) livello della diegesi, 3) livello del discorso, cercando allo stesso tempo di non appesantire troppo il lavoro dei ragazzi.
Innanzitutto si richiedeva di costruire una carta d’identità del personaggio basata sulle domande Chi?, Cosa?, Dove, Quando?, Perché?, indicando, però, sempre la pagina da cui era stata dedotta l’informazione; questo nell’intento di far costruire un’immagine solida del personaggio, ma allo stesso tempo di ancorarla al discorso dell’autore. Per quanto riguarda, invece, l’analisi specifica del piano del discorso ci siamo limitati a mettere in luce solo i momenti della presentazione da parte del narratore o del commento da parte di altri personaggi.
Una terza scheda doveva consentire di realizzare il confronto tra letteratura e cinema sia sul piano delle variazioni dell’identità del personaggio, sia su quello della diegesi. I ragazzi erano invitati a ripercorrere le tappe di analisi già svolte per il romanzo anche sui film visti e di segnalare le variazioni, le sottrazioni o le addizioni che il regista aveva portato al testo di partenza.
L’ultima scheda, infine, si occupava propriamente del linguaggio cinematografico invitando a riflettere sulle tecniche di messa in scena e di ripresa che il regista utilizza per identificare il personaggio. Ci si è concentrati in particolare sul momento della presentazione, sul tipo di inquadrature, sui temi musicali e sul tipo di luce.
Come ultimo elemento di riflessione e per evitare di restituire ai ragazzi un’immagine eccessivamente frammentata del personaggio, si è deciso, inoltre, di aggiungere alcune domande aperte che potessero servire come punto di partenza per l’elaborazione di un testo espositivo-argomentativo. Si trattava di domande relative alla fortuna del personaggio che hanno lo scopo di far rielaborare le analisi svolte in una visione unitaria dell’evoluzione del personaggio dalla sua elaborazione letteraria alla sua assunzione simbolica nell’immaginario collettivo.
Le tecniche specifiche del discorso cinematografico nella costruzione del personaggio.
L’inquadratura, ovviamente è la principale di queste tecniche poiché costruisce i rapporti tra sfondo e figura che permettono la rappresentazione del personaggio. Essa, infatti, non solo rappresenta un corpo, ma lo inserisce in una serie di rapporti spaziali che influenzano la nostra comprensione del personaggio. A volte per esempio la costruzione dello spazio intorno all’inquadratura è tesa a porre in rilievo una sorta di area privilegiata nella quale si collocano uno o più personaggi, come per esempio, finestre, porte aperte, specchi ecc..
Inoltre, la distanza del personaggio dalla macchina da presa e la scelta dei piani con cui viene rappresentato sono portatori di specifici significati. Pensiamo soprattutto al primo piano dove il volto umano assume il massimo grado di espressività e significatività.
Altro elemento da tenere in considerazione nella costruzione dell’inquadratura è l’angolo di ripresa. Solitamente una ripresa dal basso esalta il personaggio, conferendogli autorità o potenza, mentre quella dall’alto il più delle volte lo intristisce o lo umilia. Altre angolature oblique come quelle che segnano, per esempio, la rappresentazione di Norman in Psyco possono suggerire la perversione o il carattere enigmatico (non lineare) del personaggio.
L’illuminazione può suggerire una serie di informazioni tanto da poter diventare un elemento caratterizzante dello stesso personaggio. Il modo, infatti, in cui viene illuminata la scena ne determina l’atmosfera che poi si riverbera sul personaggio, che può avere su di sé delle luci con angolature particolari che ne sottolineano il carattere. Anche l’illuminazione della scena può funzionare da specchio del dramma vissuto dal personaggio.
Anche la scenografia (o pro-filmico) può assumere rispetto al personaggio un rapporto dialettico o simbolico rispetto al destino e al carattere del personaggio stesso; basti pensare alla famosa scena di Quarto potere in cui il volto di Kane è ripetuto e ingigantito dai cartelloni elettorali alle sue spalle .
La musica, infine, può avere la funzione di sottolineare un particolare stato d’animo del personaggio, oppure può diventare una vera e propria marca di identificazione tanto da creare nello spettatore l’attesa della comparsa del personaggio cui è associata. A partire da questa possibilità di espressione simbolica il tema musicale può diventare simbolo dell’evoluzione del personaggio all’interno della storia sottolineando le sue contraddizioni e la natura delle sue scelte.
Il montaggio e la costruzione del senso: narrativo, estetico, concettuale
La comprensione del senso e del valore che il montaggio assume nella costruzione del testo filmico è fondamentale, perché i ragazzi si sperimentino con l’importanza di questi procedimenti sia in fase di decifrazione, che in fase di produzione.
Tecnicamente il montaggio, dunque, è quell’operazione che consiste nell’unire la fine di un’inquadratura con l’inizio della successiva. Questa unione, però, è sempre produttrice di un significato ulteriore che non era presente nelle due immagine separate, ma nasce dall’essere state messe in relazione. Per lo spettatore questa operazione si traduce in quello che si può definire come effetto montaggio, ovvero il legame significativo tra un’immagine A e un’immagine B.
Questo procedimento, che insieme alla riproduzione del movimento è stato considerato l’elemento distintivo del linguaggio cinematografico, è la funzione linguistica deposta alla costruzione del senso nel film. È l’architettura del montaggio (in termini tecnici il découpage) che costruisce l’inganno che ci sprofonda nell’illusione di realtà del film. Il montaggio, infatti, riproduce sullo schermo un analogon dei meccanismi di inferenza che il nostro cervello compie per la comprensione del mondo.
Il montaggio di due immagini o di immagini e suono hanno, quindi, la capacità di produrre immediatamente nello spettatore un senso. Anzi, è talmente radicata questa abitudine nel nostro cervello che potremmo dire che, prima ancora del montaggio, il senso è già presente nella coazione della nostra mente a dare un significato a tutto ciò che percepisce.
È evidente, quindi, che il senso delle immagini non sta nella singola inquadratura, né nel semplice accostamento tra le due, ma nella volontà dello spettatore di attribuire una relazione logica, spaziale e temporale alla successione della propria visione. Questa disponibilità dello spettatore è ovviamente utilizzata dal regista per costruire lo spazio narrativo all’interno del quale si svolge la rappresentazione. La responsabilità del senso del montaggio, infatti, viene assunta dall’istanza narrante, intesa come principio costruttore della diegesi del film, ma il suo progetto dovrà essere poi decifrato dallo spettatore al momento della visione.
Il montaggio, infatti, costruisce il tempo e lo spazio del film. Attraverso il montaggio lo spazio reale della scenografia (ciò che in termini tecnici è definito pro-filmico) viene scomposto in tante unità che corrispondono ad altrettanti punti di vista sulla vicenda che si sta svolgendo e che vengono poi accostati in una successione il cui senso dipenderà dalla volontà espressiva del regista.
Attraverso il montaggio si determina, inoltre, il tempo del film, sia per quanto riguarda la durata dell’inquadratura e della sequenza, sia per quanto riguarda la disposizione delle sequenze nella costruzione dell’intreccio. Infatti, al di là di quello che potremmo considerare come il tempo normale di lettura di un’inquadratura che varia a seconda della larghezza del campo, la durata di ogni immagine ha sempre un valore espressivo: può suggerire l’idea di velocità di un’azione se la durata è bassa, oppure l’effetto di rallentamento della narrazione se è molto lunga.
Attraverso il montaggio, inoltre, si determina l’intreccio della storia, ovvero con quale ordine vengono mostrate allo spettatore le varie sequenze, e la durata di ogni singola sequenza.
Oltre a costruire il tempo e lo spazio del film, il montaggio può assumere diverse funzioni a seconda delle scelte narrative, ideologiche o stilistiche del regista.
La funzione narrativa è quella in cui la ricostruzione dello spazio/tempo ha come scopo principale quello di scomporre e analizzare un avvenimento. L’azione è il centro della costruzione e il taglio di ogni inquadratura si fissa su quelli che sono di volta in volta gli eventi essenziali alla comprensione dello svolgersi dell’azione.
La funzione descrittiva si ha quando l’azione deve ancora cominciare o rallenta fino al punto di diventare secondaria; la rappresentazione dello spazio o dei personaggi diventa quindi l’unico motivo di interesse. In ogni caso, a differenza di quanto avviene nel testo scritto, questa funzione raramente si trova isolata, in quanto, come si è già avuto modo di sottolineare, il cinema non può fare a meno di mostrare, ovvero di descrivere sempre.
La funzione estetica, invece, si ha quando il raccordo tra due inquadrature non è giustificato dall’andamento della narrazione, ma tra le due immagini si instaura un rapporto di natura formale, in cui il regista può nascondere o meno significati simbolici. Ma si possono istituire delle relazioni anche sul piano dell’armonia temporale: il ripetersi ritmico delle inquadrature può infatti suggerire l’idea di regolarità, di accelerazione o rallentamento.
La funzione concettuale, infine, si ha quando il montaggio dei piani vuole produrre nello spettatore attraverso il reciproco confronto un’idea astratta che non sia direttamente presente in nessuna delle immagini, ma risulti solo dalla loro interazione e dalla capacità di interpretazione dello spettatore. In questo tipo di costruzione lo spazio è frammentario e irregolare, il tempo è amplificato o eliso violentemente in senso non narrativo e il montaggio è volutamente reso esplicito attraverso l’inserimento di elementi incongrui rispetto alla narrazione.
La sceneggiatura come struttura che vuole essere altra struttura
Esiste una fase nella realizzazione del film in cui il raccordo tra testo scritto e testo visivo è molto stretto; si tratta ovviamente della prima fase che va dalla ideazione del progetto alla stesura della sua sceneggiatura, fino al découpage delle singole scene.
Quali sono e che funzione hanno le principali fasi di stesura dei testi per la messa in scena?
Il soggetto: è la prima manifestazione concreta di un’idea. È un piccolo racconto, uno spunto narrativo. È solitamente contenuto in poche righe, anche se possiede già uno statuto giuridico e può vantare, se ufficialmente registrato, dei diritti d’autore. Per quanto riguarda i film che nascono come adattamenti di opere letterarie o teatrali, potremmo considera il testo di partenza come un caso particolare di soggetto che si articola in molte pagine. In un soggetto, infatti, dovrebbero essere compresi gli aspetti essenziali di una storia quali: collocazione spazio-temporale, caratterizzazione dei personaggi principali, conflitto alla base della storia, sviluppo della storia, climax e scioglimento.
La scaletta: segna il passaggio dalla fase letteraria a quella del linguaggio cinematografico. Si tratta di una tipologia testuale estremamente sintetica che ha lo scopo di mostrare il semplice succedersi delle scene. È utile per controllare il ritmo della storia e per organizzare il lavoro delle riprese. Strutturalmente è una specie di lista numerata in cui ad ogni numero corrisponde una scena ed una frase che ne riassume l’azione principale. Dal punto di vista didattico può essere utilizzata per compilare sintesi di racconti.
Il trattamento: è l’ideale sviluppo di una scaletta e si può definire come una descrizione dettagliata dell’azione del film scritta con l’uso del discorso indiretto. È la fase di scrittura che più si avvicina al romanzo, ogni situazione è minuziosamente descritta e i personaggi cominciano a prendere forma sulla pagina per il loro aspetto, le loro azioni e idee.
La sceneggiatura: è quel testo in cui vengono messe in ordine tutte le scene del film, descritti con cura ambienti, personaggi ed eventi, indicati con precisione i dialoghi.
Infine, nel découpage la sceneggiatura subisce un ulteriore fase di elaborazione, in cui le singole scene sono scomposte in inquadrature che vengono numerate e che rappresentano i vari punti in cui saranno posizionate le mdp con l’indicazione degli eventuali movimenti. La ricomposizione di questi frammenti sarà poi compito della fase di montaggio.
La metodologia per la didattica del film
In generale la progettazione e realizzazione di qualunque attività didattica sul linguaggio degli audiovisivi, si trova di fronte a due rischi di natura opposta. Da un lato, a causa della familiarità degli studenti con i mezzi di comunicazione di massa utilizzati spesso solo in chiave ludica e senza consapevolezza, si corre il rischio di cedere all’aspetto ricreativo a scapito di una riflessione analitica. Dall’altro, proprio perché consapevoli del primo rischio, si può però incorrere nell’errore di segno opposto, ovvero quello di riproporre un modello di insegnamento normativo che sfruttando l’applicazione del linguaggio teorico, trasforma il progetto sugli audiovisivi in un’ennesima riproposizione di apprendimenti grammaticali e frontali.
È importante, quindi, progettare dei percorsi didattici che, pur avendo come obbiettivi l’acquisizione di conoscenze specifiche per l’analisi e la comprensione del testo filmico, approntino ambienti didattici in grado di far sopravvivere l’aspetto ludico che rappresenta la vera forza dal punto di vista motivazionale di percorsi di questo genere.
Strategie per la visione e l’analisi del film
La visione del film è ovviamente il cuore dell’attività didattica, si tratta di un momento delicato che va preparato e gestito con molta cura. È molto importante motivare la classe sull’utilizzo dell’audiovisivo, esplicando il tipo di percorso che si intende seguire per evitare di far apparire il cinema come una semplice parantesi illustrativa o ricreativa. Durante la proiezione, inoltre, il docente dovrà partecipare sostenendo se necessario la visione attraverso rapidi commenti di chiarimento, dovrà inoltre essere attento alle reazioni degli alunni per coglierne il coinvolgimento, la comprensione, il tipo di emozioni suscitate dal film. È molto importante, inoltre, riservarsi un po’ di tempo a fine visione per far esprimere gli alunni sulle loro impressioni a caldo, attraverso un rapido brainstorming.
Passare alla fase di analisi di un film non è un’operazione semplice e richiede una preparazione preventiva su tutte le stratificazioni di senso che la molteplicità di linguaggi del cinema mette in campo. Riproponiamo, quindi, alcuni criteri per l’analisi del film sintetizzati da Marangi in Insegnare cinema (1):
– aderenza al testo filmico;
– attenzione al funzionamento significante del film;
– esplicitazione della prospettiva con cui si guarda al film;
– consapevolezza di ciò che si cerca e delle tracce d’indagine che si mettono in campo.
Visione e analisi sono due fasi separate ma possono essere combinate in diversi modi. In particolare possiamo schematizzare due principali metodologie di visione: una integrale e una antologica. La prima si dà quando il film, dopo una breve introduzione viene proiettato integralmente e possibilmente senza interruzioni, per cui l’analisi è lasciata ad un secondo momento.
La visione antologica, invece, è quella che isola solo alcune sequenze del film scelte per illustrare aspetti particolari che si vogliono analizzare insieme agli studenti. In questo caso potremmo dire che visione e analisi corrono parallele. Le sequenze, poi, possono essere scelte per esemplificare l’intero film, oppure sulla base di altri criteri quali: temi, tecniche cinematografiche, stile dell’autore, personaggi, attori, ecc..
Questa seconda tipologia di visione richiede sicuramente agli spettatori un grado maggiore di consapevolezza del mezzo espressivo e della propria capacità di visione, ma proprio per questo è sicuramente utile che i ragazzi vengano sottoposti anche a questo tipo di analisi, visto che il procedimento è del tutto analogo a ciò che si fa normalmente in classe sui testi letterari. In ogni caso, è consigliabile con spettatori più ingenui proporre prima la visione del film e successivamente, una seconda lezione, più approfondita, di analisi su alcune sequenze.
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1) M. Marangi, Insegnare cinema, UTET, Torino 2007, pag.265