Una riflessione sulla costituzione, che ne riafferma il valore, nata in occasione della presentazione, il 3 ottobre presso il Salone dell’Editoria Sociale, del saggio di Andrea Leccese “Torniamo alla Costituzione“.
Mai come in questi ultimi anni è sentita l’esigenza di riprendere in mano il Testo Fondamentale della nostra cittadinanza; esso sta perdendo non solo il valore di documento giuridico, ma anche di “vademecum” etico nei rapporti civili e sociali.
Ho iniziato nel tempo a leggere la Costituzione non, ovviamente, con il metodo del giurista ma come una sana lettura formativa. La prima cosa che è evidente è la sua semplicità letterale ed esplicativa, la seconda è che i suoi principi fondamentali (quelli che ne hanno ispirato la redazione) sono “universali” e, quindi, “non revisionabili” e mettono l’accento sui diritti sociali, economici e politici. Nelle linee guida sono ben visibili l’intesa e i giusti compromessi tra gli autori, che, pure, venivano da anni di sangue e potevano sentirsi condizionati da orgogli personalistici e di bandiera partigiana.
Il Testo della Costituzione è formato per il 74% dal vocabolario di base. I periodi sono di una brevità inusuale per un Corpus Legislativo: una media di 19,6 parole per frase. L’Assemblea Costituente, la Commissione e il revisore finale Pietro Pancrazi (giornalista, saggista, studioso di letteratura) fecero un grande e specifico lavoro, affinché il Testo fosse comprensibile a buona parte dei cittadini. Sessanta anni fa era più del 60% la popolazione alla quale la Costituzione non poteva sperare di rivolgersi, ma, in realtà, doveva parlare a loro e per loro. Doveva essere compresa con il minimo supporto professionale.
Oggi una grande parte degli italiani considera la Costituzione obsoleta e quasi d’impaccio, non adatta ai veloci cambiamenti che la società degli ultimi decenni impone. Questa convinzione si sta radicando, grazie all’opera di banalizzazione di una parte politica che, per compiacimento e tornaconto personale, vuole sostituire ai dettami universali e sociali quelli particolari e personali o di un gruppo elitario. Se i cittadini conoscessero la Costituzione, anche se non in maniera approfondita, rimarrebbero, al contrario, stupiti dell’attualità e, per certi aspetti, della novità di garanzia del diritto, tutela dell’individuo e della pace sociale. E’ necessario far comprendere che la sua scrupolosa osservanza è alla base dell’onestà di un popolo (cioè dei cittadini) e dei suoi governanti e di tutti gli atti che fanno di un paese una nazione coesa.
Non è, quindi, necessario arginare il malcostume e le furberie con leggi speciali, è già tutto scritto negli articoli della Carta Costituzionale. Il non rispettarla e il non applicarla generano il <familismo tornacontista> (già evocato da Habermas), le astuzie degli amministratori della Cosa Pubblica, che trovano terreno fertile tra i molti elettori complici del sistema “do ut des”, la degenerazione dei partiti che diventano uffici di collocamento in un intreccio perverso di “voti di scambio”. Dimentico della Costituzione il cittadino non è migliore della “Casta” che pure condanna. Ecco allora i discorsi dei qualunquisti che finiscono, in genere, con l’auspicio dell’arrivo dell’uomo forte e decisionista.
Ma l’uomo forte genera una democrazia debole, accentrando nelle proprie mani quei poteri che, proprio per una garanzia democratica, devono restare separati e indipendenti. Viene così eliminata la centralità del Parlamento; si annullano i diritti erga omnes e si approvano i privilegi ad personam. L’uomo della Provvidenza cerca, con una sorta di paternalismo, di convincere che l’informazione e la cultura sono inutili, indirizzando i maggiori attacchi ai mezzi d’informazione. L’uomo forte convince il paese che la Costituzione si può fare e disfare a proprio piacimento o modificare per legge ordinaria; convince (sordo a qualsiasi richiamo istituzionale) che ciò possa essere fatto legittimamente. Ecco, allora, la deriva plebiscitaria che molte autorevoli penne (da Scalfari a Eco) assimilano giustamente alle monarchie dei Re di Francia.
Noi tutti siamo chiamati ad osservare e far conoscere la Costituzione al nostro vicino, al nostro amico allargando il numero degli appassionati; solo così sarà possibile riconoscere colui o coloro che stanno minando il nostro sistema democratico.
Negli anni ho inteso le norme costituzionali come il supporto essenziale per un corretto svolgersi della vita sociale: esse permettono di comprendere il rapporto che intercorre tra libertà individuali ed esigenze della comunità in cui viviamo o siamo inseriti. La mia formazione non ha potuto prescindere da questi valori, formando le mie convinzioni; mi ha permesso di dedicare il mio tempo ai temi sociali attraverso la creazione e la partecipazione a forme associazionistiche sul territorio. Da alcuni anni il mio impegno si estende sul web nel contatto costante con numerosi cittadini. Si confrontano le esperienze familiari e lavorative, si scambiano notizie, opinioni, commenti su temi politici, etici, di integrazione; proviamo a dare (perché no?) stimoli alle Istituzioni alle quali argomentiamo il nostro pensiero.
Credo che il luogo più idoneo alla promozione dei valori della nostra Carta Costituzionale sia la scuola proprio per le sue specifiche finalità educative, che debbono rendere i giovani fruitori consapevoli dei diritti e dei doveri futuri. Da adulti saranno probabilmente “distratti” dal lavoro, dalla vita sociale e familiare, ma ciò che avranno appreso rimarrà per sempre e lascerà, comunque, la voglia di approfondimento dei temi costituzionali. La rilettura del testo può essere guida costante del loro impegno e delle loro azioni nel confronto con gli altri.
Ci è di stimolo il discorso di Pietro Calamandrei agli studenti milanesi tenuto nel 1955: ci ricorda che la Costituzione non è una macchina che va avanti da sé; bisogna metterci dentro il combustibile e cioè l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, porvi la nostra responsabilità. Guai all’indifferenza alla politica: è un’offesa alla Costituzione e porta alla mancanza di libertà. Calamandrei si augura che i giovani difendano la Costituzione e non debbano mai provare la privazione della Libertà; essi devono dare alla Costituzione il loro spirito, la loro gioventù; innestarvi il senso civico e la coscienza civica, farla vivere e sentirla propria.
Ancora, Norberto Bobbio in un bell’articolo del 1958 (comparso su “Risorgimento” nel decennale della Costituzione) si interrogava con una certa apprensione per la sorte dei principi fondamentali conquistati, sottolineando quello cui un popolo non dovrà mai rinunciare: le libertà civili, politiche e sociali. In questo ottobre si compiono i cento anni dalla nascita del filosofo che metteva in guardia dal pericolo che la Costituzione fosse disattesa.
Il Presidente della Repubblica Napolitano in occasione della recente visita ad Auronzo, ha invitato a leggere la Costituzione “bisognerebbe farlo e tornare a farlo, costantemente”. L’invito è lo stesso dei Presidenti Ciampi e Scalfaro, e di Eugenio Scalfari, e di chi ha a cuore le sorti della nostra democrazia.
L’articolo di Bobbio (1) del 1958 si conclude con le parole ”la differenza tra la mia generazione e quella dei nostri padri è che loro erano democratici ottimisti. Noi, dobbiamo essere democratici sempre in allarme”. Per noi, oggi, l’allarme sta suonando.
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1) Norberto Bobbio, SE VENGONO MENO I PRINCIPI DELLA DEMOCRAZIA,