Un’altra tragedia antica che risuona in noi come qualcosa di conosciuto, di familiare, di vissuto.
Le quattro precedenti in “Contributi”, tra marzo e maggio 2009, reperibili cliccando sul nome della collega piemontese.
Un vecchio si trascina lungo la via, è debole e cieco, lo conduce una fanciulla, giovanissima, stanca quanto lui, è la figlia, che lo ama tetramente: “padre, fatto logoro dal dolore” gli dice.
Il vecchio cieco dipende in tutto dalla figlia : “Prendimi la mano e portami avanti” “Padre, seguimi ti conduco io”.
Sono due esuli, l’uomo ha avuto una vita molto travagliata è stato scacciato dalla sua patria e la figlia non l’ha abbandonato. Ora, però, si avvicina la fine del lungo, doloroso errare. L’uomo sente di essere vicino alla meta al luogo del suo riposo: la morte lo chiama.
Il re del paese straniero cui sono giunti l’esule e sua figlia li accoglie, ma ciò non basta: quel vecchio, un tempo cacciato dalla città che governava, ora è reclamato dai suoi concittadini, è giunto infatti per ricondurlo in patria un folto gruppo di uomini, guidati dal governatore della città, parente dell’esule illustre e, come lui, ormai anziano.
La vecchiaia incombe su entrambi: “Non nascere: è il mio pensiero più dolce. Oppure nati una volta è poco male riandarsene subito dove eravamo. Quando la gioventù vaga d’inganni è scomparsa quale tormento sfugge all’esistere? Quale sciagura resta lontana? Discordia, odio, guerra, strage, sangue. Ed ecco la vecchiaia, debole, schivata dagli amici, dall’amore, curva sotto i mali peggiori”.
I due vecchi sono di fronte, nessuno dei due cede, finché l’ultimo arrivato fa rapire le figlie dell’esule poiché questi si rifiuta di tornare a quella patria che l’aveva scacciato.
Quale dolore per il vecchio cieco, privato della luce della sua vita, le figlie. Fortunatamente il re del luogo ove il vecchio esule ha trovato nuovo rifugio interviene, libera le ragazze e caccia i nemici, ha promesso la sua protezione e mantiene le sue promesse. Inenarrabile è la gioia del padre che ritrova le figlie. “Voi, luce del mio girono. Voi,appoggio del mio ultimo andare” (…) “Siete le cose mie più dolci, quello che mi resta. Non morirò infelice del tutto con voi due vicino”
Ma ancora non è finita un’ultima grande e dolorosa prova attende il vecchio. È giunto a chiedere la sua protezione il suo figlio primogenito, a sua volta cacciato dal fratello minore. Deciso a portare la guerra, ha radunato un esercito e aspetta la benedizione dal padre, ma questi non vuole e non può perdonare al figlio d’averlo lasciato andare ramingo per il mondo. Non solo non può proteggerlo, ma gli predice solo sventura e morte, per lui e per il fratello. Disperato il giovane se ne parte, nemmeno l’amata sorella riesce a dissuaderlo dal suo sventurato proposito di vendetta.
Ora tutto è compiuto ancor più il vecchio sente che la fine è vicina, la morte non attende. Lui e lui solo conosce la via. “Ora sono io la vostra guida. Strana guida. Andate, senza prendermi la mano. Lasciatemi trovare da solo il tumulo sacro, dove il destino vuole ch’io sia coperto”.
Traguardo naturale della estrema vecchiezza è la morte, allora che resta se non pregare perché dolce sua questo inevitabile trapasso? “Dea invisibile e tu signore delle ombre Ade, Ade. Se pregarvi non è sacrilegio, fate che l’ospite scenda senza fatica, senza gemiti alle case profonde di Stige, alla riva nera dei morti”.
Il vecchio esule infatti muore, scompare, unico testimone della sua fine è il re che l’ha protetto dai nemici. Nemmeno le figlie possono assistere all’ultimo passo dell’esule. Il suo estremo saluto è dolce e straziante insieme, giacché talvolta finire una vita di dolore è un sollievo, ma sempre è doloroso lasciare chi si ama.“- Figliuole, diceva, ecco. Vostro padre da oggi più non esiste. Oggi tutte le cose mie scompaiono: e scompare tutto quello ch’io fui. Non avete più, d’ora in poi, la pena del mio sostentamento: dura pena, lo so, figliuole. Ma tanti affanni può sciogliere una parola: io vi ho amato”.
Quando il re testimone della fine di Edipo, giacché questo è il terribile nome dell’esule, ritorna, la figlia Antigone, che ha seguito il padre cieco lungo tutto il suo errare, non può cessare il pianto e addirittura rimpiangere quel fardello, quel dolore, perché l’assenza, il distacco sono un dolore ancora più grande. “Forse c’è un rimpianto anche del dolore. C’è un desiderio del dolore. Quello che non piaceva a nessuno, era caro a me: quando potevo tenerlo per mano e camminare con lui. Padre, padre; chiuso per sempre nel buio della terra. Cara ombra. Il nostro amore ti è vicino anche laggiù.”
Dall’Edipo a Colono (ultima tragedia del vecchio Sofocle, poeta ateniese vissuto nel V secolo a.C.) la poesia eterna della vecchiaia, della morte e dell’affetto tra un padre e una figlia. Dedicato a mio padre morto il 25 settembre 2005..