Franciska è tornata fra noi per raccontarci un’altra storia.
La nuvola Franciska aveva conosciuto due trote. Era successo per caso, quando la nostra protagonista stava attraversando il cielo di Zurigo. Le aveva avvistate all’interno dell’impianto di potabilizzazione della città svizzera, e la loro presenza le era apparsa incredibilmente anacronistica, tenuto conto del livello tecnologico della centrale. Nuotavano contro corrente nell’acqua destinata a scorrere nell’acquedotto, in un tubo di vetro che terminava con una lucina verde, simile a quella che Franciska vedeva lampeggiare in coda agli aerei che passavano sopra di lei, la notte.
Le era sembrata una cattiveria gratuita degli umani costringere quei due poveri pesci a nuotare tutto il giorno contro corrente, senza potersi fermare un attimo, pena venire trascinati via, per di più in un tubo trasparente, in modo che tutti potessero vederli. Era scesa su quella modernissima prigione per parlare alle due trote, chiedere loro cosa avevano fatto di così grave per finire in un girone dantesco di tale crudeltà e portare un poco di conforto. Franciska sapeva cosa significa resistere al proprio posto quando tutto sembra volerti travolgere.
Siamo inclini a pensare che una nuvola sia sempre in perfetta sintonia col vento, che questo la trasporti per il cielo tenendola tra le sue braccia in un movimento dolce, che non prevede sforzo né costrizione. Non è sempre così.
Franciska non aveva attraversato soltanto cieli luminosi. Tutt’altro. Noi l’abbiamo conosciuta come una nuvola saggia e serena, ma queste qualità erano il frutto di una storia di grande coraggio e determinazione. Tempeste violente si erano abbattute su di lei e sulle nuvole che aveva più care, mentre le montagne, da cui si erano staccate, restavano per tutte una presenza importante, ma non più un rifugio praticabile.
Senza riparo, aveva scelto di farsi riparo.
Allora, come poteva non offrire aiuto a quelle due trote, che, come lei, consumavano tutta la loro energia per segnare una presenza stabile in un flusso continuo d’acqua sempre nuova? Franciska si avvicinò alla lastra di vetro che, nel laboratorio di analisi dell’acquedotto di Zurigo, mostrava la situazione delle trote e chiese loro se poteva in qualche modo alleviare la loro fatica. Le trote fissarono quella nebbiolina che per la prima volta era filtrata nell’impianto di depurazione, pensando anche loro, ma in un senso diametralmente opposto a quello di Franciska, ad una presenza davvero anacronistica in un laboratorio dove il tasso di umidità era costantemente tenuto sotto controllo. La ringraziarono per le parole gentili ma le spiegarono, senza nascondere l’orgoglio professionale, che aveva frainteso: loro – le trote – erano le analiste più importanti del laboratorio.
Le raccontarono che nel laboratorio c’erano, in effetti, molte altre “colleghe” – a differenza di loro ben avvolte in camici bianchi -, ma tutte si affidavano alla loro sensibilità per decidere il momento esatto in cui passare alle analisi più approfondite. Erano le vere sentinelle della qualità dell’acqua, quelle che, per prime, davano l’allarme quando in quel torrente, riprodotto in loco, si verificava una diminuzione dell’ ossigeno.
È fatto noto, anche presso la comunità delle trote, che i pesci condividono con gli esseri umani il gusto per questo gas frizzante, prezioso sopra il pelo dell’acqua come sotto. Il loro compito, quindi, non era resistere alla spinta dell’acqua, ma farsi attraversare da essa e saggiarne il tasso d’ossigenazione. Con molta soddisfazione spiegarono a Franciska che erano dotate di una sensibilità così spiccata per il gas che la sua minima carenza produceva un giramento di testa, legato a un senso di spossatezza, col risultato di rallentare il battito cadenzato delle pinne. Le trote arretravano, e con questo semplice movimento – in realtà un non movimento che all’acqua poteva sembrare il segno di una sconfitta – davano l’allarme facendo scattare la fotocellula che era alle loro spalle – o meglio dietro la coda.
Franciska sorrise e salutò le trote. Non voleva distrarle oltre dalla loro missione, felice di aver scoperto questa collaborazione – semplice e geniale – tra esseri viventi, dopo anni di delusione osservando dall’alto il comportamento degli esseri umani. Ripensò al suo galleggiare nel cielo, al suo ancorarsi ad una piccola casa in un piccolo paese, per essere il segnale costante di una permanenza da offrire ai suoi cari a fronte del divenire, a volte tumultuoso, degli eventi. Le pareva adesso che la sofferenza che aveva sempre prodotto in lei il pensiero della mancanza di una pelle per le nuvole, qualcosa con cui avvolgersi e proteggersi, fosse finalmente sul punto di svanire.
Le nuvole, non diversamente dalle trote di Zurigo, si lasciano attraversare senza porre grande ostacolo, ma qualunque cosa passi attraverso di loro – che sia il vento, un aereo, un uccello –, se si volta indietro credendo di averle perforate e distrutte resterà sorpreso nel vederle sempre al loro posto. Se poi sfiora la propria superficie, si accorgerà che è lui a non essere più lo stesso, perchè ha raccolto alcune gocce d’acqua su di sé.
Le nuvole lasciano il segno su chi le incontra.
Franciska si strinse alle sue sorelle, prese con sé i suoi cari e allungò il filo che la teneva ancorata alla sua casa finché non raggiunse il mare.
Se dalla spiaggia vi capita di vedere un gruppo di nuvole sull’orizzonte, fate attenzione: se una di loro tiene stretto un filo, quella è lei.